BELGIO

(tour 2014)

“La bellezza delle cose esiste
nella mente di chi le osserva"

(Hume)

 

 

 

 

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10 luglio, giovedì
Ieri sera la luna quasi piena, con la sua faccia sorniona, ci consigliava un buon riposo, dopo la giornata convulsa piena di preparativi e di saluti affettuosi, ma la partita Argentina-Olanda non finiva più e, seppure non esaltante, ci ha tenuti incollati al televisore fino alle ore piccole.

Però non abbiamo deluso la luna, ci siamo presi il giusto riposo, partiamo nella tarda mattinata. Alle ore 10.30 inizia il nostro viaggio, che è la parte centrale e concreta della vacanza.
Infatti, la vacanza inizia idealmente mesi prima con la scelta della meta e del suo filo conduttore, in seguito si arricchisce con il progetto dell’itinerario, delle visite, delle gite. Essi ci riempiono la mente e il cuore di attese e curiosità.
La solita strada scorre sotto le ruote del camper. Esse rotolano a una velocità non troppo elevata, ma nel complesso costante. Dopo una breve pausa per il pranzo, iniziamo a salire verso il Gottardo immersi in un clima più autunnale che estivo.
Sotto di noi, lungo la ferrovia, un treno affusolato e bianco, segue silenziosamente la nostra direzione e incrocia uno dopo l’altro, pesanti vagoni merci, che possenti e rossi locomotori trainano, facendoli scodinzolare.
Ci imbuchiamo nella galleria. Questi diciassette chilometri sono lunghi. Immersi nel buio seguiamo alla giusta distanza di sicurezza il camion che ci precede, mentre scorre nella direzione opposta un’interminabile processione di veicoli di ogni specie.
Usciti dal tunnel, ritroviamo di nuovo il bianco treno. Ci accompagna per un po’, poi le nostre strade si dividono. La nostra direzione è Lucerna, Basilea. Le abbondanti piogge hanno reso il verde di questo paese ancora più intenso. Il nostro sguardo si compiace e trova riposo.
In prossimità di Basilea la marcia rallenta. Sono le ore 17.00 di un giorno feriale. La città industriale si sta svuotando.
Oltrepassato il confine, lungo la direttrice che porta a Strasburgo, sostiamo a Kaiserberg. L’area camper è già affollata, ci sono francesi, belgi, britannici, tedeschi, uno svedese, un finlandese, un portoghese, uno spagnolo e, oltre a noi, un altro equipaggio italiano di Genova.
Dopo cena ripercorriamo le stradicciole di questo paese alsaziano, che abbiamo visitato, in un precedente viaggio. Le case a graticcio hanno le finestre ornate di fiori. Molte ospitano nel piano terra i negozi tipici dell’artigianato locale. In cima a un’antica torre una coppia di cicogne ha due pulcini da difendere dall’attacco dei corvi. Un genitore si alza in volo, spiega le sue grandi ali e batte il becco generando un suono secco e minaccioso, che spaventa i corvi. Questi, gracchiando, si disperdono verso diverse direzioni.
Dopo circa un’ora, il buio diventa più intenso allora torniamo al camper.

11 luglio, venerdì
La notte trascorre tranquilla, interrotta solo da una mezz’ora di vento impetuoso e da un intenso scroscio d’acqua, che Paola sente.
Dopo colazione in paese acquistiamo il companatico per i prossimi giorni. Salutiamo le cicogne, che vigilano sul borgo e iniziamo la tappa, che ci porta in Belgio, meta della nostra vacanza.
Cosa ci conduce in questa piccola nazione, poco considerata dai flussi turistici e cuore dell’Unione Europea?
La curiosità di scoprire bellezze nascoste e sconosciute e il desiderio di provare stupore e gioia per le nuove conoscenze sono ciò che ci ha portato a sceglierlo come meta della nostra vacanza.
L’itinerario monaci e birra è il principale filo conduttore. Monaci e birra, è un binomio che qui in Belgio è ancora vivo e attuale. Infatti, i monaci cistercensi delle numerose abbazie producono ancora la birra. Seguendo antiche ricette, preparano la bionda bevanda rendendola unica nel gusto.
Questa tappa si snoda quasi tutta in autostrada e Paola, non più sorretta dall’adrenalina, libera la stanchezza accumulata durante l’anno scolastico e si assopisce per lunghi tratti. Usciamo dalla grande arteria e siamo in Belgio. Non c’è segno di frontiera, non c’è un cartello stradale a indicare il cambio di nazione, sono le tante targhe bianche e rosse delle automobili a dimostrare il transito avvenuto.
Sostiamo a Orval, per visitare il monastero. Essere più che sessantenni ci regala un vantaggio: il costo del biglietto d’ingresso è ridotto. Non facciamo sapere ai belgi che in Italia siamo ancora lavoratori attivi, non vorremmo perdere questo privilegio!
Il monastero fu costruito dai monaci benedettini, venuti dall’Italia nel 1070. Subì nel tempo diverse distruzioni e ricostruzioni. Nel 1132 s’insediarono i monaci cistercensi. L’abbazia fu completamente distrutta nel 1793 dalle truppe rivoluzionarie francesi, pervase dal furore antireligioso. L’attuale ricostruzione risale al 1926.
Ciò che colpisce immediatamente è il contrasto cromatico tra la nuova costruzione in pietra arenaria, dal vivace riflesso dorato e le rovine rese nere dagli incendi e dalle intemperie. Visitiamo l’orto delle erbe officinali, l’antica farmacia, la fonte e il piccolo museo, che ci rende orgogliosi di essere milanesi, quando ci troviamo di fronte la statua di sant’Ambrogio. La nuova abbazia di Notre-Dame non la visitiamo. A essa si può accedere solo per partecipare alle funzioni religiose.
Ripreso il camper, troviamo posto per la notte al campeggio Les Cabrettes, a Chassepierre di Florenville, situato a 14 km dall’abbazia.

12 luglio, sabato
Anche questa mattina il cielo è bigio. Durante la notte è piovuto, ma noi non ce ne siamo accorti. Con il camper ripercorriamo a ritroso l’ultimo tratto di strada e torniamo a Orval. Attraversiamo una vallata celata da un’estesa foresta mista, le cui essenze principali sono querce, faggi e abeti. La valle è chiamata Valle d’Oro, perché ricorda un’antica leggenda. Quando fu fondato il monastero queste terre appartenevano a Matilde di Canossa. Si narra che un giorno la contessa, seduta sul bordo della fontana, perse la fede d’oro, dono del suo defunto marito. Disperata, Matilde si recò all’oratorio a pregare. Tornata alla fonte, una trota saltò fuori dall’acqua tenendo in bocca l’anello d’oro. Ancora oggi nello stemma di Orval è presente il pesce con l’anello.
Raggiunto il monastero, nell’attesa di partecipare alla santa messa, nell’emporio dei frati acquistiamo la famosa birra e un pezzo di formaggio. Il birrificio, costruito nel 1931, per finanziare l’enorme cantiere intento a ricostruire il monastero, è ancora oggi dentro la struttura monastica. La sua politica commerciale non è di tipo speculativo, ma è volta a garantire il sostentamento della comunità monastica. Anche il formaggio è prodotto dalla latteria interna al monastero. Esso è frutto di una ricetta del 1816, inventata da un’altra comunità di monaci trappisti. Il formaggio è di pasta semidura, lavorato a crudo e pressato. La sua caratteristica è la ricchezza di materia grassa.
Prima dei prossimi esami del sangue, dieta, altrimenti il colesterolo...
Alle ore 11.10, è consentito l’accesso al giardino interno del monastero e all’abbazia che, imponente, lo domina. Entriamo nella chiesa. E’ buia, ci sono già in preghiera tre persone. Pochi minuti dopo un monaco accende le luci e prepara l’altare per la messa. Uno dopo l’altro entrano i monaci. Sopra il saio bianco con lo scapolare nero, fissato in vita da un’alta cintura di cuoio alla quale è appeso un cordiglio, i monaci indossano una cappa bianca con cappuccio. Di fronte all’altare s’inchinano, poi con passo lento, si siedono nei loro scranni nel coro. In tutto i monaci sono nove, quattro siedono nel braccio sinistro del coro e cinque in quello destro. Tre di essi sono giovani, non superano i quarant’anni, quattro sono adulti, tra i quaranta e i sessant’anni e due sono anziani. Seduti nei loro scranni, leggono e pregano nell’attesa dell’ufficio. Alle ore 11.30 inizia la liturgia. E’ presieduta da un monaco africano ed è concelebrata con un altro monaco. Il monaco più giovane intona i canti. Altri fedeli sono presenti in chiesa. Il clima di preghiera è intenso. Al termine della messa, ci fermiamo ancora un po’ nell’abbazia, per scattare qualche fotografia.
Pranziamo À l’ange Gardien, il piccolo ristorante fuori dal monastero, ma collegato ad esso. Serve piatti della tradizione locale accompagnati dalla squisita birra d’Orval. Tutto a prezzi modici, questo non guasta!
Nel pomeriggio sostiamo brevemente nel centro di Florenville. Qui opera Eduard, uno dei mastri cioccolatai più rinomati del Belgio. Il suo atelier profuma di dolcezza: una visita è d’obbligo e anche l’acquisto delle sue prelibatezze.
Poi con uno spostamento di circa 80 km raggiungiamo il paese di Han sur Lesse. Qui ci fermiamo nell’area camper, che è dotata dei servizi necessari. Essa si trova in centro al paese. Con pochi passi raggiungiamo l’ufficio del turismo, dove paghiamo il ticket per la notte e la chiesa dove registriamo l’orario della messa domenicale.
Una breve passeggiata lungo la strada principale ci fa vivere l’aria della festa. La via è animata e un’allegra musica country, suonata da un gruppo, vivacizza la serata.
Dopo cena vediamo un film, gli olandesi intorno a noi sono invece calamitati dalla partita della finalina mondiale Olanda-Brasile. Alla fine del film cambiamo canale per vedere il risultato: l’Olanda vince 2-0 e nei minuti di recupero segna il terzo gol. Il popolo silenzioso festeggia con un buon boccale di birra.

13 luglio, domenica
Ci svegliamo dolcemente, senza l’incubo della sveglia. Alle ore 11.00 partecipiamo alla santa messa nella chiesa parrocchiale, che si erge nel centro del paese. E’ un massiccio edificio di pietra grigia con un possente campanile a base quadrata. La chiesa è dedicata a Saint Hubert. E’ stata costruita nel 1905 in stile neogotico, utilizzando in parte le pietre della chiesa precedente, abbattuta perché troppo piccola, per accogliere la popolazione del paese, cresciuta numericamente. L’interno è luminoso. Le sedie imbottite e basse per fungere, se girate da inginocchiatoio, sono messe a semicerchio intorno all’altare. Il sacerdote prima di vestire i paramenti liturgici saluta personalmente i presenti. Anche a noi stringe la mano sorridendo.
Il tempo non è dei migliori. Violenti e brevi scrosci di pioggia si alternano a fugaci schiarite e a nuovi rannuvolamenti. Nel pomeriggio visitiamo le grotte, che il fiume Lesse ha scavato. Con un trenino da “far west” raggiungiamo l’ingresso. Dilemma: seguiamo la guida che parla francese o quella olandese? Scegliamo la guida francese, nella speranza di comprendere qualcosa. La grotta che visitiamo si estende per 2 km e appartiene a un sistema di cunicoli molto più ampio e articolato, non del tutto ancora esplorato.
La guida è un ragazzo davvero simpatico. Per tener desti l’interesse e l’attenzione, quando raduna il gruppo per una nuova spiegazione, pone delle domande, che richiamano ciò che ha già detto. Ci sentiamo degli scolaretti in difetto. La paura dell’interrogazione ci fa nascondere dentro il gruppo.
La grotta si presenta con una serie di grandi camere collegate tra loro da stretti cunicoli. Scale e ponti permettono di superare i dislivelli e le pozze d’acqua. Le stalattiti a colonna e a vela, le stalagmiti, le colonne ritorte rendono incantevole questo panorama sotterraneo e destano stupore per l’incredibile e lento lavorio della natura. Verso la fine del giro il Lesse affiora sul fondo della grotta e, impetuoso, s’infila in un pertugio, per poi acquietarsi e uscire in superficie.
Sotto un acquazzone, a piedi, torniamo al camper. Per fortuna siamo muniti della giacca impermeabile, che prudentemente abbiamo portato in previsione della bassa temperatura ipogea.
Di sera guardiamo la finale Argentina-Germania del campionato mondiale di calcio. Noi tifiamo Germania. L’arbitro italiano non fa errori di valutazione, ma secondo noi mostra poco coraggio di fronte a certi falli, che avrebbero meritato delle sanzioni con cartellino. Siamo ormai rassegnati ai calci di rigore, quando un lampo illumina la notte del Maracana: a tre minuti dallo scadere del secondo tempo supplementare Goetz segna e lascia la sua impronta su questo mondiale.

14 luglio, lunedì
Lo scroscio intenso di pioggia, che scende mentre facciamo colazione, non è certo ben augurale. Attendiamo un po’, poi governiamo il camper e partiamo con destinazione Namur. Raggiungeremo la città, capoluogo della Vallonia, seguendo le strade della viabilità ordinaria. La regione delle Ardenne è prevalentemente forestale, le radure sono coltivate con cereali, verze e patate. Viaggiamo in completa tranquillità, su strade dal fondo un po’ accidentato e completamente prive di traffico. Intanto il tempo volge al bello. Occhiate di sole si alternano a rannuvolamenti, non piove. Superato il paese di Rochefort, deviamo dal percorso per recarci all’abbazia di Saint Remy. Il chilometro che ci separa dal luogo monastico è tracciato su una stradina nascosta in una verde galleria.
Anche questa comunità trappista lavora il malto con il luppolo e produce birra. Del monastero si può visitare la chiesa. E’ un edificio di pietra bianca di stile neoromanico. Essa è preceduta da un sagrato tenuto come un giardino all’italiana. Entriamo, la chiesa è spoglia. Sopra l’altare maggiore, una fioca luce rossa fa convergere lo sguardo verso il tabernacolo. Avvolti nel silenzio, sostiamo a lungo in preghiera.
Quando usciamo, un anziano monaco, seduto su una panca di pietra fuori dalla porta, ci guarda sorpreso. Ci salutiamo reciprocamente.
Riprendiamo il viaggio. La strada è immersa in un’estesa foresta, costellata di cartelli che avvertono di un frequente attraversamento di caprioli. Purtroppo non ne vediamo nemmeno uno. Il pianoro che segue è una scacchiera gialla e verde. Esso ha in mezzo una macchia grigia, che prende la forma di una chiesa man mano che ci avviciniamo. Una stradina secondaria ne indica il nome: Chapelle de Saint Laurente. Rapida svolta a destra. La chiesa è chiusa. Giriamo il camper e ripartiamo, sotto lo sguardo curioso di alcuni muratori, che stanno lavorando sulla strada. Numerosi saliscendi ci fanno valicare diversi crinali. Attraversiamo piccoli paesi, poche case di pietra grigia a forma di parallelepipedo con il tetto spiovente.
Le prime sensazioni riguardo al Belgio, è che sia un paese un po’ triste, almeno questa regione. Mancano i colori, quelli dei fiori che ravvivano le case e i paesi delle altre nazioni dell’Europa settentrionale. E’ però una nazione gentile. Le persone sono davvero cortesi e la segnaletica, che rivela la velocità d’ingresso nei centri abitati, regala un merci associato a uno smile, se si è in regola.
Namur sorge alla confluenza dl fiume Sambre con la Mosa. E’ divisa in due parti: la cuspide rocciosa compresa tra la confluenza dei due fiumi è la cittadella, di fronte sorge la città moderna. La fortezza ha origini antiche. Il suo primo insediamento fu celtico. Nel corso dei secoli altri popoli e dominatori ne presero possesso, non senza averla distrutta e ricostruita. Rimase base militare fino al 1977. Oggi il suo castello ospita un albergo. Esso è circondato da un bel giardino ricco di essenze arboree e di aiuole fiorite. Purtroppo la visione d’insieme della cittadella, che abbiamo visto dal basso, passando col camper, non la documentiamo, perché nella città, che si è sviluppata sull’altra sponda della Mosa, non troviamo parcheggio.
Seguendo il corso della Mosa arriviamo a Dinant. Ci fermiamo all’unico camping della città, sulla sponda destra del fiume a 3 km dal centro abitato. Ci regaliamo mezzo pomeriggio di riposo. Seduti sulle nostre poltroncine, ci lasciamo riscaldare dal sole che continua a giocare a nascondino con dei nembi nerastri. La posizione è gradevole. La Mosa davanti a noi scorre torbida e placida, solcata da qualche natante.
La quiete notturna non è assicurata, perché le due sponde sono affiancate da strade nazionali e su una sponda passa anche una linea ferroviaria.
E’ sera, il cielo si è completamente rasserenato. Aspettiamo il buio leggendo, mentre le anatre, ciascuna con il suo pigolio, chiamano i propri pulcini, li mettono in fila indiana e insieme nuotano fino all’altra riva. Lì tutti si nascondono tra le canne per dormire nei rispettivi nidi.

15 luglio, martedì
Da mezzanotte alle sei la notte è stata silenziosa, poi è passato il primo treno e il traffico automobilistico si è messo in moto. Partiamo. La prima tappa la facciamo a Dinant. C’è subito un problema da risolvere. Il posteggio consigliato dalla guida turistica, lungo la sponda sinistra della Mosa è in rifacimento. Ci rechiamo alla stazione. Ottima scelta. Infatti, lungo il muro della ferrovia si può parcheggiare con agio.
Con un breve tragitto raggiungiamo il ponte sulla Mosa. E’ ornato di sassofoni giganti per ricordare l’inventore di questo strumento Adolphe Sax (1814-1894), che nacque in questa cittadina due secoli fa. Tutti questi grandi sassofoni ci incuriosiscono. Vogliamo conoscere qualcosa di questo strumento e del suo inventore. Adolphe Sax, seguendo le orme del padre, costruttore di strumenti musicali in ebano, iniziò a sua volta a costruire flauti e clarinetti, studiando dove forare i legni, per ottenere una perfetta intonazione. Dai suoi studi e dalle sue sperimentazioni nacque il sassofono. Esso, anche se normalmente è di metallo, spesso di ottone, appartiene alla famiglia dei legni, perché i suoi antenati sono stati appunto il flauto e il clarinetto. In Italia il sax è stato introdotto al Conservatorio di Bologna nel 1844, su consiglio di Gioacchino Rossini.
Dinant è molto particolare. Stretta tra la sponda destra della Mosa e l’imponente parete rocciosa a strapiombo sul fiume si è sviluppata in lunghezza. La osserviamo prima di attraversare il ponte. Colpisce la grande cattedrale gotica con il campanile a guglia con i bulbi. Essa si erge proprio sotto la cittadella, che dall’alto domina il fiume e la sua vallata. Entriamo nella chiesa, non c’è il clima di raccoglimento dei monasteri.
Davanti al santissimo Sacramento affidiamo la nostra giornata, poi visitiamo la chiesa.
Il lato destro del transetto ha un complesso di campane, che ogni domenica sono battute per il concerto. Molto belle sono anche le vetrate istoriate.
Poi con la funicolare, che ci risparmia 408 gradini di salita, ma soprattutto di discesa, saliamo alla cittadella.
La cittadella si differenzia dal castello, perché quest’ultimo era di proprietà di un signore, mentre la cittadella era una fortezza militare, proprietà della collettività.
E’ d’obbligo la visita guidata. La nostra guida è un anziano signore, che prima di iniziare il giro s’informa della nazionalità dei suoi clienti. Il gruppo è formato da quattro francesi, otto olandesi e due italiani, noi. La guida si rammarica di non conoscere la nostra lingua e ci chiede se capiamo un po’ il francese, gli rispondiamo che se parla adagio e semplice, qualcosa comprendiamo. Si parte. La cittadella è stata costruita nel 1040 e nel corso dei secoli è stata conquistata, distrutta e ricostruita più volte. Luigi XIV nel XVII secolo la trasformò in un castello e fece costruire anche una strada carrareccia per potervi salire con la carrozza. Poi la cittadella tornò a essere una fortezza militare. Le devastazioni più gravi le subì durante i due conflitti mondiali per opera dei tedeschi. Durante la I guerra mondiale, che fu combattuta in trincea, la cittadella fu assediata ed espugnata. Tutti i soldati che si erano asserragliati in essa furono trucidati. Durante la II guerra mondiale la cittadella fu bombardata. Quella che oggi si visita, è la sua fedele ricostruzione. Visitiamo i diversi ambienti. Il carcere con le sue anguste celle e la sala che raccoglie gli strumenti di tortura e di morte sono ambienti umidi e bui. L’alloggiamento dei soldati è molto spartano. La cucina, il forno per il pane, la fucina sono allestiti come diorami.
Transitiamo anche attraverso la ricostruzione di una trincea. Questo breve percorso è animato dai suoni cupi delle cannonate e dal crepitio delle mitragliatrici. L’emozione che proviamo è orrore, perché richiama alla nostra mente le angosciose pagine del diario del nonno Luigi che, ventenne, visse sulla propria pelle la terribile esperienza della trincea, scampando miracolosamente nella sconfitta di Caporetto.
Il cuore ritrova serenità quando dalla cinta esterna osserviamo il panorama della città e del suo fiume.
Ripreso il camper, ci indirizziamo verso un’altra abbazia trappista, quella di Scourmont. Saliamo rapidamente sul versante che delimita a sinistra la Mosa. Un’interruzione stradale ci costringe a una deviazione. Percorriamo una strada più stretta, immersa nella foresta, abitata da cinghiali. Alcuni cartelli avvertono che c’è il rischio di un attraversamento frequente, ma anche questa volta non vediamo gli animali.
L’abbazia di Scourmont si trova nel bacino idrografico della Mosa, ma per raggiungerla la strada ci fa valicare per due volte lo spartiacque tra quel bacino idrografico e quello della Senna. Infatti, per un breve tratto percorriamo a ritroso, fino alla sua sorgente, il corso del fiume Oise, affluente della Senna. La sorgente di questo fiume si trova esattamente sul 50° parallelo nord.
Arriviamo al monastero. Il luogo sacro è immerso in un grande giardino. Alberi secolari lo ombreggiano. Tra le numerose specie spicca una sequoia gigante. La chiesa è semplice. La sua facciata, lineare e grigia, può sembrare anonima. Internamente la chiesa è bianca e disadorna, tutto fa convergere lo sguardo e il cuore verso il crocefisso che chiude l’abside. Accanto alla chiesa un lungo caseggiato ospita il birrificio. L’aria è impregnata dell’aroma dolciastro del malto fermentato. Percorriamo i vialetti, una piccola cappella è un altro luogo di preghiera e di meditazione. In fondo alla tenuta c’è il cimitero. Le tombe sono circondate da siepi ben tenute. Esse si differenziano solo per i nomi dei monaci e le date di nascita e di morte affisse sui crocefissi, tutti uguali.
Ripartiamo e a un chilometro dall’abbazia ci fermiamo all’emporio ufficiale. Compriamo alcuni regali e una birra per noi, sarà lo “spumante” per festeggiare domani il nostro anniversario di matrimonio.
Il viaggio prosegue fino a Chimay. Qui alloggiamo al camping comunale, che si trova in prossimità del centro cittadino. Visitiamo il duomo dedicato ai Santi Pietro e Paolo. E’ un edificio gotico, ma all’interno ha gli altari barocchi, che stridono con la sua architettura originale. Il duomo si affaccia alla Grand Place insieme a eleganti palazzi. Su un lato della piazza un arco introduce al castello quattrocentesco, fatto costruire dal principe Charles De Croy, le cui spoglie si trovano nel duomo. Il castello, distrutto da un incendio nel 1935, è stato fedelmente ricostruito.
La giornata è trascorsa senza sole, ma senza pioggia. E’ ormai sera, ci dedichiamo ai nostri compiti delle vacanze e a programmare i dettagli delle prossime tappe del viaggio.

16 luglio, mercoledì
Ci svegliamo alle ore 7.00, scambiandoci reciprocamente gli auguri per il nostro trentasettesimo anniversario. Ci prepariamo velocemente e torniamo all’abbazia di Scourmont per partecipare alla santa messa e rinnovare la promessa matrimoniale.
Al termine della celebrazione ripercorriamo i vialetti del parco assaporando il calore dei raggi mattutini di questa giornata, che si presenta serena, sotto ogni aspetto.
Prima di ripartire, mentre sorseggiamo il caffè, leggiamo gli SMS di auguri che i nostri figli ci hanno inviato e li ringraziamo per il gentile e sentito pensiero.
Il nostro viaggio prosegue. Lo spostamento è di circa 60 km, diviso in tre tappe. La prima sosta è a Mariemburg. Il nome ci incuriosisce perché il termine burg significa castello. In effetti, il paese in origine era una fortezza, ma la sua cinta muraria è stata completamente abbattuta nel 1852 per testimoniare la neutralità del Belgio. Della cittadella resta la forma poligonale della piazza principale alla quale si affaccia il duomo cinquecentesco, che però è chiuso.
La seconda sosta è a Philippeville. Anche questo paese, enclave francese tra il XVII e il XIX secolo, era una cittadella fortificata. La sua pianta era pentagonale. Come a Mariemburg non c’è traccia della sua cinta muraria, la piazza principale conserva la sua sagoma.
Ci siamo fermati in due paesi poco interessanti da un punto di vista turistico, ma ci hanno consentito una spesa adeguata alla cenetta che faremo questa sera.
La terza tappa è all’area di sosta situata sul lago artificiale De la Plate Taille. Con la modica cifra di 5.00 € è consentita la sosta per la notte e il carico e lo scarico dell’acqua. Il ragazzotto che gira per il parcheggio per far pagare il ticket, quando vede che siamo italiani, esprime ai francesi accanto a noi la sua preoccupazione riguardo la reciproca comprensione, poi si tranquillizza quando gli diciamo che il francese un po’ lo capiamo.
Siamo in una posizione incantevole. Il paesaggio cambia davvero espressione, secondo le condizioni meteorologiche. La giornata soleggiata ravviva i colori, ma anche l’animo di chi guarda e ci fa cogliere sfumature e particolari.
Nel pomeriggio diamo ragione alla nostra voglia di bicicletta. Ci mettiamo in sella e seguiamo la pista ciclabile che circumnaviga il lago. Lo stradello è molto frequentato anche dai passeggiatori fino al lido, che dista un paio di chilometri dall’area camper. L’andatura che teniamo è ideale per scaldare i muscoli. Oltrepassato il lido, la ciclabile prosegue immersa nel bosco. Ha diverse salitelle, che ci dimostrano lo scarso allenamento che abbiamo. D’altronde è passato un anno dall’ultima pedalata. Per fortuna ci sono anche delle brevi discese, che permettono di riprendere fiato e di smaltire la fatica accumulata. Tagliata una strada secondaria, la ciclabile prosegue lungo un percorso completamente pianeggiante e si snoda in un ambiente ombroso fino alla diga, la oltrepassiamo e raggiungiamo il camper. La prima sgambata della vacanza, poco più di 18 km, è stata assorbita bene dall’organismo, soprattutto dalla parte a contatto con la sella!
Per festeggiare Paola prepara una cena semplice e gustosa. Avendo pranzato con una pastasciutta, iniziamo la cena con il secondo: arrosto di pollo affumicato con pomodori in insalata, frutta di stagione e per dolce, tartelle con lamponi e fragole. Il tutto lo innaffiamo con la birra Chimay Bleue Grand Reserve, dal colore rame scuro, dalla schiuma cremosa e persistente e dal gusto un po’ amaro.

17 luglio, giovedì
La notte in riva al lago ce la immaginavamo silenziosa e riposante come quella trascorsa in Norvegia, ma tra l’immaginazione e la realtà, la distanza può essere abissale. La nostra notte è durata esattamente tre ore e trenta minuti, perché fino alle ore 2.30 la musica della discoteca poco distante ci ha martellato con i suoi ritmi ripetuti e incalzanti e alle ore 6.00, i giardinieri con i decespugliatori hanno iniziato a tagliare l’erba dell’area.
Restiamo a letto fino alle ore 8.00, poi ci alziamo e partiamo. Lo spostamento programmato è di circa 70 km. Seguiamo strade secondarie, che percorrono zone prevalentemente agricole: patate e barbabietole da zucchero sono le coltivazioni. Dove il suolo è lasciato a riposo, ci sono i bovini al pascolo. Attraversiamo piccoli paesi, formati da poche case raggruppate intorno alla loro chiesa. La prima tappa è la cittadina di Charleroi. Ci interessa visitare il Museo della Fotografia, che è tra i più grandi di Europa.
Un appassionato di quest’arte, come lo è Giuseppe, non può certo ignorarlo. Il museo illustra, attraverso gli scatti originali, la storia della fotografia. Conserva le apparecchiature fotografiche, che nel tempo si sono succedute, facendo cogliere la loro storia evolutiva. Presenta anche delle mostre. Quella allestita in questo periodo è del fotografo Rodolphe Archibald Reiss, che insegnò tecnica fotografica presso importanti università europee e lavorò come criminologo, portando per primo in questo lavoro la fotografia. Si può senza dubbio affermare, che è stato l’ideatore della polizia scientifica.
Dopo un rapido pranzo a base di panini, ripartiamo con destinazione Marcinelle. L’obiettivo è visitare la miniera di carbone, che il giorno 8 agosto 1956, alle ore 8.10, prese fuoco, portando alla morte 262 minatori di dodici nazionalità diverse. 162 minatori erano immigrati italiani. Arrivati nella località, abbiamo delle difficoltà a trovare la miniera, perché non sappiamo, come sia indicata. Così, girando un po’ a caso, arriviamo davanti a un’acciaieria, oggi di proprietà indiana. Il Belgio, che è stato la seconda potenza industriale europea, forte dell’industria estrattiva, di quella siderurgica e di quella meccanica, oggi è un paese in declino, perché non ha saputo riconvertire le proprie produzioni e si trova costretto a cedere ciò che gli rimane ai paesi emergenti.
Poi scopriamo che la miniera si chiama Le Bois du Cazier. Allora ci ricordiamo di aver visto alcuni cartelli indicatori. Finalmente siamo alla miniera. Anche qui siamo considerati in età avanzata, paghiamo il biglietto ridotto. La miniera si chiama “bosco”, perché il suo suolo era un bosco di proprietà della famiglia Cazier. La società della miniera Le Bois du Cazier è stata una delle venti società, che operavano in questa zona.
Per la polvere che aleggiava nell’aria e si depositava su ogni cosa, Marcinelle era chiamata la città nera.
Questa miniera è entrata in funzione nel 1901, producendo 160.000 Mkg (megachili), che una volta erano chiamati tonnellate, di carbone l’anno. La guerra tra le diverse società ha spinto Le Bois du Cazier a incrementare la produzione mediante uno sfruttamento più pressante della manodopera. Nel 1955 la produzione annua raggiunse i 170.558 Mkg, poi l’otto agosto dell’anno successivo la tragedia, seguita da un anno d’interruzione dell’estrazione e nuovamente da dieci anni di attività.
Dal 1989 la miniera è di nuovo aperta. Essa è diventata un museo e un memoriale della tragedia. Seguiamo le trenta tappe del percorso ascoltando l’audioguida in italiano. Essa non dà una soporifera descrizione dei luoghi e dei fatti, ma si configura come una conversazione tra due fratelli italiani, Luigi e Monica, che all’epoca del disastro avevano rispettivamente diciotto e undici anni. Luigi da due anni lavorava in miniera, stava imparando il mestiere. Quella mattina aveva appena terminato il suo turno di lavoro. Il loro padre, invece, era nelle viscere della terra ed è stato una delle vittime. Monica, dopo aver studiato e lavorato come impiegata, ha sentito il bisogno di tener desta la conoscenza del più grave incidente sul lavoro europeo. Insieme a ex minatori, ai figli delle vittime e a degli storiografi, è riuscita a far riaprire la miniera. Erano ormai passati trent’anni dalla sua chiusura. L’ambiente era stato saccheggiato, ma grazie alle testimonianze e al recupero di macchinari di altre miniere dismesse, Monica è riuscita a far ricostruire i vari ambienti. Giriamo in silenzio. Abbiamo nel cuore un sentimento di pietà. Nella camera dove sono esposte le fotografie di tutti i minatori morti, recitiamo una preghiera di suffragio.
Un interessante filmato spiega l’incidente. Esso mostra le immagini girate nei momenti successivi al fatto. L’incidente è avvenuto perché, mentre un minatore stava caricando un carrello nell’ascensore, per inviarlo giù in galleria, l’ascensore si è messo in moto. Il carrello, sporgendo dall’ascensore, alla profondità di 975 m ha tranciato il tubo dell’aria compressa, i cavi elettrici e il condotto dell’olio. La scintilla del cavo elettrico ha provocato l’incendio dell’olio e quindi della miniera, essendo il carbone, un combustibile.
Gli operai e i tecnici, che operavano in superficie, vedendo la colonna di fumo denso e nero uscire dalla torre di estrazione, hanno subito capito che in profondità era scoppiato un incendio di vaste proporzioni, ma non poterono intervenire subito. Infatti, l’altra colonna di estrazione era interrotta per un guasto e la terza colonna era in costruzione ed era separata dalle altre due da un diaframma. Quando questo fu abbattuto, la carneficina si era ormai compiuta.
Ci vollero parecchi mesi per estrarre tutte le vittime.
Dall’inchiesta risultò che l’unico responsabile era il direttore della miniera. Il Consiglio di amministrazione e la proprietà furono prosciolti da ogni accusa.
Dopo questa tragedia la CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio) si è attivata per dare delle regole riguardo alla sicurezza degli ambienti di lavoro.
In un viale c’è una campana. E’ stata forgiata in Abruzzo nelle Officine Pontificie mediante l’opera della Federazione dei Maestri del Lavoro d’Italia, con i contributi finanziari di tutte le regioni d’Italia di cui erano originarie le vittime, in occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia. Dal 2006 ogni anno nel giorno 8 agosto sono suonati 262 rintocchi per ricordare ogni vittima e altri 12 per ricordare le loro nazioni di provenienza. La campana è chiamata Maria Mater Orphanorum; essa ricorda i quattrocentosei orfani del disastro.
Usciamo, sono quasi le 17.00. Pensiamo che l’idea migliore sia quella di trovare un campeggio vicino alla visita di domani. Lo individuiamo a Binche. Lungo la strada, vediamo l’indicazione per l’abbazia di D’Aulne. Ci ricordiamo di aver letto che sono delle rovine, decidiamo di andare. Svoltiamo a sinistra lungo la valle del Sambre. Una strada stretta e tortuosa ci porta alla meta. Posteggiamo il camper e ci dirigiamo all’accueil. Sono le ore 17.40. Il luogo chiude alle ore 18.00. Un quarto d’ora prima della chiusura non è più consentito l’ingresso. La signora della biglietteria ha già chiuso il cancello con la catena e il lucchetto. Ci dice di tornare domani o in un qualsiasi altro giorno. Vede che siamo dispiaciuti, ma è irremovibile. Poi ci chiede da dove veniamo e se siamo in vacanza in questa zona. Le rispondiamo che siamo italiani e che stiamo facendo un tour del Belgio, quindi che non possiamo ritornare. E’ dispiaciuta, ma continua a dirci che ormai il sito è chiuso. Delusi, le voltiamo le spalle e, mentre ci incamminiamo, ci chiama, ci fa promettere che staremo dentro solo quindici minuti, ci vende i biglietti e riapre il cancello. Che gioia inaspettata!
L’abbazia è stata fondata nel VII secolo da Saint Landelin. Inizialmente era benedettina, nel XII secolo diventò cistercense. Nel corso dei secoli si è ampliata e nel 1794, durante la rivoluzione francese fu distrutta. Quello che rimane oggi sono le sue rovine.
Accanto e collegate alle rovine, c’è una casa di riposo per anziani. Quando la campana della nuova chiesa batte le ore 18.00, usciamo. Giuseppe ringrazia con un bel sorriso la signora per la sua comprensione e gentilezza. Lei lo ricambia con un augurio di buon viaggio.
Dopo un’ora arriviamo al Camping De la Sabliére a Epinois (Binche). Ha il camper service, governiamo il mezzo, ceniamo e, con la messa a punto delle fotografie e del diario, terminiamo la giornata.

18 luglio, venerdì
Dopo un po’ di notti corte, finalmente eccone una lunga. Senza sveglia ci alziamo alle ore 9.00. Oggi sarà una giornata poco impegnativa, perché dobbiamo anche dedicarci alle faccende domestiche.
Partiamo. La prima destinazione è la cittadina di Mons, che dista circa 20 km dal campeggio. Dopo circa 5 km ci fermiamo in fondo a una lunga coda, il cui capo è davanti a un passaggio a livello chiuso. Davanti a noi c’è un’automobile inglese. Stiamo fermi cinque minuti. Il treno non transita. Alcune automobili, ingranano la marcia e presso il passaggio a livello svoltano a sinistra. Tutti avanziamo un po’. Intanto le sbarre continuano a rimanere abbassate. Alcune automobili, che ci seguono con un rombante scatto, superano la fila e girano anche loro a sinistra. Allora altri prendono la stessa iniziativa, perfino gli inglesi si accodano a tutte quelle automobili targate Belgio. Ci troviamo così primi e soli davanti al passaggio a livello, che continua a rimanere chiuso. Noi non ci arrischiamo a seguire gli altri automobilisti, perché quella strada a sinistra è molto stretta. Probabilmente conduce a un sottopasso. Non sapendo però quanto è alto e quanto è largo, temiamo di trovarci nella condizione di dover tornare indietro in una situazione dove è impossibile fare inversione, data la lunghezza del nostro mezzo.
Aspettiamo pazientemente. Nel frattempo alcuni pedoni approfittando del fatto che il passaggio a livello presenta mezze sbarre, si arrischiano a passare: uno sguardo a destra e uno a sinistra e via veloci sui binari. Perfino un furgone fermo nell’altro senso di marcia, sciaguratamente compie quella pericolosa manovra. Noi attendiamo fiduciosi il transito del treno. Dopo un altro quarto d’ora, le sbarre si alzano, senza che il treno sia passato. Attraversando i binari, vediamo il treno fermo in stazione.
Arrivati a Mons, il problema da risolvere è trovare il posteggio. A un semaforo c’è ferma una pattuglia di polizia. Chiediamo consiglio. Il poliziotto ci spiega la strada da seguire. Lungo il Ring, prendere l’uscita centro, lì si trova una piazza con il parcheggio adatto anche ai camper. Indicazione perfetta. Dopo pochi minuti, pianta della città in mano, siamo pronti per la visita.
Mons è una cittadina circondata da un anello forestale. La sua origine è antica, risale al VII secolo, con la costruzione di un oratorio, diventato poi monastero. L’importanza di questo centro è di essere sede degli uffici amministrativi e giudiziari della provincia e di essere anche una città universitaria. Sulla strada per raggiungere la Grand Place troviamo la chiesa di sant’Elisabetta, non nominata dalla nostra guida turistica. Entriamo per una preghiera e ci troviamo in un edificio artisticamente interessante. Da un foglio esplicativo, scritto in italiano, che troviamo all’ingresso, apprendiamo la sua storia. Nel 1345 una vedova donò la sua casa signorile e lasciò indicato che al suo posto fosse costruita una cappella consacrata alla sua santa patrona: Santa Elisabetta. La cappella assunse nel tempo sempre più importanza e diventò parrocchia. Ciò comportò l’abbattimento della cappella e la costruzione della chiesa. Venne così costruito un edificio in stile gotico. Nel XVIII secolo, mentre erano in corso dei lavori di ristrutturazione, un incendio lo distrusse quasi tutto. L’edificio religioso fu ricostruito, conservando le parti gotiche superstiti e completandolo in stile barocco. Quello che ci piace di questa chiesa sono gli altari tutti di legno, il pulpito di legno intarsiato e il coro, proveniente da un antico monastero.
Proseguiamo e arriviamo alla Grand Place. E’ un’ampia piazza alla quale si affacciano signorili edifici, tra cui l’Hotel de Ville, cioè il palazzo comunale. Il centro della piazza è occupato dal mercato orto frutticolo e floreale; il contorno dai tavolini dei bar e delle brasserie. Il palazzo comunale, costruito nella seconda metà del 1400 in stile gotico, è sormontato da una torretta del XVIII secolo. Alla sinistra del suo portone c’è una piccola scimmietta di bronzo. E’ accovacciata. Si dice che toccandola porti fortuna. Noi non siamo superstiziosi, quindi ci asteniamo da questo rito pagano. Entriamo nel palazzo comunale. Sulla destra c’è l’atrio che porta alla sala dei matrimoni. All’interno il palazzo ha un bel giardino ombroso, ornato di aiuole fiorite. Si respira un’aria di serenità, anche perché dal vicino conservatorio giungono le note delle prove di un’orchestra.
Saliamo poi lungo una via fino al Beffroi, che è il simbolo della città, patrimonio mondiale, secondo l’UNESCO. Con i suoi 87 m è il più alto campanile barocco d’Europa. E’ stato costruito nella seconda metà del XVII secolo. Ha la base quadrata ed è sormontato da pinnacoli a cipolla con fregi dorati. Possiede quarantanove campane, che suonano ogni quarto d’ora. Purtroppo adesso l’orologio è fermo, perché il campanile è in ristrutturazione, come molti altri edifici e musei della città, perché Mons deve mostrare, l’anno prossimo, tutta la sua bellezza, essendo stata designata dall’Europa, capitale della cultura. Da questa elevata posizione osserviamo il bel panorama della città e del suo circondario.
Conclusa la visita di Mons, raggiungiamo il Camping De l’Orient, che si trova a due chilometri da Tournai. E’ un bel campeggio con ampie piazzuole, separate tra loro da folte siepi. Ogni piazzuola ha l’attacco elettrico, la presa d’acqua e una griglia per lo scarico delle acque grigie. Tutto ciò è dato per la modica cifra di 15.00 €!
Dopo le faccende domestiche, ci riposiamo e rinfreschiamo. Al sole si cuoce, essendoci 36° C, però all’ombra il lieve venticello offre una sensazione di benessere.

19 luglio, sabato
Si sta proprio bene in questo campeggio. Decidiamo di fermarci per il week end, regalandoci qualche ora di dolce far niente. Di mattina provvediamo alla cambusa. Il supermercato del centro commerciale qui vicino appartiene a una catena belga. Troviamo, che ha i prezzi più alti rispetto ai supermercati Carrefour o Cora, che ci hanno servito nei giorni scorsi. Ci limitiamo allo stretto necessario. Comunque abbiamo verificato che nel complesso il costo della vita è paragonabile a quello di Milano, mentre il gasolio è meno caro. Costa fino a 0.30 € in meno al litro.
Dopo il pranzo veloce e leggero, arriva la delusione: inizia a piovere. Dopo mezz’ora smette. Il cielo è ancora coperto, arruffato di nubi grigie e nere, ma c’è un po’ di aria, che fa ben sperare. Ci prepariamo e partiamo per un giro in bicicletta. Dopo sei chilometri inizia a piovere, prima qualche goccia, poi in modo fitto e sottile. Torniamo velocemente al camper. Il tempo oggi ci prende in giro! Arrivati al mezzo, cessa il diluvio, le nubi si schiariscono, si diradano ed esce il sole. Riprendiamo le biciclette e ricominciamo la gita. Raggiungiamo il fiume L’Escaut, passiamo il ponte e sulla sponda opposta iniziamo a percorrerlo seguendo la sua corrente. Il panorama è desolante. Il fiume ha l’acqua putrida, alla sua alzaia si affacciano industrie dismesse. Qualche chiatta è ancorata. Facciamo inversione e pedaliamo nella direzione opposta. Niente d’incantevole, ma il panorama è un po’ meglio. Dopo qualche chilometro vediamo una parte della possente cinta muraria, che una volta circondava la città. Proseguiamo fino a un ponte che ci permette di passare all’altra sponda, per chiudere il giro e tornare in campeggio.
Dopo venti chilometri pedalati, Giuseppe termina il pomeriggio guardando le pedalate ammirevoli e faticose, che i ciclisti stanno sudando sul Colle dell’Isoare in una tappa del Tour de France.
Di sera, un fortissimo temporale fa sperare in una giornata migliore.

20 luglio, domenica
Dal campeggio con una camminata di mezz’ora siamo in centro città. Alle ore 10.00 partecipiamo alla santa messa, celebrata nella cattedrale, poi visitiamo la città.
Tournai è una cittadina la cui origine è molto antica. Già all’epoca romana visse un periodo di grande sviluppo, essendo il centro di numerosi commerci. Nel corso dei secoli, ha avuto fortune alterne. Ebbe ancora grande fulgore nel periodo della rivoluzione industriale con lo sviluppo dell’industria manifatturiera per la produzione di arazzi e di porcellane. Subì pesanti bombardamenti durante la II guerra mondiale e fu la prima città belga liberata dagli alleati, il 3 settembre 1944.
Oggi vive un periodo di declino, dal quale forse sta cercando di uscire, visti i numerosi cantieri che la occupano. La cattedrale è in fase di completa ristrutturazione. Due sue guglie sono completamente impacchettate e una delle altre tre ha dei ponteggi. All’interno l’abside è completamente nascosto dalle impalcature del cantiere. Della cattedrale si riconosce lo stile romanico della navata centrale, molto bello è il rosone sopra il portale, che si affaccia su un’austera piazzetta. Accanto alla cattedrale s’innalza il Beffroi, il tipico campanile di questi luoghi, simbolo di libertà. Esso è il più antico campanile del Belgio ed è alto 72 m. Proseguiamo fino alla Grand Place. Questa piazza è circondata da eleganti palazzi. Tra essi spicca la Halle des Draps, la cui facciata è impreziosita da decorazioni dorate. Questo palazzo un tempo era il mercato dei tessuti. Dalle facciate degli altri palazzi sventolano le bandiere delle corporazioni artigianali. Un tempo ognuna aveva la loro sede nei diversi palazzi.
Rientriamo in campeggio intorno alle ore 13.00. Paola cucina il pranzo. Il menù consiste in risotto con i funghi, wurstel con senape, accompagnati da una gustosa birra artigianale e, essendo domenica, non può mancare il dolce: una tartella di mele, equamente divisa in due.
Trascorriamo il pomeriggio e la sera con un prolungato riposo.

21 luglio, lunedì
Tournai dista pochi chilometri dal confine francese, oltre il quale c’è la cittadina di Roubaix, rinomata per gli amanti del ciclismo, perché nel suo velodromo termina la corsa Parigi -Roubaix, una delle classiche del nord, che presenta diversi tratti in pavè. Memori del tratto in pavè che avevamo pedalato nella foresta di Arenberg, abbiamo previsto di sconfinare per percorrere l’altro tratto altrettanto famoso: il pavè de l’arbre. Purtroppo questa mattina il cielo è minaccioso. Decidiamo di recarci comunque a Roubaix per vedere il velodromo, verificare se effettivamente è aperto al pubblico, recuperare possibilmente la mappa dell’ultimo tratto di questa corsa. Speriamo di poter pedalare su quel rinomato tratto, se ripasseremo da queste parti. Pochi chilometri ci separano da Roubaix, ma delle interruzioni stradali disorientano il navigatore, così la strada si allunga, transitiamo su tratturi asfaltati, che ci regalano la visione di paesaggi bucolici. E’ un continuo dentro e fuori il confine con la Francia. Non ci sono frontiere, né cartelli a indicare il cambio di nazione. Ciò che cambia è la pavimentazione stradale: ben tenuta in Francia, molto dissestata in Belgio, che però si preoccupa di avvisare il viaggiatore ponendo ai margini della carreggiata il cartello con scritto route degrade.
Altro segnale indicatore sono le bandiere del Belgio che sventolano appese alle finestre di molte case. Per questa nazione essere andata ai mondiali di calcio, aver passato la fase a gironi e aver perso ai rigori con i padroni di casa, è come aver vinto il campionato del mondo.
Infine il segnale ben più fastidioso è il continuo succedersi di SMS, che l’operatore telefonico di Giuseppe invia secondo la cella, che il suo cellulare aggancia.
Eccoci al velodromo. E’ aperto al pubblico. Il veloclub non ha le mappe, ma vende i famosi porfidi come souvenir, ne compriamo uno.
Ripartiamo. Poco lontano da Roubaix, sempre in territorio francese, c’è l’abbazia di Sainte Marie du Mont des Cats.
Un’altra interruzione allunga i tempi del viaggio. Questa volta è una corsa ciclistica amatoriale, che incrociamo in un paese. Vinca il migliore!
Il monastero di Sainte Marie du Mont des Cats è abitato da monaci trappisti cistercensi, che l’hanno fondato nel 1847. L’abbazia è stata consacrata nel 1898 e poi riconsacrata nel 1950, dopo che all’inizio del XX secolo lo spirito laicale antireligioso aveva spinto i monaci a trasferirsi in Belgio. Arriviamo poco dopo le ore 15.00. L’abbazia non è visitabile, si può solo partecipare alle funzioni liturgiche. Per la messa dovremmo attendere due ore. Ci sembra un tempo eccessivo. Del monastero visitiamo la cappella di san Bernardo, alla quale si accede dalla strada. Poi nell’emporio dei monaci acquistiamo della birra e due piccole forme di formaggio. Riprendiamo il viaggio verso nord. Prima di raggiungere il mare, andiamo a Westvleteren, dove i monaci dell’abbazia producono la birra, rinomata per essere la migliore del Belgio. Altra delusione. Anche questo monastero è chiuso. La cappella del pellegrino è un lurido e misero locale all’interno c’è una piccola statua della Madonna. L’emporio è a sua volta chiuso, leggendo il cartello affisso fuori, scritto solo in fiammingo, capiamo che vende solo su ordinazione. Il locale per la degustazione, che sta di fronte, è gremito, perché oggi in Belgio è festa nazionale. Ha appeso un cartello che avvisa che non vende birra da asporto.
La giornata è stata nel complesso deludente, ma termina positivamente con il nostro arrivo a Bray Dunes. Siamo in territorio francese, proprio sul confine con il Belgio. Alloggiamo al Camping Club Perroquet. E’ un grande villaggio turistico, che si affaccia al Mare del Nord. Sistemato il camper con una passeggiata di circa un chilometro e mezzo, superiamo le dune costiere e arriviamo sulla spiaggia. E’ una larghissima distesa sabbiosa, battuta dal vento. Un lieve profumo di salmastro ci riempie i polmoni.

22 luglio, martedì
La mattina è bigia e ventosa, però non piove e questa è già una bella notizia, ben augurale per la nuova giornata turistica, che stiamo per intraprendere.
Con un breve spostamento di 10 km rientriamo un po’ all’interno e arriviamo a Veurne. Siamo nelle Fiandre, le terre belghe che hanno vissuto maggiormente la tragedia delle due guerre mondiali. In particolare durante la prima guerra mondiale la popolazione di questa zona, guidata dal giovane re Alberto I, oppose una strenua resistenza all’avanzata tedesca in armi e creando condizioni territoriali sfavorevoli con l’inondazione delle pianure. Questo evento è ricordato con tre parole: fango, sangue e papaveri. Veurne è una piccola città. Posteggiamo il camper nell’area indicata sulla sponda del canale che collega Nieuwpoort e Dunkerque. La città vecchia abbraccia con signorili palazzi in stile gotico fiammingo una grande piazza, la Grote Markt. L’effetto ottico sarebbe ancora più affascinante, se la piazza fosse un’isola pedonale e per lo meno non fosse un grande parcheggio. Visitiamo la chiesa di San Nicola. Al suo interno apprezziamo l’organo e il pulpito. La facciata è sovrastata da un’imponente torre, con orologio, risalente al XIII secolo. La chiesa più importante della città è quella dedicata a Santa Walburga. Essa è un grande edificio sorretto da contrafforti e ornato di numerose guglie. Internamente osserviamo il pulpito di legno, pregevoli altari e vetrate, il maestoso organo, ma soprattutto le reliquie della santa alla quale è dedicato il tempio stesso. Walburga visse nel secolo VIII. Di origine britannica, essa fece parte di un gruppo di monache e monaci che aiutarono San Bonifacio a diffondere il cristianesimo in Germania. Dopo la sua morte avvenuta nel febbraio del 779, intorno alla sua figura si sviluppò un culto di venerazione. Un secolo dopo, alcune sue reliquie furono portate in Francia e nelle Fiandre. Il culto per questa santa, venerata come guaritrice, si diffuse ulteriormente.
Anteposta alla facciata attuale e staccata da essa, c’è l’antico portale trecentesco.
Il Beffroi ha la base ottagonale e si erge elegantemente di fronte alla chiesa.
Dopo aver acquistato la quotidiana baguette e un pane dolce con l’uvetta per la colazione, pranziamo all’italiana: spaghetti col pomodoro.
Ripartiamo, penetriamo ancora un po’ all’interno fino alla città di Jeper, se si parla fiammingo o di Ypres, se si preferisce il francese. Jeper è stata una delle città martiri della I guerra mondiale. E’ stata rasa al suolo. Oggi si presenta ricostruita, identica a com’era prima della catastrofe. Posteggiamo il camper lungo il canale in prossimità del Menenpoort. Questo è una gigantesca porta di pietra bianca. E’ un memoriale. Ricorda i quasi 55.000 soldati britannici e del Commonwealth, che sono morti nelle sanguinose battaglie di trincea della I guerra mondiale e il cui corpo risultò disperso. Tutti i loro nomi sono scritti suddivisi per nazione e per reggimento di appartenenza.
Dalla porta proseguiamo lungo la via principale e raggiungiamo il Grote Markt in cui spicca La Kenhalle. Questo imponente caseggiato, con la sua armoniosa torre medioevale, un tempo era lambito dalle acque del canale e il suo piano terra ospitava i magazzini, dove erano stoccate le balle di lana. Adesso è la sede del Fiandres Fields, un museo interattivo, tutto dedicato alla I guerra mondiale. Visitiamo il museo. E’ interessante, ma un po’ caotico nell’organizzazione dei contenuti. A causa del suo grande affollamento incontriamo qualche difficoltà nel sostare a lungo davanti ai pannelli esplicativi, scritti solo in olandese, francese, inglese e tedesco. Il filmato in lingua inglese è sottotitolato nelle altre lingue suddette, però le parole scorrono troppo velocemente. Qui apprendiamo, che nella guerra 1914-1918 hanno utilizzato per la prima volta le mitragliatrici, le bombe e i gas nervini.
Dopo visitiamo il duomo. E’ adibito al culto, ma al suo interno è allestita una mostra d’arte moderna intitolata Anno Orribile. Per noi è orribile la scelta di utilizzare un luogo di preghiera per un evento profano.
Raggiungiamo di nuovo il camper camminando sulla sommità del bastione, la parte della cinta muraria rimasta in piedi. Questa possente fortificazione, fatta di mattoni, affonda le sue fondamenta nel fossato, che la costeggia. Sulla sua sommità oggi c’è un ombroso parco. Attraverso una passerella pedonale attraversiamo il canale e siamo al camper. L’anziano camperista tedesco, che ha il mezzo vicino al nostro, ci informa che il camping è completo, quindi si può sostare qui per la notte, gratuitamente. Gli rispondiamo che noi siamo diretti altrove. Sembra un po’ deluso.
Partiamo e torniamo sulla costa, dove alloggiamo nell’area camper custodita, della cittadina di Nieuwpoort.

23 luglio, mercoledì
Finalmente una giornata limpida e soleggiata. La brezza di mare sta sospingendo verso l’interno gli ultimi bianchi ciuffi lanosi, sparsi nel cielo. Ci prepariamo per la gita in bicicletta. Lasciamo l’area e subito dobbiamo sostare, perché il ponte levatoio del canale che unisce questa cittadina a Dunquerke è alzato. Ad attendere nuovamente il transito ci sono tante biciclette e alcune automobili. Dopo pochi minuti ecco la strada, alta davanti a noi, si abbassa. Le automobili non partono. Prima lasciano transitare tutti i ciclisti in entrambe le direzioni e poi si accodano lentamente dietro. La precedenza ai ciclisti e l’estensione delle piste ciclabili, anche fuori dai centri abitati, sono una nota positiva di questa nazione. Visitiamo Nieuwpoort. Il suo centro storico, completamente ricostruito, dopo i bombardamenti della I guerra mondiale riproduce l’originaria architettura medioevale. Eleganti palazzi con il tetto a gradoni si affacciano alla piazza principale, dietro la quale sorge il duomo. Entriamo nella chiesa. Ci colpisce la Via Crucis. I quadri sono degli affreschi.
Poi seguiamo la ciclabile che costeggia il vecchio porto canale fino al suo sbocco nel limaccioso Mare del Nord. Per passare all’altra sponda del canale, secondo la mappa delle piste ciclabili della zona, dovrebbe esserci un piccolo traghetto. All’imbarcadero non sono però segnati gli orari. Leggendo le varie comunicazioni scritte solo in fiammingo comprendiamo che il traghetto non c’è più e che l’imbarcadero è per la motonave, che compie brevi giri turistici. Torniamo in città, passiamo il canale sul ponte e seguiamo la ciclabile fino a Middelkerke. Sulla mappa la ciclabile è indicata parallela alla strada nazionale e alla costa. Effettivamente è così, peccato che tra la ciclabile e la costa ci sia una continua duna sabbiosa, che preclude la vista del mare. Middelkerke è la tipica cittadina balneare. La speculazione edilizia non ha risparmiato neppure il litorale del Mare del Nord. Enormi condomini si affacciano sul lungomare. E’ un susseguirsi di bazar e di punti di ristoro. Sembra di essere sulla riviera adriatica. Sulla spiaggia, protetti dal paravento, qualcuno tenta di abbronzarsi, mentre giungono dal mare le voci chiassose dei bambini, che giocano sul bagno-asciuga, saltando le onde che s’infrangono.
Invertiamo la marcia e torniamo a Nieuwpoort, dove facciamo un po’ di spesa. C’è il basilico! Bene, oggi per pranzo, spaghetti al pesto! I pinoli arrivano da Milano, come la pasta, l’olio e il parmigiano.
Nel pomeriggio, dopo un’ora di riposo, riprendiamo le biciclette e andiamo di nuovo a percorrere il porto canale fino ai lidi. Lì lasciamo le bici e camminiamo lungo il molo fino al suo termine. Ci sono altre fotografie da scattare e un po’ di iodio da respirare.
Al rientro allunghiamo la strada di qualche centinaio di metri per visitare uno dei tanti cimiteri di guerra, presenti in questa regione. Qui sono sepolti i soldati britannici, caduti sotto il fuoco germanico. Nel centenario dall’inizio del primo conflitto mondiale onoriamo il sacrificio di questi giovani, che non hanno più rivisto la loro patria, neppure dopo la morte.

24 luglio, giovedì
Cielo azzurro, brezza di mare, un’altra giornata da godere. Alle ore 10.00 saliamo sul tram, che unisce Le Panne con Ostenda, noi saliamo a circa metà del percorso. Con due euro a testa e mezz’ora di viaggio siamo in centro città.
Ostenda si presenta moderna. I suoi alti palazzi fagocitano le case più antiche, costruite secondo l’architettura fiamminga. Percorriamo la via pedonale dello shopping e arriviamo al duomo, dedicato ai Santi Pietro e Paolo. E’ un edificio costruito all’inizio del secolo scorso in stile neogotico. E’ ornato di numerose guglie, tra le quali spiccano quelle gemelle, che s’innalzano dalla facciata.Il portale è sormontato da un grande rosone. L’interno è piuttosto buio. Ai quattro pilastri del transetto si appoggiano le statue degli evangelisti. Il pulpito è di pietra, ha scolpito due scene della vita di san Pietro e due scene della vita di san Paolo. Un ponte dietro l’abside collega il duomo alla cappella funeraria della principessa Maria Luisa. La cappella non è visitabile, ma dall’esterno si può vedere la regalità. Il cupolino racchiude la corona di rame, verde per l’ossidazione. Dietro la cappella e staccata da essa, si erge il campanile del 1729, unica traccia del vecchio duomo.
Usciamo dal luogo di culto, di fronte a noi c’è il porto con le sue darsene. Lo raggiungiamo. Qui visitiamo il museo Amandine. E’ l’ultimo peschereccio di Ostenda ad aver pescato nelle acque islandesi. La visita è davvero istruttiva. I cartelloni esplicativi, oltre che in fiammingo sono scritti in francese, inglese e tedesco. Il filmato di quindici minuti è ripetuto alternando la lingua fiamminga con quella francese. I visitatori sono pochissimi, riusciamo a leggere con calma i cartelloni e a guardare bene le fotografie. I pescherecci si spingevano a pescare fino nelle acque islandesi, perché sono le più ricche del mondo. Le compagnie della pesca, che guardavano alla quantità, quindi al profitto, pagavano bene. La rotta tra Ostenda e le coste meridionali dell’Islanda è di 1005 miglia nautiche, equivalenti a 1865 km in direzione NNO. I pescherecci impiegavano 102 ore di navigazione. Durante questo viaggio incontravano diverse difficoltà, dovute alle condizioni del mare, spesso avverse. Il punto di maggiore pericolo coincide con il luogo, dove s’incontrano le correnti dei due mari: il Mare del Nord e l’oceano Atlantico.
L’equipaggio era costituito dal capitano, il timoniere, due cuochi, due macchinisti, due meccanici e da nove pescatori. La giornata era suddivisa in tre turni di lavoro, ma quando si era sul luogo di pesca, il lavoro poteva essere protratto fino a quaranta ore consecutive.
Il filmato fa vedere bene le fatiche e i rischi sopportati da questi uomini, che potevano essere imbarcati già all’età di quindici anni. La quantità di prodotto ittico pescato giornalmente era di circa 6 Mkg. Tra le specie, il merluzzo rappresentava la percentuale maggiore. Una volta issate le reti con il loro carico, il pesce era riversato sulla tolda. Qui i pescatori lo liberavano delle interiora. Esse erano gettate in mare, per la grande soddisfazione dei gabbiani, che seguivano i pescherecci e per gli ignari pesci, che trovando il mare pasturato, accorrevano, ed erano a loro volta pescati. Poi i pesci erano suddivisi per specie e per taglia e messi nella ghiacciaia. Sbarcati a Ostenda, i merluzzi più grossi erano sezionati in quattro parti.
Acquisite queste preziose informazioni, saliamo sul peschereccio. I diversi ambienti conservano gli arredi originali e sono abitati da statue di cera, che rendono vivo il natante.
Proseguiamo la visita della città con la passeggiata lungo il molo. In questa darsena sono ancorate lussuose barche a vela. I gabbiani volano gridando la loro voracità e si avvicinano, per nulla intimoriti, alle persone che mangiano il pesce da asporto, venduto dai numerosi chioschi. E’ mezzogiorno, un certo languorino scuote lo stomaco di Giuseppe. Un assaggio di cozze è uno spuntino appetitoso. Verso la fine del molo c’è il mercato del pesce, che sta per chiudere. Il prodotto ittico è offerto a prezzi scontati. Compriamo dei filetti per la cena di Giuseppe.
Anche a Ostenda ci sono le fontane, che spruzzano acqua dal piano stradale. Fa caldo, i bambini giocano e si divertono. Bagnandosi, si rinfrescano.
Il pranzo è all’americana da Mc Donald’s. E’ un momento di pausa e di relax. Paola telefona alla sua figlioccia Noemi e le porge gli auguri di buon compleanno. Anche per Noemi gli anni spensierati dell’infanzia sono terminati. Da settembre inizierà a frequentare la scuola primaria.
Alla stazione riprendiamo il tram, che ci riporta a Nieuwpoort, in tempo per vedere l’arrivo dell’ultima tappa pirenaica del Tour de France. Vince Nibali, quest’anno è lui il dominatore di questa gara.
E’ sera, l’area camper è occupata in ogni suo stallo. Mentre il cielo ci regala una pennellata rosa, ogni equipaggio si prepara per la notte.

25 luglio, venerdì
Ci svegliamo alle ore 7.30, partiamo un’ora dopo. Breve viaggio di circa 40 km fino a Bruges, ma è meglio chiamarla Brugge, essendo una città fiamminga. Posteggiamo nell’area camper. Prima ancora di iniziare la visita della città, essa ci conferma la notorietà di cui gode. Nell’area sono presenti oltre ai soliti belgi, olandesi e inglesi, anche degli equipaggi tedeschi, spagnoli e italiani, i primi che vediamo nella vacanza.
Con una passeggiata di circa due chilometri raggiungiamo il centro. L’aria è ancora fresca, il sole si sta alzando nel cielo azzurro. Un dedalo di viuzze acciottolate con case d’epoca, ci introduce in un mondo antico. Avanzando lo scalpiccio dei cavalli che trainano i calessi, rende ancora più magica l’atmosfera. Attraversiamo alcuni ponti su dei canali, che nei secoli scorsi erano le vie d’acqua del commercio. Tramite esse giungevano in città le lane inglesi, qui lavorate per la produzione degli arazzi.
La città è di origine medioevale. Essa non ha subito gravi distruzioni durante le guerre mondiali, mostra quindi le sue chiese e i suoi palazzi nella loro bellezza originaria. Siamo ormai nella piazza centrale, il Markt. Essa è circondata da eleganti palazzi con i caratteristici frontoni a gradoni. Degni di nota, sono l’Historium, grande edificio neogotico, e il Belfort, l’alta torre campanaria del XIII secolo, a base quadrata nei primi stadi e ottagonale verso il suo culmine. Percorriamo una breve via, dove si trovano alcuni negozi dell’artigianato locale. Essi vendono lini e arazzi. Facciamo qualche acquisto. Giungiamo nel rione chiamato Burg, da sempre centro amministrativo della città. Colpisce per la sua bellezza e il suo splendore, il palazzo chiamato Brugse Vrije. La sua bianca facciata barocca è ornata con fregi e statue dorate. Accanto c’è un altro palazzo in stile gotico, che si fa notare per la sua facciata turrita. Chiude la piccola piazza, la basilica dedicata al Preziosissimo Sangue. La basilica è suddivisa in due cappelle. Quella inferiore è austera e con le statue di Gesù legato alla colonna, Gesù crocefisso, Gesù deposto dalla croce, abbandonato nelle braccia di sua Madre, aiuta a meditare sulla grazia scaturita dal sacrificio salvifico di Cristo. Quella superiore è per la gloria di Dio. Si presenta riccamente decorata e offre ai fedeli la possibilità di vedere e prostrarsi davanti alla reliquia del Sangue di Gesù, portata in Belgio nel XII secolo, in seguito alle crociate.
Visitiamo anche la cattedrale, dedicata a san Salvatore. E’ un austero edificio del XIII secolo. Il suo interno è in parte in ristrutturazione. All’ingresso ha un antico affresco. L’organo è bellissimo di legno di ebano con le canne dorate. La facciata è sormontata da un’alta torre, che dall’interno della chiesa si può illuminare per osservarne l’altezza.
Sotto la torre, riparati da un pavimento di vetro, osserviamo delle tombe dipinte.
Pranziamo con un panino. Nel pomeriggio ci imbarchiamo per una breve crociera sui canali. Essa ci permette di osservare la città da un altro punto di vista.
Ritornati a terra, deviamo leggermente dalla strada che ci riporta al camper per visitare il Begijnhof. Esso è un piccolo rione di case di mattoni, intonacate con la calce, risalente al XIII secolo. Un tempo in queste piccole case, abitavano le begijn, dame di carità, che dedicavano la loro vita ad assistere le persone bisognose. Oggi, in un complesso di queste case, vive una comunità di suore benedettine. Una casa, con gli arredi d’epoca, è aperta al pubblico. La visitiamo. E’ composta dalla cucina, dalla sala da pranzo e dalla camera da letto. Sono piccoli locali, arredati sobriamente, che si aprono su un minuscolo chiostro, un’autentica oasi di pace.
Torniamo al camper, felici per la bella giornata trascorsa e anche un po’ stanchi.
Dopo il meritato riposo, scriviamo le cartoline agli amici e ai parenti e prepariamo la cena.

26 luglio, sabato
La giornata inizia con uno shock. Al momento di pagare il ticket, il display della macchinetta automatica ci addebita il costo di due giorni. E’ un ladrocinio! Il costo non è calcolato in base alle notti trascorse, ma sulle ventiquattro ore. Noi stiamo uscendo dall’area dopo ventisei ore, il costo calcolato è quello di due giorni. Questo però non è spiegato da nessuna parte!
Partiamo, il cielo è nuvoloso, però non piove. La temperatura è estiva. Ci dirigiamo a Gent, Gand per i francofoni. Il primo problema da risolvere è quello dei rifornimenti. Troviamo subito il distributore del carburante, più complesso è trovare un supermercato. Qui siamo nelle Fiandre, la cultura è quella olandese. Sono un popolo che preferisce non cucinare. Paesi e città hanno numerose brasserie e chioschi. A ogni ora del giorno si vedono persone che mangiano. Il navigatore ci guida a uno Spar, presente in un piccolo paese alle porte di Gent. Riusciamo così a rifornirci del necessario cibo fresco: latte, frutta, verdura. Poi in breve tempo arriviamo in città, dove alloggiamo al camping presente all’interno del centro sportivo. Il collegamento con la città è garantito dall’autobus n. 38. Come quello che arriva al Saini! Però che differenza tra questa cittadella dello sport e il centro sportivo di Milano!
Dopo pranzo, con il bus raggiungiamo il centro città. Il bus costeggia il bacino del canottaggio, attraversa periferici quartieri popolari con anonimi e squadrati palazzi, circondati però da tanto verde. La periferia più vecchia è invece decadente. Scendiamo al capolinea, che è proprio in centro. Capitiamo nel week end in cui termina la settimana del festival della città. C’è aria di festa. Musiche, canti, balli, esibizioni, si mescolano al vociare delle centinaia di persone, che affollano le strade. Baracconi e chioschi occupano le piazze e oscurano parte delle facciate dei palazzi e delle chiese e tolgono la visione d’insieme. L’odore di cibo fritto, di cipolla e delle varie salse che sono utilizzate, impregna ogni angolo.
Inizialmente visitiamo la chiesa di San Michele. E’ una grande chiesa gotica. Alle pareti delle cappelle sono appesi quadri di Van Dick e di altri pittori fiamminghi. Davanti agli altari sono esposti antichi paramenti sacri. C’è anche il vestito da chierichetto, che Giuseppe indossava la domenica, quando da bambino serviva messa. Che emozione!
Usciamo. Superato il ponte sul canale, ci tuffiamo nella bolgia. Entriamo nella chiesa di San Nicola. Anche questo edificio è costruito in stile gotico, però tutti i suoi altari sono barocchi. Questa chiesa si caratterizza per avere le statue di tutti gli apostoli e sulle colonne dei quadri di legno, appesi come rombi. Essi hanno iscrizioni dorate, che recano le date di nascita e di morte dei nobili e i loro stemmi araldici.
Appena fuori da questa chiesa il Belfort, il caratteristico campanile a torre, si erge con la sua eleganza. Da esso sventolano il gonfalone della città e le bandiere del Belgio e dell’Europa. Sulla cima ha una banderuola a forma di drago; questi è considerato la mascotte della città. Poco più avanti soffocato da un grande palco, sul quale si sta esibendo una band, c’è la cattedrale, dedicata a San Bavone. Entriamo. I marmi neri e la scarsa illuminazione la rendono tetra. Molto belli sono il pulpito e le porte delle cappelle laterali, di pietra intagliata. Di fronte alla scala, che porta alla cripta, c’è una grande tela di Rubens. La cripta è per noi la parte più bella della chiesa. E’ ciò che resta dell’antica cattedrale, edificata nel 1150. Nella cripta si trova anche la cappella del Santissimo Sacramento. Vi sono inoltre antiche tombe. Le sue colonne, la volta e parti delle pareti sono dipinte con affreschi. In alcune vetrinette sono esposti manoscritti, libri risalenti al XIV secolo, pale di altari e il tesoro, costituito da ostensori, pissidi e calici.
Eccoci di nuovo in mezzo alla festa. Birra e spumanti sono scolati in grande quantità.
La grande piazza, sulla quale si affacciano i palazzi medioevali e il municipio è un luna-park, non si riesce a fotografare. La musica è assordante, le giostre sfavillanti di colori e di luci, ruotano vertiginosamente intorno al perno di rotazione e contemporaneamente su se stesse, alzandosi e abbassandosi velocemente. La testa gira solo a guardarle. Dai baracconi dei tiri a segno arrivano, forti e accattivanti, i richiami al gioco. Proseguiamo alla ricerca di un po’ di silenzio e pace per ritrovare la vera città. Entriamo nel rione chiamato Patershol. E’ un groviglio di vicoli lastricati a pavè. Ha antiche e piccole case. Alcune, rimodernate, hanno un’architettura, che si armonizza bene con quella originaria.
Alle ore 17.15 rientriamo nella chiesa di San Michele, per partecipare alla messa prefestiva. La chiesa è già gremita. Sull’altare maggiore dei concertisti suonano in attesa e in preparazione della funzione liturgica. Troviamo posto sul fondo, dietro a una colonna. Alle ore 17.30 termina il concerto. Alcune persone escono dalla chiesa. Ci spostiamo avanti. Velocemente è preparato l’altare. La messa è celebrata dal vescovo della città.
E’ una messa solenne, cantata. Al termine il vescovo e i due sacerdoti concelebranti, ancora vestiti con i paramenti liturgici, si recano come di consuetudine in fondo alla chiesa per salutare i fedeli che escono.
Riprendiamo l’autobus e torniamo in campeggio, dove trascorriamo una quieta serata.

27 luglio, domenica
La notte è stata un po’ calda. Questa mattina alle ore 9.00 il cielo conferma la nostra sensazione. E’ lattiginoso, fa presagire un’altra giornata solatia e afosa. Oggi ci dedichiamo al ciclismo inteso come cultura sportiva, ma anche come pratica.
Con un breve spostamento raggiungiamo la cittadina di Oudenaarde, che ha avuto il suo periodo più florido nel XVI secolo, quando i suoi tessitori si specializzarono nella produzione degli arazzi. Oggi è rinomata, perché è sede del Centrum Ronde van Vlaanderen, il museo tutto dedicato al Giro delle Fiandre, una delle classiche gare in linea, con tratti in pavè. Il museo è davvero interessante. Ha spazi espositivi, postazioni interattive e mostra i filmati della gara, girati nei diversi anni.
Ci colpisce l’evoluzione dei materiali utilizzati. E’ esposta una bicicletta del 1891 che pesa 13,5 kg. Negli anni ’60 il telaio diventa di alluminio e il peso della bicicletta si abbassa intorno ai 10 kg. Nel 2004 il telaio diventa di carbonio e il peso della bicicletta non supera gli 8 kg. Anche i pedali, i caschetti, le borracce, l’abbigliamento, sono diventati con il passare degli anni più leggeri e aerodinamici.
Il primo Giro delle Fiandre è stato corso il 25 marzo 1913, con partenza e arrivo a Gent, lungo un tracciato di 324 km, alla velocità di 26,9 km/h. Negli anni successivi l’arrivo è stato spostato in questa cittadina. Dal 1998 il giro inizia a Brugge e termina a Meerbeke, che dista circa una decina di chilometri da qui. Esso si snoda lungo un tracciato ogni anno diverso.
L’albo d’oro ci rende orgogliosi. Questo giro è stato vinto 66 volte da corridori belgi, 10 volte da ciclisti italiani e 9 volte da ciclisti olandesi. Il primo italiano a conquistare la vittoria è stato Fiorenzo Magni nel 1949, vittoria che ha replicato nei due anni successivi. Questi successi gli valsero l’appellativo di Leone delle Fiandre. Gli altri italiani vincitori sono stati nell’ordine: Zandegù, Argentin, Bugno, Bartoli, Bortolani, Tafi, Ballan. L’ultima vittoria italiana è datata 2007.
Questa gara è davvero dura. Guardando il filmato capiamo perché. Si corre all’inizio della primavera con un clima generalmente ancora freddo. Pedalando la temperatura percepita è molto più bassa rispetto a quella atmosferica. Ad esempio se la temperatura ambientale è di 0° C, il corridore percepisce una temperatura di -16° C. spesso la corsa si svolge con una situazione meteorologica inclemente: la pioggia e a volte la neve rendono molto insidiosi i tratti in pavè. Scivolate e rovinose cadute sono probabili e mettono a rischio l’incolumità dei partecipanti.
Le postazioni interattive non sono solo dedicate ai più piccoli. Ce ne sono due per gli adulti. Una è la bicicletta di Eddy Merckx, posta sopra dei rulli che fanno percepire la difficoltà della pedalata sul pavè. Giuseppe non si sottrae a questa prova. L’altra fa provare la fatica necessaria per scalare i muur, dei brevi tratti di strada, a volte lastricati, molto ripidi, appunto chiamati muri.
Il muro che ha il primato di pendenza media e massima è Paterberg. Esso ha le seguenti caratteristiche: 12,87% di pendenza media e 20,33% di massima.
All’uscita dal museo, dal duomo dedicato a Santa Walburga, arrivano le note del concerto di campane. Non lo visitiamo, perché data l’ora, è chiuso. Prima non vi siamo entrati, perché era in corso la messa. Molto bello nella grande piazza è il municipio ornato con fiori e fregi dorati.
Riprendiamo il camper e con uno spostamento di circa 30 km arriviamo a Onkerzele, una frazione di Geraardsbergen. La strada si snoda lungo un percorso pianeggiante, tra verdi pascoli e piccoli paesi, ciascuno con almeno una rotonda. Tra le tante, una merita di essere ricordata. Il suo centro è un grande cilindro formato da un intreccio di vecchie biciclette. Alle ore 14.00 pranziamo con un panino, per poi affrontare la gita in bicicletta. L’obiettivo della pedalata pomeridiana è andare a Geraardsbergen, dove c’è uno dei famosi muur, precisamente il secondo come difficoltà. Infatti, vanta una pendenza media del 9,39% e una massima del 19,76%. Percorriamo la ciclabile, che segue il corso del fiume Dender, dalle acque quasi ferme. Folaghe, svassi e germani trovano tra i canneti delle sue sponde un rifugio sicuro. Geraardsbergen è un paese di origine medioevale, sorto tra la sponda destra del Dender e il ripido fianco di una collina, alta 103 m. Il muur è una ripida strada lastricata a pavè, che dalla piazza principale sale con poche curve ed ertosi rettilinei in cima alla collina. Il dislivello è di 71 m lungo un percorso di 825 m. Il pavè del Belgio è molto diverso da quello italiano. Infatti, non è costituito da piccoli cubetti di porfido dagli spigoli taglienti, interrati uno accanto all’altro a formare un piano uniforme. Qui il pavè è un insieme di piccoli parallelepipedi di porfido dalle facce leggermente curve, sistemati sul piano stradale, distanti l’uno dall’altro di qualche centimetro. Questa pavimentazione è piuttosto sconnessa e alquanto scivolosa, quando è umida o bagnata.
Noi lentamente ci inerpichiamo spingendo a mano la bicicletta e siamo superati da due gagliardi giovani che, uno di agilità e l’altro di potenza, realizzano questa piccola-grande impresa. In cima alla collina nel 1906 è stata costruita una cappella in onore della Vergine. Da quassù si ha un’ampia vista sul territorio pianeggiante sottostante.
Il cielo parzialmente nuvoloso diventa nero. Si alza un vento impetuoso, che minaccia il temporale. Ci affrettiamo a ripartire. Scendiamo al fiume sulle due ruote, seguendo però la strada aperta ai veicoli. Intanto, le dense e cupe nubi corrono veloci e si allontanano. Prolunghiamo la gita seguendo la ciclabile per qualche chilometro oltre il campeggio. Poi torniamo alla nostra casetta.
Terminiamo la giornata festiva con una gustosa cena: risotto al curry, carne salata con verdura di stagione e il primo gelato della vacanza.

28 luglio, lunedì
Il primo gelato della vacanza è rimasto nel libro dei sogni, perché il chiosco che all’ingresso del campeggio li vende alle ore 21.00 era chiuso. Ciò ha giovato alla linea, ma non alla gola!
Ci svegliamo poco prima delle ore 9.00 per il forte ticchettio della pioggia. Partiamo mentre diluvia. Ci addentriamo nella zona chiamata Ardenne delle Fiandre. Attraversiamo una campagna collinosa, diligentemente coltivata secondo il criterio della rotazione agraria. Filari di alberi e basse siepi separano le proprietà terriere, mentre la sommità dei colli, che non superano i cento metri di altezza, è incappucciata da scuri boschetti.
Dopo circa 30 km siamo a Waterloo, dove si svolse il 18 giugno 1815 la grande e sanguinosa battaglia, che sconfisse definitivamente Napoleone. Egli catturato dagli inglesi terminò la sua vita in esilio nell’isola di sant’Elena, situata nell’oceano Atlantico, distante alcune miglia marine dalla costa del Sudafrica.
Non piove più. Ci rechiamo alla Butte du Lion. E’ una collina artificiale di forma conica sul cui vertice c’è la grande statua bronzea di un leone. La collina è stata costruita grazie all’intenso lavoro di donne operaie, che in due anni dal 1824 al 1826 hanno portato carichi di terra per costruirla a ricordo dei 32000 soldati che perirono su questo campo di battaglia e di Guglielmo d’Orange, futuro re dei Paesi Bassi, qui ferito.
Paola non ha la competenza per descrivere la figura storica di Napoleone, può brevemente descrivere la causa più prossima, che portò il suo esercito ad affrontare questa battaglia.
Napoleone, sconfitto dal “generale inverno” nella campagna di Russia e sul campo nella battaglia di Lipsia, fu esiliato all’isola d’Elba. Era il 1813. L’imperatore fuggì dal suo esilio e sbarcò nel sud della Francia. Qui riorganizzò un esercito. Le altre potenze europee gli dichiararono guerra, scegliendo Bruxelles come luogo dove radunare le truppe.
Era piovuto in quei giorni. Gli eserciti in campo decisero di rimandare la battaglia di qualche giorno.
Napoleone, forte di un esercito di 72000 uomini tra fanti e cavalieri, anticipò l’attacco verso i prussiani. In effetti, questa mossa inizialmente giocò a suo favore. Tuttavia Napoleone non aveva considerato che, nel frattempo le truppe inglesi, con a capo il duca di Wellington, si stavano appostando dietro un crinale. Quando se ne accorse staccò dal fronte prussiano una brigata di fanteria. Questa però arrancò nel fango e perì sotto i colpi dei moschetti britannici. Intanto l’esercito prussiano si era riorganizzato e con la sua fanteria marciò compatto contro la cavalleria napoleonica, armata solo di sciabole e spade. La battaglia fu spaventosa, con l’esito che tutti conoscono.
Saliamo sulla collina, percorrendo una ripida scala di 226 gradini. Dall’alto lo sguardo spazia a 360° sul territorio, ora pacifico.
Ci domandiamo: perché le guerre, le battaglie, il sacrificio di tante vite, se nel mondo c’è posto per tutti?
Perché, come ha scritto Guccini, “di sangue la belva umana, ancora non è contenta?”
Accanto alla collina c’è un caseggiato cilindrico chiamato Panorama. Al suo interno con una visione circolare è stato dipinto nel 1912 il campo di battaglia, con alcune tragiche scene di quell’evento. Il tutto è completato da manichini di uomini e cavalli, di elmetti, di steccati divelti, ecc. Inoltre il sottofondo sonoro di spari, urla, suoni di cornamuse, scoppi, cavalli al galoppo, fanno vivere in modo più veritiero il tragico fatto storico.
Riprendiamo il viaggio. La destinazione finale di oggi è Bruxelles.
Alloggiamo al Camping di Grimbergen, un paese situato a dodici chilometri dalla capitale. Ha ampie piazzuole erbose ed è dotato di camper service. E’ il camping più vicino alla città. La parte rimanente del pomeriggio la dedichiamo a qualche faccenda domestica, al riposo e a organizzare la visita della città, che faremo nei prossimi giorni.
Alle ore 18.00 il cielo si rasserena e compare il sole. Speriamo che i suoi ultimi raggi asciughino un po’ il bucato.

29 luglio, martedì
Oggi vita da turisti D.O.C.. La sveglia suona alle ore 7.00. Alle ore 8.30, zaini in spalla, equipaggiati di fotocamera, giacche impermeabili e guida turistica saliamo sul bus 232, che ferma davanti al campeggio. Con un viaggio di circa 50’, al prezzo di 2.00 € (il biglietto si compra in vettura) arriviamo al suo capolinea, corrispondente alla stazione nord di Bruxelles. In stazione recuperiamo la mappa delle linee urbane e acquistiamo il biglietto valido per un giorno (7.00 €). Con la linea metropolitana n. 4 ci rechiamo in centro. Scendiamo alla fermata Bourse. Uscendo in superficie, ci troviamo proprio davanti al palazzo della Borsa, costruito in stile neoclassico. E’ ornato con molti fregi e sculture. Pochi passi e siamo nella Grand Place. Non è ancora gremita di turisti, molti furgoni, che stanno scaricando le merci destinate ai numerosi ristoranti, tolgono in parte la sua poesia. Iniziamo a darle un primo sguardo. E’ circondata da palazzi bellissimi, ognuno con la sua storia e i suoi fregi caratteristici. Tra tutti spicca il magnifico municipio, Hotel de Ville, costruito nella seconda metà del XV secolo in stile gotico. La sua facciata è riccamente decorata ed è sormontata da un’alta guglia, che termina con la statua di San Michele arcangelo, patrono della città. Di fronte a questo edificio sorge la Maison du Roi, che oggi ospita il museo della città. E’ più giovane del municipio di circa 200 anni. Ha numerosi archi neogotici ed è ornata con piccole guglie e statue. Gli altri palazzi, meno imponenti, ma altrettanto affascinanti, erano le sedi delle corporazioni. Hanno sui loro frontespizi delle figure allegoriche, che ne indicano il tipo. Il cigno indica il palazzo che era dei macellai; il luppolo dorato, che avvolge le colonne del palazzo accanto, indica la corporazione dei birrai.
I palazzi di un lato della piazza sono in ristrutturazione. Le loro facciate sono riprodotte sui teloni che celano quelle vere.
Usciamo dalla piazza e percorriamo la Rue Charles Buls, una via per il turismo dozzinale, dove c’è un susseguirsi di negozi di souvenir, intervallati da quelli che vendono il cioccolato. Al termine di questa strada, sulla sinistra, c’è il famoso Manneken Pis. E’ la fontana di marmo, il cui getto d’acqua è fatto da un piccolo bambino bronzeo che urina. Esso è la mascotte della città. A volte il Manneken Pis è vestito dai turisti. Oggi non lo è, forse perché fa caldo! Poco distante si trova il Museo del Costume e dei Merletti. Ci sembra un museo interessante e unico nel suo genere. Lo visitiamo. A Bruxelles è arrivata la notizia che in Italia a sessant’anni si lavora ancora. Non avendo ancora sessantacinque anni, paghiamo la tariffa intera. Il museo è molto piccolo. Ciò che espone è pregevole. Ha abiti degli anni ’20 e ’30 e una ricca collezione di pizzi realizzati al tombolo.
Ritorniamo alla Grand Place, ora è libera dai furgoni. Una nuova popolazione la abita. Oltre ai turisti, adesso numerosi, ci sono i pittori di strada, che hanno allestito dei banchetti con i loro dipinti. Ancora qualche fotografia e poi, passando davanti a una miciona, coscia lunga, in procinto di pedalare, entriamo nella Galeries Saint-Ubert. E’ stata la prima galleria commerciale d’Europa, inaugurata dal re Leopoldo I nel 1847. I negozi sono quasi tutti cioccolatai, alcuni sono anche bar.
Non si può visitare il Belgio senza assaggiare le sue famose praline di cioccolato!
Oggi, che siamo turisti D.O.C., cediamo alla dolce e suadente tentazione.
Proseguendo, arriviamo alla cattedrale. Si trova in posizione leggermente elevata, rispetto alla Grand Place. La sua architettura ricorda quella di Notre Dame di Parigi. Entriamo. E’ l’ora del concerto d’organo. Le note accompagnano la nostra preghiera e la visita.
La chiesa è stata edificata nell’XI secolo e ha subito modifiche e aggiunte di nuove parti nei secoli successivi.
Ha delle belle vetrate istoriate, sul pulpito ligneo sono rappresentati Adamo ed Eva scacciati dal paradiso terrestre. Pregevole è il trittico di Michel van Coxie, risalente al XVI secolo. Le colonne della navata centrale sorreggono le statue degli apostoli. Nell’abside è allestita una mostra di artisti contemporanei, che hanno rappresentato la Trinità.
Adesso è ora di pranzo. Nel giorno del vero turista, ci addentriamo negli stretti vicoli acciottolati, che stanno dietro la Grand Place, dove ci sono numerosi piccoli ristoranti. Giuseppe, che ha sempre un buon intuito nella scelta dei ristoranti, ne individua uno. Ci sediamo. Scegliamo un menù classico: moules e frites per lui steak e frites per Paola, accompagnati da un’aromatica birra.
E’ pomeriggio. Abbiamo una promessa da mantenere. Prima di partire da Milano, parlando con suor Luciana, le abbiamo detto della nostra meta. Lei ci ha confidato, che un ragazzo del suo paese è un frate carmelitano, nominato priore a Bruxelles. Le abbiamo promesso che avremmo portato personalmente a padre Ermanno i suoi saluti. Come fare per raggiungere il convento? Mappa dei mezzi alla mano, vediamo che con tre fermate di metropolitana della linea 4 e tre della linea 6 possiamo arrivare.
Per passare da una linea all’altra bisogna uscire e rientrare. Evidentemente qui il problema dei portoghesi è notevole. Le fermate della metropolitana sono blindate. Chiuse da alte pareti di plexiglas per entrare e uscire bisogna obliterare il biglietto. Scendiamo dalla linea 4. Le indicazioni non sono molto chiare, seguiamo la freccia che indica la linea 6, ma non si capisce di quale direzione. Paola entra nella linea 6. Giuseppe non ci riesce, perché il suo biglietto non gli fa aprire la porta. Paola non può uscire, perché qui si entra da una parte e si esce seguendo tutto un altro percorso. Che fare? In nostro aiuto arriva un giovanotto di colore. Vede la nostra difficoltà, lui entra obliterando il suo biglietto e si tira dietro Giuseppe. Quando arriviamo al binario della linea 6, ci accorgiamo che non è quello della nostra direzione. Dov’è l’altro binario? Non è di fronte. Dov’è? Riusciremo a uscire e poi a rientrare? Funzionerà il biglietto di Giuseppe? Affrontiamo un problema alla volta.
Finalmente arriviamo a destinazione. Troviamo quasi subito la chiesa dei carmelitani. Entriamo. E’ deserta. Le porte che dalla chiesa portano in convento sono tutte chiuse a chiave. Usciamo dalla chiesa e suoniamo alla porta del convento. Dopo un po’ di tempo ci rispondono al citofono. Chiediamo di padre Ermanno, ci dicono che arriverà a settembre. Suor Luciana, noi la promessa l’abbiamo mantenuta!
Il convento dei carmelitani è in un quartiere moderno. E’ la zona delle grandi firme. Gli atelier delle firme italiane sono tutti presenti.
Poco lontano spicca un cupolone dorato. Andiamo. E’ il vecchio palazzo di giustizia, che si affaccia su un balcone panoramico. La foschia oscura il paesaggio.
Per tornare alla stazione nord, saliamo sul tram 93. Questo a metà percorso si ferma, perché la linea è interrotta. Prendiamo l’autobus che il tranviere ci indica come sostitutivo. Esso però non segue fedelmente l’itinerario del 93. Quando chiediamo al conducente dove dobbiamo scendere per la stazione, ci risponde che dovevamo scendere la fermata precedente e prendere un altro mezzo, di cui non capiamo il numero. Scendiamo alla prima fermata e decidiamo di andare a piedi alla stazione. Transitiamo in un quartiere arabo. E’ molto degradato. Oltre alla sporcizia, per le strade ci sono tanti giovani uomini sfaccendati. Di che cosa vivono?
Inizia a piovere. Per fortuna arriviamo alla stazione nord, giusto in tempo per salire sul bus, che subito parte.

30 luglio, mercoledì
La giornata odierna è dedicata alle istituzioni. L’aria è fresca, il cielo è limpido. Con il bus delle ore 9.30 andiamo in città. Ormai siamo pratici. Senza esitazioni acquistiamo il biglietto giornaliero e poi con le linee metropolitane 4 e 5 raggiungiamo la zona della Comunità Europea. Scendiamo alla fermata Schuman e ci troviamo davanti al grande e massiccio palazzo a vetri, sede della Commissione Europea. Esso è intestato a Robert Schuman, il ministro degli Affari Esteri francese, che nel 1950 propose un accordo economico tra Francia e Germania, aperto agli altri stati europei, per la produzione del carbone e dell’acciaio. Un anno dopo nasceva la CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio) con la sottoscrizione del Trattato di Parigi, da parte di Francia, Germania Federale, Italia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi. L’accordo si estenderà a tutta l’economia, nel 1957 con il Trattato di Roma. Nasceva così la CEE (Comunità Economica Europea). La CEE è diventata UE (Unione Europea) nel dicembre 1991, quando a Maastricht (Paesi Bassi) si è siglato il Trattato, che ha posto le premesse per una politica estera e di sicurezza comune e per una maggiore cooperazione nel campo della giustizia e la creazione di un’unione economica e monetaria, comprendente la moneta unica.
La Commissione è l’istituzione chiave dell’UE. Il suo compito è di presentare proposte legislative e di inviarle al Consiglio e al Parlamento, per la discussione e l’adozione, attraverso un iter semplice, ma piuttosto lungo. Non visitiamo il palazzo della Commissione, perché è chiuso al pubblico. Ci dirigiamo quindi al palazzo sede del Parlamento per verificare l’orario della visita. Anch’esso è un grande edificio a vetri, con un’architettura più articolata. Esteticamente è più bello, rispetto al palazzo della Commissione. Le visite sono gratuite dal lunedì al giovedì alle ore 10.00; 11.00; 14.00; 15.00. Adesso è mezzogiorno. Possiamo pranzare e tornare per le ore 13.00 e metterci in coda. Troviamo una pasticceria. Oggi il pranzetto è goloso: cioccolata calda e una fetta di torta. Ne prendiamo due diverse: alle pere con cannella e ai mirtilli, che equamente dividiamo. Da ultimo un buon espresso. Buono davvero!
Attraverso il parco, che una volta ospitava lo zoo, torniamo al Parlamento.
Il palazzo del Parlamento è costituito da due edifici uniti tra loro da un passaggio ponte. L’edificio dentro il quale si trova l’emiciclo è intitolato a Paul Henri Spaak, l’altro, sede degli uffici e degli studi dei parlamentari, è intitolato ad Altiero Spinelli. Sulle vetrate del ponte è scritto nelle ventitre lingue ufficiali dell’UE un messaggio di benvenuto.
Paul Henri Spaak, dopo la liberazione del Belgio, ricoprì la carica di ministro degli esteri e poi di primo ministro. Il suo pensiero si può sintetizzare così: unire gli stati per mezzo di obblighi vincolanti, derivanti da un trattato, è il mezzo più efficace per garantire la pace e la stabilità. Egli presiedette il comitato di lavoro che preparò il Trattato di Roma.
Altiero Spinelli, fin da giovane s’interessò di politica. Nel 1942 a Ventotene, dopo era confinato, scrisse insieme con altri confinati il “Manifesto per un’Europa libera e unita”, che può essere considerato il documento di base del federalismo europeo. Nel dopoguerra continuò a essere il promotore del federalismo europeo. Negli anni ’70 fu membro della Commissione e poi fu deputato del Parlamento, prima nominato dallo stato italiano e poi eletto. Rimase parlamentare europeo fino alla sua morte.
Sono le ore 13.00. Una decina di persone è già in attesa. Pazientemente seduta su un muretto, Paola tiene la fila, mentre Giuseppe scatta delle fotografie al palazzo, al parco e agli animali che oggi lo abitano. Alle ore 13.30 ci registriamo per entrare. Alle ore 14.00 entriamo. Le borse e noi stessi siamo controllati col metal detector, poi ci danno l’audioguida e possiamo muoverci liberamente al suo interno.
All’ingresso l’insieme di tutte le bandiere dei paesi membri dà il benvenuto. Un effetto cromatico stupendo! Un sentimento di fratellanza ci fa sentire uniti agli altri visitatori. Ognuno, un po’ alla volta, prende il lembo del proprio vessillo, collocato nell’ordine alfabetico, tutti incolonnati dietro la bandiera unitaria.
L’UE ha percorso tanta strada da quel lontano 1957!
Ora i paesi membri sono ventotto dei quali diciotto adottano l’euro come moneta unica.
La diciottesima nazione sarà la Lituania. Essa abbandonerà la sua divisa monetaria nel 2015.
Con l’ascensore saliamo al quarto piano, dove osserviamo nella sua maestosità un monumento, che ha il basamento al piano terra e si alza per trentasei metri. E’ di acciaio. Sono tanti tubi che si avvolgono reciprocamente. Simboleggia la confluenza tra i popoli, spinti dal desiderio di unione e di concordia. Di lato c’è la porta che dà accesso al palco dei visitatori, che si affaccia sull’emiciclo. Comodamente seduti sulle poltroncine, mentre osserviamo la grande sala, ascoltiamo l’audioguida. Nel 1979 fu eletto il primo parlamento europeo a suffragio universale. Ogni cinque anni i paesi dell’unione lo rinnovano. Si è passati da 410 membri agli attuali 766. Essi appartengono a 360 partiti nazionali, che poi si organizzano in gruppi politici, secondo l’ideologia di riferimento. Oggi i gruppi politici sono sette. Ci sono anche dei parlamentari che non hanno aderito a nessun gruppo.
I deputati non siedono nell’emiciclo per nazionalità, ma divisi secondo il gruppo politico di appartenenza. Nella prima fila siedono i capigruppo.
Tutti i deputati possono parlare nella loro lingua e ascoltare in diretta nella loro lingua, perché in alto nell’emiciclo ci sono dei box, che ospitano i traduttori simultanei.
Il Parlamento europeo ha la sua sede ufficiale a Strasburgo in Francia. Lì è convocato in seduta plenaria una volta al mese per quattro giorni. Nella sede di Bruxelles è convocato se ci sono sedute aggiuntive. Sempre in questa sede si svolgono i lavori in preparazione delle sessioni plenarie e si riuniscono le commissioni parlamentari.
La funzione esercitata dal parlamento è di tipo legislativo, secondo due procedure: di co-decisione con il Consiglio e di parere conforme, quando ratifica gli accordi internazionali negoziati dalla Commissione. Infine il Parlamento ha un ruolo di controllo democratico sull’Unione e in particolare sulla Commissione, che può destituire mediante una mozione di censura.
I principali ambiti normativi in cui opera sono: la difesa dei diritti dell’uomo, la sicurezza alimentare, la sicurezza nel mondo del lavoro, i diritti dei consumatori, la protezione ambientale.
Riguardo alla difesa dei diritti dell’uomo, il Parlamento Europeo ha istituito dal 1988, il Premio Sakharov.
Quando nel 1987 il dissidente sovietico e l’illustre scienziato, pioniere nel campo della fisica nucleare, apprese nel suo esilio di Gorky, che il Parlamento Europeo intendeva istituire a suo nome un premio, inviò un messaggio dove si dichiarava commosso e onorato che il suo nome fosse dato all’iniziativa.
Questo premio è assegnato a persone, gruppi o associazioni, che si distinguono nella difesa e nello sviluppo dei diritti dell’uomo. Il primo fu assegnato a Nelson Mandela, che ritirandolo disse: “ Ciò che conta nella vita non è il semplice fatto di aver vissuto. E’ la differenza, che abbiamo fatto nella vita degli altri.”
Terminata la visita e dopo aver raccolto un’abbondante documentazione, raggiungiamo nuovamente la fermata della metropolitana, attraversando il quartiere UE. Questo quartiere si è sviluppato in una zona di vecchia urbanizzazione. I grandi edifici di vetro delle istituzioni svettano in un ambiente che si sta trasformando. Molte case sono abbandonate. Alcune, già demolite, sono state soppiantate da costruzioni moderne di vetro e cemento. Altre case sono ben conservate e mostrano fregi di ferro battuto, bronzo o ceramica.
Con il treno sotterraneo scendiamo alla fermata Gare Centrale. Usciamo, abbiamo di fronte alla cattedrale. Con una breve camminata saliamo sulla collina fino al Palazzo Reale. Visitiamo il palazzo, che ora non è più la residenza dei sovrani, ma ha funzioni di rappresentanza. Ha ampi saloni, un ricco arredamento, bei lampadari, quadri e arazzi alle pareti. Ciò che lo distingue e lo caratterizza è la sala il cui soffitto e alcune pareti luccicano di un verde iridescente. Questo strano e originale rivestimento è stato realizzato utilizzando circa un milione e mezzo di elitre, le ali rigide, di un coleottero, simile allo scarabeo.
La giornata è stata intensa, ma molto bella e istruttiva. Velocemente ci avviamo alla metropolitana per raggiungere la stazione nord, dove prendiamo al volo il bus, che ci riporta in campeggio.
Ottima la cena a base di polenta!
Accompagnati dal toc-toc del volano degli olandesi, che alloggiano oltre la siepe, ci dedichiamo a riordinare i nostri ricordi, fino al comparire delle prime stelle.

31 luglio, giovedì
Anche oggi il sole scalderà la nostra vacanza. E’ il terzo giorno a Bruxelles, ma è anche un giorno di spostamento. Dopo aver regolato il camper, ci dirigiamo all’Atomium, simbolo della città. Esso è stato costruito in occasione dell’EXPO del 1958. Sorge a Laeken, allora sobborgo di Bruxelles, oggi elegante periferia, dove è anche presente la sontuosa villa, residenza della famiglia reale.
L’EXPO di Bruxelles è stato la prima manifestazione organizzata nel dopoguerra.
Il messaggio che si voleva lanciare era di ottimismo per l’avvenire. Il re Baldovino nel discorso inaugurale, tenuto il 17 aprile 1958, esortò le nazioni a favorire la pace e a promuovere il progresso sociale e scientifico.
A questo evento parteciparono quaranta paesi e ben quarantadue milioni di persone visitarono gli stands.
Posteggiamo il camper vicino alla costruzione in uno dei numerosi parcheggi a pagamento. Il sole si specchia nelle sfere dell’Atomium, rendendolo sfavillante. L’Atomium al termine dell’EXPO doveva essere smantellato, ma per la sua originalità diventò imperituro.
Giuseppe, che lo aveva già visto e visitato negli anni ’80, lo trova più bello. Infatti, dal 2003 al 2006, ha subito un importante intervento di ristrutturazione.
L’Atomium è stato ideato e progettato dal giovane ingegnere, André Waterkeyn. La sua idea era di creare una struttura che fosse l’emblema della prosperità, ottenuta mediante il progresso scientifico. Si era ormai entrati nell’era atomica e nella guerra fredda. L’atomo, considerato un’arma bellica, poteva diventare il motore della nuova rinascita, con la sua energia.
L’Atomium rappresenta la molecola del ferro. Essa ha una perfetta forma cubica. E’ costituita da nove atomi legati tra loro. Otto corrispondono agli otto vertici del cubo, il nono sta nel centro del solido.
Per la messa in opera della struttura, l’ingegnere si è avvalso della competenza dell’architetto André Polak. La materia prima utilizzata non è stata il ferro e neppure l’acciaio, bensì l’alluminio, perché passivandosi, non arrugginisce.
Il nome Atomium deriva dalla fusione di due termini: atome e alluminium.
La visita si può continuare all’interno, perché le sfere sono cave e sono unite tra loro da corridoi cilindrici, si raggiungono mediante ascensori, scale mobili e a piedi. L’Atomium è alto 102 m. Ognuna delle sfere ha un diametro di 18 m. I tubi che le collegano hanno un diametro di 3,30 m e mediamente sono lunghi 25 m. La massa totale della struttura è di 2500 Mkg!
Con un ascensore, che sale alla velocità di 5 m/s, equivalente a 18 km/h, saliamo nella sfera centrale, dove attraverso una finestra panoramica a 360°, vediamo tutta la città e il suo circondario. La limpidissima giornata odierna pone l’orizzonte molto lontano. Dall’alto riconosciamo i palazzi dell’UE, la cupola dorata del palazzo di giustizia, i campanili di alcune chiese e la grande sagoma della Basilica Nazionale, da noi non visitata, perché non ha particolari pregi artistici. Bruxelles è una città verde, circondata da una cintura ancora più verde. Mediante una scala mobile ci spostiamo in una sfera di vertice. Abbiamo la sensazione di essere proiettati nel futuro. Giochi di luci e suoni creano un’atmosfera spaziale. Nello spazio è proprio così? Mah! L’esperienza però è travolgente. Con un’altra scala mobile e poi a piedi scendiamo a terra e in modo molto più prosaico acquistiamo alla boutique una t-shirt per il nostro nipotino e un magnete ricordo.
Riprendiamo il camper e ci dirigiamo ad Anderlecht, a sua volta un tempo sobborgo della città e oggi quartiere periferico della zona occidentale. Il quartiere è molto degradato, è simile a quello che abbiamo percorso a piedi l’altro giorno. Utilizzando il termine coniato da Oriana Fallaci, siamo in Eurabia. Uomini con la tonaca e il berretto arabo sono fermi ai crocicchi delle strade. Donne velate spingono carrozzine attorniate da numerosi altri bambini. Molti negozi hanno le insegne scritte solo in arabo.
La nostra meta è il birrificio Cantillon. Posteggiamo il camper davanti al birrificio, nello stallo destinato al bus turistico. Entriamo. Il locale è semibuio, tutto di legno. Un intenso aroma di birra impregna l’aria. Ci sono una signora e un signore ad accoglierci. Scopriamo che sono i proprietari. Chiediamo se è possibile lasciare il camper dove lo abbiamo posteggiato, ci danno il loro assenso. Questo piccolo birrificio, a conduzione famigliare, è stato fondato nel 1900 da Paul Cantillon, nonno degli attuali proprietari. E’ rimasto uno dei pochi birrifici indipendenti, che utilizzano ancora tutta l’attrezzatura, che risale al XIX secolo, per produrre il Lambic tradizionale. Il Lambic è l’unica birra prodotta ancora oggi con le tecniche di fermentazione naturale. Il suo aroma e il suo sapore sono diversi da quelli delle birre comunemente commercializzate.
Il Lambic è una birra storica, che attorno al XII secolo iniziò a essere prodotta, quando s’incominciò a coltivare i lieviti, per ottenere una bevanda sempre uguale a se stessa. All’ingresso ci consegnano un interessante opuscolo, che spiega il metodo produttivo della birra Lambic. Il costo del biglietto comprende anche la consumazione di due bicchieri di birra. Vediamo i locali, dove si susseguono i diversi momenti della lavorazione: dalla miscelazione dei cereali, frumento e malto d’orzo, con il luppolo, alla bollitura nei grandi bollitori di rame, alla vasca di raffreddamento, un capolavoro di un mastro ramaio, alla bottaia, dove il mosto è messo in botti di rovere o di castagno e lì completa il suo processo di maturazione, che può durare da uno a tre anni.
Sono le ore 13.00, assaggiamo i due tipi di birra: il Lambic e il Guenze, che si ottiene miscelando un Lambic invecchiato un anno e un Lambic invecchiato tre anni. Non abbiamo ancora pranzato, l’aperitivo è forte, ma proprio buono.
Ripartiamo in direzione Lovanio. In un’area di sosta dell’autostrada pranziamo con un’insalata di pollo. Ci fermiamo al campeggio di Bergendal-Loonbeek, che dista circa 20 km da Lovanio. Il campeggio è molto ampio e tranquillo. E’ occupato prevalentemente da case mobili. Le piazzuole libere sono facilmente accessibili e dotate di attacco elettrico. I vialetti non sono numerati, hanno un nome. Noi alloggiamo in Rue de la Bontée.
Ci regaliamo un pomeriggio di completo riposo.
La nostra presenza desta la curiosità di un altro villeggiante. Egli chiede a Giuseppe qual è la nostra regione di provenienza. Quando apprende che siamo lombardi, sorride e gli dice che suo figlio con la famiglia abita a Baveno, perché lavora all’EURATOM di Ispra. Il mondo è davvero piccolo!

1 agosto, venerdì
Lasciamo il silenzioso campeggio, dopo un salutare e profondo sonno. La continuazione del viaggio prosegue con due tappe. La prima è molto breve, perché consiste nel raggiungere Leuven, Lovanio.
Perché la toponomastica a volte è tradotta nelle diverse lingue e a volte no?
E’ una domanda, che ci incuriosisce e alla quale non sappiamo dare risposta.
Il breve tratto di strada che ci separa da Lovanio lo percorriamo lungo un tracciato ondulato, dedito all’agricoltura. Posteggiamo il camper lungo un viale, che chiude esternamente il vecchio Begijnhof, oggi trasformato in residenza universitaria. A piedi andiamo verso il centro. Il Begijnhof è oggi un pittoresco rione, attraversato da un piccolo fiume affluente della Schelde. Via, via che ci avviciniamo al centro, la città si anima. Lungo la strada troviamo una piccola chiesa, non segnalata dalla guida turistica. Entriamo per sostare in preghiera. E’ dedicata a sant’Antonio. Esternamente ha un’architettura tardogotica, dentro è moderna. Nella sua cripta c’è la tomba del sacerdote missionario Padre Damiano de Veuster, vissuto tra il 1840 e il 1889. Egli, figlio di contadini fiamminghi, è nato in un villaggio vicino a Lovanio. E’ stato missionario nell’arcipelago delle isole Hawai. In particolare ha vissuto nell’isola di Mokolai, dove erano confinati i lebbrosi, per evitare l’espandersi del contagio. Assistendo i malati, si è infettato e il morbo l’ha condotto alla morte. Il suo corpo, sepolto nell’isola, è stato portato a Lovanio nel 1936. Egli è stato chiamato l’apostolo dei lebbrosi. Gandhi parlando di lui disse: “La politica e il mondo giornalistico possono vantare eroi, ma pochi possono essere paragonati a Padre Damiano di Mokolai. Vale la pena di dare un’occhiata alle fonti di tale eroismo.”
Padre Damiano è stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1995 e canonizzato da Benedetto XVI nel 2009. Qui è molto venerato, numerose persone scendono nella cripta, e pregano sulla sua tomba.
Più avanti troviamo l’Oude Markt. A questa piazza, discretamente ampia fanno da cornice i palazzi medioevali. Hanno belle facciate con i frontoni a gradoni. Il senso della grandezza si perde un po’, perché un lato della piazza è occupato da un grande palco e gli altri lati sono occupati dai tavolini delle brasserie. Ancora pochi passi, e arriviamo nel cuore della città, dove troviamo lo Stadhius, il magnifico municipio. Ha una struttura su più livelli, caratterizzati da torrette e statue risalenti al XV secolo. Incredibilmente questo edificio non ha subito danni durante le due guerre mondiali. Una bomba l’ha raggiunto, ma non è esplosa. Di fronte c’è la cattedrale, dedicata a san Pietro. Esternamente non è bella, perché la sua struttura, progettata nel XV secolo, secondo l’architettura tardogotica non è stata portata a termine a causa della cedevolezza del suolo. Sono così venuti a mancare l’alta guglia e il portale. Entriamo. La navata sinistra è in ristrutturazione. Ci colpisce la luminosità e, nella navata centrale, la struttura ad archi e colonne, che la separa dall’ampio coro. Il pulpito è di legno scolpito. Nella prima cappella a destra due giovani restauratori stanno lavorando.
Dietro la cattedrale c’è il Grote Markt. Oggi nel rispetto del suo nome ospita un grande mercato. Compriamo mezzo chilo di prugne, buona frutta per i prossimi giorni. Il mercato, però, non oscura lo splendido palazzo in stile rinascimentale fiammingo, che si affaccia alla piazza. Giuseppe scatta qualche fotografia.
Lovanio non è solo un centro produttore di birra, qui si produce la diffusa Stella Artois, è anche un’importante sede universitaria, precisamente qui c’è la più antica università delle Fiandre. Testimonia questa realtà la presenza di numerosi giovani, che si muovono agilmente tra le viuzze con le biciclette. Non possiamo tralasciare la visita all’università. In una via poco distante dal Grote Markt troviamo l’Università Cattolica. Entriamo nel suo cortile e nel suo atrio. Qui apprendiamo la sua storia, leggendo in francese un cartellone. Essa è stata fondata nel 1434. La prima facoltà è stata di pedagogia; sono seguite le facoltà di filosofia e di storia naturale. Nel 1866 fu distrutta da un incendio e fu ricostruita identica all’originale.
In una vetrinetta, presente nell’atrio, sono esposti e in vendita dei capi di abbigliamento. Ci piace la felpa con il cappuccio. Oggi 1 agosto è tutto chiuso.
Sparanium (risparmiamo), avrebbe detto la nonna Felicita!
Torniamo al camper e, guidati dal navigatore, percorriamo sicuri i 60 km, che ci separano dall’area camper di Anversa. Ci accomodiamo su un ampio spazio erboso, ombreggiato dalle fitte fronde di un acero e di un castagno.
Nelle restanti ore pomeridiane ci riposiamo.
Verso sera due leprottini escono dal boschetto, che circonda l’area camper. Orecchie dritte e sguardo circospetto studiano la posizione di una grossa cornacchia, poi mangiano un po’ di erba e scappano velocemente nell’intrigo della boscaglia.
La nostra anima cittadina si stupisce e contempla la vita libera della natura.

2 agosto, sabato
L’area camper, facile da raggiungere, perché vicina alla tangenziale della città non è certo silenziosa. Abituati ai rumori di Milano, il sottofondo del traffico non ha però disturbato il nostro sonno. Ci alziamo alle ore 8.00. Il cielo ha un colore grigio ferro, non promette niente di buono. Infatti, dopo mezz’ora inizia a piovere. Due scrosci violenti si abbattono al suolo e in parte liberano la volta. Gli squarci di azzurro si allargano tra le nubi schiarite. Dovendo girare per Anversa tutto il giorno, per precauzione mettiamo nello zaino l’ombrellino e la giacca impermeabile.
Raggiungiamo la fermata del tram. Le linee 2 o 6 portano alla stazione centrale, che in questa città è prossima al centro. In un quarto d’ora arriviamo a destinazione. Scendiamo dal tram due piani sotto il livello stradale. Con le scale mobili risaliamo e ci troviamo sotto la tettoia a vetri della stazione. Ci sembra di essere a Milano. Volgendo lo sguardo, ci coglie la meraviglia. Questa stazione è una sorpresa. I treni arrivano su tre piani differenti, ma la sua bellezza consiste prevalentemente nella sua architettura.
E’ un tripudio di archi di marmo neri e di fronzoli dorati. La costruzione è stata edificata nel 1905.
A lato della stazione si estende il quartiere dei diamanti. Anversa, capitale delle pietre preziose, merita una passeggiata nelle sue vie più ricche, almeno per sognare. Questa mattina però è quasi impossibile farlo. I negozi degli orefici sono quasi tutti chiusi.
Ci incamminiamo verso il centro. La zona pedonale inizia da una piazza, che ha al centro la statua di David Teniers il Giovane, pittore fiammingo, ed è chiusa da due bei palazzi gemelli, che ospitano al piano terra gli empori di due famosi stilisti italiani.
Anversa è la seconda città del Belgio in ordine di grandezza. Ha una storia importante alle spalle. E’ stata fondata nel periodo gallo-romano. Nel medioevo si sviluppò come polo commerciale, grazie all’ampio estuario del suo fiume la Schelde.
Diede i natali a un grande pittore Rubens, del quale visitiamo la casa, che è stata costruita nel 1611 per ospitare anche il suo atelier. La casa è distribuita su tre piani. I locali sono piccoli, ma molto belli. I soffitti sono a cassettoni, ogni stanza ha ampi camini. Alle pareti sono appesi i dipinti di Rubens: nature morte, che sembrano vive, e ritratti. Nella sala da pranzo è Rubens stesso, ad accogliere i visitatori con il suo autoritratto. Al giardino si accede attraverso un portico barocco. Esso è un’oasi di tranquillità.
Il trionfo del barocco lo troviamo nella chiesa dedicata a san Carlo Borromeo. Essa è nascosta in una piccola piazza, chiusa all’interno dei vicoli acciottolati dell’Anversa medioevale. La chiesa è stata edificata all’inizio del XVII secolo, dall’ordine dei Gesuiti. E’ dedicata a san Carlo Borromeo, perché ci fu un periodo, successivo alla sua costruzione, in cui i beni dei gesuiti furono confiscati e la chiesa fu trasformata in un locale per la catechesi, intitolato al santo di Arona, che è stato un modello per i catechisti. La grande facciata attira l’attenzione e invita a entrare. Dentro si sta celebrando un matrimonio. E’ il momento dello scambio delle fedi. Un applauso suggella il “sì” degli sposi. Siamo colpiti dall’attaccamento alle usanze, ancora presente in una grande città. Molti degli invitati vestono i costumi tradizionali.
L’imponente facciata rimanda all’altare maggiore, dove una sontuosa cornice marmorea racchiude un grande quadro. L’unicità di questa chiesa sta nel fatto che la pala è stata costruita in modo da contenere quattro quadri intercambiabili tra loro, tramite un sistema di carrucole. In origine i quadri erano quattro e raffiguravano: Sant’Ignazio, San Francesco Saverio, entrambi dipinti da Rubens, L’incoronazione della Vergine di Schut e L’innalzamento della croce di Zegers, pittori della scuola fiamminga. Nella chiesa attuale sono rimasti solo due quadri. Quelli di Rubens sono stati asportati dagli austriaci e portati a Vienna. Oggi, giorno di festa e di gioia, in onore degli sposi è la tela de L’incoronazione della Vergine a essere esposta.
Per non disturbare usciamo e ci proponiamo di tornare a visitare la chiesa in un altro momento. Nella raccolta e ombrosa piazzetta, alla quale si affaccia anche la biblioteca, un musicista di strada con la sua chitarra sta suonando. Altre note, questa volta della Primavera di Vivaldi, ci accompagnano per un po’ lungo la strada successiva. Sono suonate con un violino, una viola e un violoncello.
La città si sta animando. I camerieri slegano le sedie e preparano i tavoli. I turisti riempiono le strade.
Camminando lungo i vicoli arriviamo al Grote Markt. La grande piazza è dominata dallo Stadhius. Anche qui c’è aria di festa. Davanti al portone dello storico municipio giovanotti elegantoni e moderne ragazze circondano una coppia di sposi.
Il centro della piazza è occupato dalla Fontana di Brabo, che rappresenta l’episodio leggendario del “lancio della mano”, dal quale la città ha tratto il suo nome. Infatti, narra la leggenda, anticamente l’ansa del fiume Schelde era controllata da un perfido gigante, che taglieggiava i naviganti. Tutto terminò nel momento in cui il soldato romano Silvius Brabo uccise il gigante, tagliò una sua mano e la gettò nel fiume. Hand werpen, in olandese significa lanciare la mano, da qui il toponimo Antwerpen, che noi italiani traduciamo con il termine Anversa.
Vicino al Grote Markt in una piazza di forma triangolare sorge la cattedrale. Essa è costruita in stile gotico, per ultimarla impiegarono cento cinquant’anni. Ha un sottile campanile a guglia, che svetta su tutta la città. Per visitarla bisogna pagare un ticket, mentre la partecipazione alle funzioni è libera. Domani parteciperemo alla messa domenicale delle ore 17.00.
Pranziamo in un fast food, perché questa soluzione permette di spendere in due meno di quello che spenderebbe una persona per pranzare in una delle tante brasserie tradizionali.
Poi percorriamo il lungo Schelde. Il fiume ha una grande portata d’acqua e mediante un ampio estuario sfocia nel Mare del Nord. Ciò fa di Anversa un insediamento commerciale ancora molto importante per l’economia europea. Sull’ansa, dove è sorto il primo nucleo della città, oggi c’è un pittoresco castello medioevale. Subito dopo, lungo la sponda troviamo un grande capannone di ferro battuto, sotto il quale sono esposte barche e chiatte d’epoca. Il nostro cammino prosegue. Superiamo la darsena delle barche da diporto, che ha ormeggiato grandi e signorili natanti, e arriviamo a una darsena più esterna, dove è ancorata la motonave Flandria.
Alle ore 14.00, insieme a altri turisti saliamo a bordo per la navigazione del porto. Finalmente possiamo togliere dalle spalle lo zaino. Esso, pieno di cose leggere, è pesante! Si parte. Il capitano dà il benvenuto a bordo e augura una buona navigazione. Parla il fiammingo, l’olandese e il tedesco bene, il francese e l’inglese in modo più stentato. Prestando attenzione riusciamo a capire quasi tutto di ciò che dice.
La motonave salpa, si stacca lentamente dal molo, ruota di 90° e punta la prua verso l’uscita della darsena. Anversa è il secondo porto in ordine d’importanza in Europa. Esso è collegato tramite un canale navigabile lungo 1100 km con il porto di Rotterdam, l’Europorto. Le merci scaricate ad Anversa, riescono così a raggiungere anche Basilea, città della Svizzera, nel cuore del continente, essendo il fiume Reno, che sfocia a Rotterdam, navigabile.
Vediamo diversi docks e silos. Nella zona più interna del porto approdano le navi che trasportano i generi alimentari d’importazione: frutta esotica e soprattutto caffè e cacao. Il 95% della quantità di queste sostanze nervine, importate dall’Europa, è sbarcato in questo porto. Sull’altro lato di questa darsena ci sono i bacini di carenaggio, dove le navi e le chiatte sono ripulite dalle alghe e riparate. Più avanti c’è la zona dei prodotti metallurgici. Profilati di ferro, prodotti di alluminio, valvole, pale di aerogeneratori, pezzi meccanici e altre merci sono depositati sui moli.
C’è un ponte levatoio abbassato, ci fermiamo. Il porto è molto esteso, è grande quanto una città. Camion e automobili lo percorrono. I ponti levatoi consentono ai mezzi gommati di passare da un molo all’altro. Il suono della sirena avverte che la via d’acqua si sta aprendo. Il semaforo verde dà il via alla ripartenza. Ora passiamo davanti a due giganteschi pescherecci islandesi. Che differenza di stazza e di attrezzature rispetto a quello che abbiamo visitato a Ostenda!
La motonave vira a destra ed ecco si stagliano davanti a noi delle pareti colorate, costituite dai containers impilati tra loro. A dire il vero, queste pile sono meno impressionanti di quelle che avevamo visto nel porto di Rotterdam, però testimoniano la pochezza dell’industria manifatturiera europea. Hanijn, China Shopping, Yang Ming, tanto per citare qualche nome impresso sui containers, indicano quanto il colosso asiatico, come una tigre famelica, sia ormai presente sui nostri mercati. Poco avanti due navi della compagnia MSC sono ghermite da gigantesche gru, dette elefanti, che con potenti calamite sollevano i colorati parallelepipedi per poi depositarli a terra o sulla nave, secondo che si stia scaricando o caricando. Arriviamo nella zona petrolchimica. Il paesaggio è caratterizzato dalle alte torri a piatti del cracking e dalle torce fiammeggianti, che bruciano il gas. L’aria non è salubre, ma lo spettacolo è unico e diventa davvero interessante, quando si entra nella zona energetica. In uno scorcio vediamo le pale eoliche anteporsi alle due torri di raffreddamento della centrale nucleare e in lontananza le fiamme delle torce delle raffinerie. Costeggiamo immense distese di serbatoi di petrolio, grandi mucchi di carbone, continuamente bagnati per abbattere la polvere nera, che il vento alza, una collina artificiale, fatta d’immondizia, dalla quale si produce biogas. La motonave inverte la marcia e ci riporta alla partenza.
A piedi, torniamo alla stazione centrale e con il tram all’area camper. La nostra giornata è durata dalle ore 9.00 alle 19.30. E’ stata lunga, ma molto bella.
Di sera ci fanno ancora compagnia i coniglietti, che corrono e saltellano sull’erba, davanti alla porta del nostro veicolo.

3 agosto, domenica
Dormiamo a lungo e trascorriamo la mattina al camper. Paola prepara il pranzo: risotto al curry, bistecca con zucchine al pomodoro, frutta di stagione. Con il caffè non manca il bon-bon festivo.
Il pomeriggio lo dedichiamo ancora alla città e alla messa. A piedi con una passeggiata di circa 3 km ci rechiamo al palazzo di giustizia, che ci è stato segnalato come un edificio moderno, dall’architettura avveniristica. Attraversiamo un tranquillo ed elegante quartiere d’inizio secolo, poi in prossimità del palazzo l’architettura cambia. Il rione ha case di edilizia popolare, molti sono i cantieri aperti. Il palazzo di giustizia è una delusione. Il lungo edificio di vetro e metallo è sormontato da due grandi vele e da altre più piccole, di niveo titanio. Ci domandiamo se basti questo per rendere ultramoderno un edificio o se invece oltre ai materiali e alle forme occorra aggiungere la creatività che con sapienza li compone, dando armonia al tutto.
Proseguiamo la nostra camminata, anche se potremmo prendere il tram. Altri 3 km ci separano dal centro. Lungo la strada assistiamo all’arrivo a sirene spiegate di alcuni mezzi dei pompieri e della polizia. Bloccano la strada. Un pompiere srotola il tubo dell’autopompa e lo attacca alla bocchetta per l’idrante, presente sul marciapiede. La scala di un altro mezzo si alza fino a una finestra, poi si abbassa. Noi proseguiamo, passando sul marciapiede.
Raggiungiamo la chiesa di san Carlo Borromeo per visitarla prima della messa, che anche qui si celebra alle ore 17.00. Con nostra grande sorpresa è chiusa. Di domenica apre solo per le funzioni religiose. Allora cambiamo il nostro programma. Parteciperemo alla messa di questa chiesa e poi la visiteremo. Rinunciamo quindi alla cattedrale, che secondo la guida è più bella fuori, che dentro. Seduti su una panchina della piccola piazza, aspettiamo l’apertura della chiesa. Intanto notiamo che la biblioteca in origine era la collegiata dei gesuiti, essendo contigua alla chiesa.
La messa si svolge in un clima d’intensa preghiera e grande famigliarità tra i partecipanti. Alla fine della celebrazione si avvicina una giovane signora. Ci chiede da dove veniamo. Conosciuta la nostra provenienza, con un italiano stentato ci dice che questa parrocchia fa capo alla comunità di sant’Egidio, poi ci augura una buona vacanza.
Ci fermiamo ancora un po’ nella chiesa, visitiamo le singole cappelle, osserviamo i dettagli degli altari delle navate laterali, il pulpito e gli scranni che circondano i lati della chiesa, i quadri degli apostoli e della Via Crucis, i soffitti e la cupola ornati di fregi dorati.
Lungo la strada che ci porta alla stazione centrale, ci fermiamo per le due ultime fotografie della città. Una è per la Stadsfeestzaal, la cui facciata neoclassica introduce a un palazzo del 1908, che è stato il primo grande centro commerciale d’Europa. L’altra è per la manona di pietra, che funge da panchina. La manona è il simbolo della città, rappresenta la mano mozzata del gigante.
Con il tram torniamo all’area camper. La linea, quando esce dal percorso sotterraneo, attraversa un elegante quartiere, abitato da ebrei ortodossi. Li vediamo passeggiare lungo il viale alberato. Gli uomini indossano le loro palandrane nere e i cappelli a larga tesa dai quali scendono i lunghi boccoli. I bambini hanno sul capo il kippah. Tra questo quartiere e il seguente, abitato da arabi, qui le donne velate seguono il loro uomo stando un passo indietro, c’è un bel parco. La fermata si chiama Armonie. Ci auguriamo, che questo non sia solo il nome del parco, ma lo stile di vita e di relazione tra le due comunità.
Alle ore 19.30 le nubi si addensano e la pioggia inizia a ticchettare, solo per pochi minuti. L’anticiclone delle Azzorre è debole, ciò comporta un abbassamento verso sud del fronte meteorologico. Noi subiamo poche perturbazioni, in Italia l’estate sembra invece non arrivare.

4 agosto, lunedì
Lasciamo Anversa per recarci alle ultime due abbazie. La prima si trova nei pressi di Tilburg, nei Paesi Bassi, a pochi chilometri dal confine belga. Seguiamo le strade della viabilità ordinaria. Transitiamo in una zona rurale dedita all’allevamento bovino. I verdi pascoli sono ben definiti da rigide staccionate. Qua e là dei boschetti spezzano l’uniformità del paesaggio. I paesi si allungano sulla strada principale. Le case sono curate e molte hanno il tetto di paglia. Alle ore 12.00 arriviamo all’abbazia di Onze-Lieve-Vruw-Van-Koningshoeven. Essa fu fondata nel 1880 da Padre Domenicus Lacaes, monaco trappista del monastero di Saint Marie du Mont on Mont des Cats, sito in Francia, monastero che abbiamo visitato nei primi giorni della nostra vacanza. I monaci, perseguitati in quel paese, avevano trovato ospitalità in Olanda. Entriamo nel parco dell’abbazia, che costeggia il birrificio. In mezzo c’è una cappella dedicata alla Vergine, costruita nel 2009.
Il lavoro nel birrificio ferve. Le piante di luppolo, esili e sottili, si attorcigliano intorno ai fili di sostegno e si alzano verso il cielo.
Torniamo all’ingresso. L’entrata al monastero è chiusa e anche lo spaccio, che aprirà alle ore 13.30. Paola prepara il pranzo. Un piatto di spaghetti alla carbonara e frutta, ci soddisfano. Puntuale nel pomeriggio lo spaccio apre. Compriamo qualche birra e chiediamo se si può visitare l’abbazia. Non si può, apre ai laici solo per le funzioni liturgiche.
Ripartiamo e ci dirigiamo verso la seconda abbazia. Essa è ad Achel in Belgio, proprio sul confine con i Paesi Bassi.
Il monastero di Notre Dame de Saint Benoit è stato fondato nel 1650 dai benedettini, poi nel XIX secolo è passato ai monaci cistercensi. Anche questa abbazia è chiusa al pubblico. Visitiamo la cappella del santissimo Sacramento, che si apre su un piccolo giardino fiorito, dove due gatti sonnecchiano all’ombra di un cespuglio. Essendo il giorno di chiusura dello spaccio non compriamo la birra.
Il viaggio prosegue. Dopo un breve tratto nella pianura olandese, dove spicca la sagoma di un mulino a vento, entriamo in autostrada e usciamo dopo pochi chilometri. Rientriamo di nuovo in Belgio e il cellulare di Giuseppe ci stressa ancora con i suoi SMS di benvenuto. Ci fermiamo a Lommel. Il paesino ha una piccola area camper (8 stalli), fornita di tutti i servizi. Essa si affaccia al porticciolo turistico del canale Bocholt-Herentals. Troviamo posteggiato il camper tedesco targato LIP, che era presente anche ad Anversa. Sono le ore 16.00 c’è un bel sole caldo. Decidiamo di dare ancora un po’ di tono alla nostra abbronzatura, facendo una passeggiata a piedi lungo la ciclopedonale che costeggia il canale. Camminiamo per un’ora e mezza, percorrendo quasi sei chilometri.
Mentre il sole tramonta sulle placide acque del porticciolo, noi prepariamo la visita di Liegi e ci gustiamo finalmente il primo gelato della vacanza.

5 agosto, martedì
La giornata inizia bene: il cielo è completamente sereno. Alle ore 9.00 ci mettiamo in marcia. Ci augura buon viaggio uno scoiattolino dal pelo fulvo, che ci osserva un attimo e poi lesto s’infila nel sottobosco. La nostra prima tappa è Liegi, che dista circa 90 km.
Il tragitto diventa quasi subito complicato a causa di alcune interruzioni stradali, che ci obbligano a deviare. Purtroppo dopo la prima freccia “deviation” non ce ne sono altre utili a ritrovare il tracciato perso. Questo è un difetto, che abbiamo trovato in questa nazione. Le indicazioni sono poco presenti e in genere poco chiare.
Ad esempio nelle città spesso non sono scritti i nomi delle strade, così anche con la mappa in mano non è semplice orientarsi e muoversi.
Anche il navigatore non è d’aiuto, perché prima di riprogrammarsi su un percorso alternativo, insiste nell’indirizzare verso la strada abbandonata. Quando poi c’è di mezzo un canale o un fiume da attraversare e il ponte è “barre”, la difficoltà aumenta ulteriormente.
Arrivati a Liegi si pone il problema del posteggio del camper. A questa difficoltà si sommano un traffico caotico, né Bruxelles, né Anversa, lo aveva così intenso, e una numerosa quantità di cantieri stradali.
La città, che sarà sede dell’EXPO 2018, si sta già preparando. Ci domandiamo se la nostra Milano, che ha iniziato a prepararsi per l’EXPO 2015 con grande ritardo, riuscirà a farsi trovare pronta ed efficiente all’appuntamento mondiale.
Posteggiamo il camper in uno spazio a pagamento vicino alla stazione Guillemins, costruita nel 2009, secondo il progetto dell’archistar Santiago Calatrava. La stazione è protetta da una grande volta di vetro e acciaio, sostenuta da archi di cemento. E’ tutta bianca e trasparente. L’ambiente è chiuso e aperto nello stesso tempo. L’effetto serra, che si crea, dà la sensazione di essere al chiuso. La luminosità, la visibilità del cielo e di ciò che sta fuori, danno la sensazione opposta.
Con una camminata di circa due chilometri andiamo in centro. Liegi ci sembra una città anonima. Attraversiamo rioni che non si caratterizzano. Attraversiamo anche un bel parco con alcune piante secolari e dei monumenti bronzei.
In centro visitiamo la cattedrale, dedicata a san Paolo. Sorge su un lato di una piazza trafficata e non ha neppure un piccolo sagrato. La fermata degli autobus è lungo il marciapiede, davanti al suo portale.
E’ un edificio gotico, che è sorto dove nel 1015 era stata eretta la vecchia cattedrale dedicata a san Lambert, vescovo di Maastricht, che in quel luogo morì martire nel 705.
In quell’epoca Liegi era la capitale di un principato, governato da principi-vescovi. E’ per questo motivo che ancora oggi in città e nel suo comprensorio ci sono numerose chiese, ognuna faceva capo a un principe-vescovo.
La cattedrale di san Lambert fu demolita per volere della popolazione nel 1793, perché era il simbolo degli ormai invisi principi-vescovi. Entriamo. Questa chiesa, tanto è tetra esternamente, tanto è bella dentro. La sua struttura gotica porta il visitatore ad alzare lo sguardo. Subito rimaniamo incantati a osservare la volta adornata con fregi policromi. Anche le vetrate istoriate sono ammirevoli. Il transetto è dipinto con affreschi che rappresentano dei santi. Nella chiesa è anche presente il sacello di Saint-Lambert. Attraverso una porticina accediamo al chiostro. Il deambulatorio, oggi chiuso con vetrate, circonda un silenzioso giardino, dal quale si vedono i contrafforti del tempio e il campanile a guglia.
Terminata la visita, passeggiamo nella zona pedonale. La globalizzazione del mercato ha omologato ogni città. Ci sono solo i negozi delle note e solite catene commerciali e delle grandi firme. Non ci interessano queste vetrine tutte uguali, torniamo al camper.
La seconda tappa del viaggio è il Santuario della Vergine dei Poveri, a Banneux, un piccolo paese a venti chilometri da Liegi. Nel 1933 la Madonna è apparsa a una bambina e come segno lasciò una sorgente. Il santuario è formato da tante piccole cappelle. Visitiamo quella dell’Apparizione e quella del santissimo Sacramento, poi la sorgente. Qui raccomandiamo al Signore, tramite sua Madre, le persone anziane e ammalate di nostra conoscenza.
Siamo nella regione delle Ardenne. La strada continua a salire e a scendere lungo ripidi pendii boscosi. Impostiamo il navigatore per andare a un campeggio, che sta a un paio di chilometri dal santuario. Quando giungiamo, il proprietario ci dice che non è più un campeggio, ma solo un villaggio vacanze con case mobili. Decidiamo allora di andare a Spa, la città termale che vogliamo visitare domani. Dopo pochi chilometri il programma cambia ancora. Facendo una rotonda, a Theux, vediamo l’indicazione di un campeggio. Freccia a destra e iniziamo a salire. Arriviamo in una frazione di Theux, in cima a una collina alta circa 300 metri. Sembra di essere in alta montagna. Qui ci fermiamo al Camping l’Escargot, la lumaca. Il campeggio è molto piccolo, ha ancora una piazzuola libera, per nostra fortuna. Dall’alto si ha un bel panorama.
La giornata, iniziata con un buon auspicio, dopo mille peripezie, termina bene.

6 agosto, mercoledì
Il campeggio L’Escargot è un po’ caro rispetto al costo medio dei campeggi belgi, ma non raggiunge i costi di quelli italiani. Inoltre oltre ad avere degli ottimi servizi, offre un ottimo servizio: questa mattina abbiamo trovato sulla porta del camper le croissant e la baguette prenotate ieri al nostro arrivo.
Oggi abbiamo programmato uno spostamento totale di circa 35 km. La prima fermata la facciamo a Spa, la famosa cittadina termale, sovente citata nei cruciverba, che tanto appassionano Paola. Spa vanta il primato di essere il più antico centro termale d’Europa. Era già nota nel I secolo per le proprietà terapeutiche della sua acqua. L’etimologia del suo nome deriva dal termine latino Sparsa Fontana.
Posteggiamo il camper lungo la via principale, abbastanza vicino alla Villa Royale Marie-Henriette. In origine questo palazzo costruito nel 1862 era un albergo, dove la regina Marie-Henriette veniva, quando il marito Leopoldo II era occupato nelle campagne di colonizzazione del Congo.
Ci dirigiamo verso il centro. Su uno spiazzo, antistante al Pavillon des petits jeux, sono parcheggiate alcune automobili d’epoca e anche una sportiva e moderna: è un’Alfa 4 C. Giuseppe si attiva con la fotocamera, anche perché una delle automobili ha il cofano aperto e mette in mostra il suo motore.
Il Pavillon des petits jeux, ricostruito nel 1878, era il luogo d’incontro dove le persone, che per ragioni economiche non frequentavano le terme, bevevano l’acqua e organizzavano giochi. E’ formato da due caseggiati uniti da una lunga tettoia di ferro battuto e vetri colorati, sorretta da colonne con capitelli ionici. Esteticamente è apprezzabile, ma avrebbe bisogno di una seria opera di restauro. Alle sue spalle c’è un bel parco, che si appoggia al versante della collina, sulla cui sommità ci sono le nuove terme.
In centro troviamo tre grandi palazzi costruiti alla fine del XVIII secolo in stile neoclassico. Sono il Casinò, il teatro e i vecchi bagni termali. Davanti a loro c’è un colorato e odoroso giardino all’italiana, al centro ha una fontana ornata di bassorilievi. Percorrendo la via dietro il casinò arriviamo al duomo. Le note di una sonata d’organo ci accolgono. La chiesa è dedicata a Notre Dame et Saint Remacle. Essa è stata edificata, dove nel 1573 era stata costruita la prima parrocchia. E’ di pietra granitica in stile romano-renano. L’interno è semplice e luminoso. La parete dell’abside è dipinta, ha la figura di Cristo glorioso al centro, sormontata da Dio Padre e dallo Spirito Santo. Gesù ha di fianco sua Madre e san Remacle. Nel transetto troviamo la statua del santo, vestito con i paramenti episcopali. Accanto alla statua c’è un quadro con la sua breve biografia. Remacle è nato verso la fine del VI secolo. Fin da giovane entrò nel monastero di Luxenil. Divenne priore dell’abbazia di Solignac e più tardi arrivò a Malmédy. La sua morte è fatta risalire intorno al 675. Egli è considerato l’evangelizzatore della regione.
Da ultimo vediamo il Pouhon Pierre-le-Grand, che era il complesso termale originale. E’ un bell’edificio con la facciata ottagonale, sormontato da un cupolino a sua volta ottagonale.
Riprendiamo il camper. Non si può lasciare Spa senza recarsi al suo famoso circuito automobilistico. Dopo pochi chilometri posteggiamo in uno dei tanti parcheggi del Circuit Francorchamps. Pranziamo, poi iniziamo la visita. Si può entrare liberamente e girare dove si vuole. Ovviamente non si può entrare in pista, anche perché stanno sfrecciando rombanti veicoli. Il circuito è stato fondato dal pilota belga Jacques Swaters (1926-2010). Esso è uno dei circuiti storici della Formula 1. Tagliato all’interno di una foresta, si snoda lungo 7004 m, ha un dislivello di 97 m, presenta 19 curve.
I bolidi sfrecciano veloci, avvolti dal loro rombo assordante. Sono di tutti i colori: bianchi, rossi, neri, verdi, azzurri. Giuseppe riconosce quasi tutte le marche. Paola solo il “maggiolino tutto matto”!
Saliamo sulla tribuna, che guarda verso la salita, poi su quella che sta di fronte alla vecchia griglia di partenza e al relativo podio. Da quassù si vedono bene le prodezze dei piloti. Giuseppe scatta a raffica. Tramite un sottopasso raggiungiamo il paddock, la zona dei box e retro box. Giuseppe continua a fotografare e intanto pensa al suo amico Roberto, appassionato di motori.
Come non pensare a lui davanti a tante automobili antiche e nuove? Roberto, anche quest’anno, benvenuto nel nostro libro!
Dopo due ore lasciamo l’autodromo e con un altro breve spostamento arriviamo all’area camper di Malmédy. Il tempo splendido di questa mattina si è guastato. Inizia a piovere. Ci auguriamo che si sfoghi nella notte.

7 agosto, giovedì
Siamo fortunati. La pioggia torrenziale di ieri sera si è calmata e ha terminato di scendere nella notte. Questa mattina il cielo è ancora completamente coperto con nubi arruffate e cineree. In programma c’è una gita in bicicletta, ma in questo momento ci sembra un azzardo. Non sapendo cosa decidere, prendiamo tempo. Andiamo in paese a procurarci il pane.
Malmédy è una cittadina della regione che confina con la Germania. Il suo trascorso storico è abbastanza complesso, perché prima dell’anno mille con i principi-vescovi era indipendente. Dopo tale periodo passò da uno stato all’altro e da un’occupazione all’altra. Dai massicci bombardamenti del II conflitto mondiale si sono salvati i tre edifici che caratterizzano il suo centro storico. Il municipio e il palazzo di giustizia, costruiti all’inizio del XX secolo, hanno delle torrette che li fanno sembrare dei castelli. La cattedrale è più antica. E’ stata costruita alla fine del XVIII secolo, in stile rinascimentale, là dove san Remacle aveva fondato il monastero benedettino. I due campanili gemelli sono sormontati da cupolini ottagonali. L’interno è molto semplice e luminoso.
Intanto il tempo è virato al bello. L’azzurro è diventato quasi il padrone della volta. Contenti torniamo al camper: la gita in bicicletta ci aspetta. Dietro l’area camper sul tracciato di una vecchia ferrovia c’è la ciclabile. Iniziamo a percorrerla in direzione est, verso Waimes. L’aria è fresca. Giuseppe indossa il suo giubbino antivento. Paola no, perché l’ha sotto pelle!
Il tracciato di una ferrovia dovrebbe essere pianeggiante. Questo invece no. Esso sale in continuazione con una lieve e costante pendenza. I muscoli stentano a scaldarsi e s’indolenziscono quasi subito. L’andatura è lenta, noi continuiamo a pedalare. Il percorso è davvero affascinante. Il tracciato è immerso nella natura. Il primo tratto risale il corso di un torrentello, che gorgoglia nascosto in una fitta pineta. Poi il paesaggio amplia il suo orizzonte. Piccole fattorie con grandi pascoli contornano la pista. Incrociamo diversi ciclisti. Quelli che pedalano nella nostra direzione ci sorpassano agilmente, ma rispetto a noi hanno diversa età e senz’altro sono più allenati. Quelli che vengono nella direzione opposta viaggiano veloci. E’ un continuo scambio di saluti. Gentile abitudine!
A Waimes vicino alla vecchia stazione ci sono dei cartelloni. Ci fermiamo. Le soste per documentarci e per le fotografie sono proprio corroboranti!
La ferrovia è stata costruita nel 1881 per trasportare i minerali di ferro alla Ruhr, regione carbonifera tedesca, con lo scopo di alimentare l’industria siderurgica, da poco nata.
In quell’epoca questa zona apparteneva alla Prussia. Qualche anno dopo sulla linea passarono anche dei treni passeggeri. Per percorrere i novantuno chilometri impiegavano quattro ore. Nel 1905 la velocità dei treni aumentò fino a 50 km/h. Durante la seconda guerra mondiale i ponti furono bombardati dagli alleati per creare difficoltà alla siderurgia hitleriana. Dopo la guerra, la ferrovia fu ripristinata, ma nel 1950 cessò di funzionare. Cadde in uno stato di abbandono, poi negli anni ’70 fu recuperata e divenne un trenino a vapore per i turisti. Esso cessò le sue corse dopo una decina d’anni. La rotabile fu quindi smantellata e nel 2004 il suo tracciato diventò l’attuale pista ciclabile. La stazione di Waimes era un nodo ferroviario. Qui il tracciato si divideva in due rami per raggiungere due zone estrattive contigue.
Ora ci siamo riposati, possiamo ripartire. Rimontiamo in sella e proseguiamo sempre in direzione est. I vecchi semafori e alcuni segnali ci confermano che una volta su questo tracciato passavano i treni. Continuiamo gradatamente a salire, per nostra fortuna c’è un casello ferroviario che merita di essere fotografato. Siamo a Faynonville e poi delle villette con ampie vetrate e bei giardini. Via di nuovo sui pedali. Finalmente un tratto pianeggiante e poi s’inizia a scendere. Proseguiamo ancora. Ecco un pascolo con dei daini. C’è il maschio con il suo orgoglioso palco, ci sono una femmina incinta e una con il suo cucciolo. Ci fermiamo, li osserviamo ammirati e Giuseppe fotografa ancora. Il piccolo saltellando si avvicina subito alla sua mamma, che si allerta. Essa continua a guardare verso di noi e lecca il capo del piccolo per rassicurarlo.
Abbiamo già percorso quindici chilometri, è già passato mezzogiorno, il cielo si sta di nuovo scurendo, se adesso scendiamo, al ritorno dovremo di nuovo salire, ecco quattro buoni motivi per invertire la marcia. Tornando indietro capiamo perché la velocità media della prima parte è stata di 9,5 km/h. Con il rapportone ora pedaliamo a una velocità media di 30 km/h!
Dopo pranzo partiamo e andiamo nella zona delle Haute Fagnes, sono paludi poste in altitudine, una riserva naturale. L’obiettivo è recuperare al centro visite la mappa dei sentieri. Con un breve spostamento di quindici chilometri saliamo e raggiungiamo sul crinale il punto più alto del Belgio: 964 metri di altitudine. Da una terrazza panoramica osserviamo il paesaggio. Al centro visite, recuperiamo la mappa. Torniamo all’area camper, che nel giro di un paio d’ore si riempie di nuovo.
Ci immergiamo nella lettura dei nostri libri fino al giungere della notte.

8 agosto, venerdì
Ore 8.00. A occidente le nubi nere incombono, a oriente il sole è velato da un sottilissimo strato biancastro. Anche oggi, tergiversiamo un po’. Facciamo l’ultima spesa della vacanza, poi ripercorriamo la strada di ieri pomeriggio e raggiungiamo le Haute Fagnes. Sostiamo a Mont Rigi. Qui inizia il sentiero didattico, che porta nelle diverse zone della palude.
L’Haute Fagnes è una riserva demaniale istituita nel 1957. Ha una superficie di 4000 ettari e oltre ad avere una grande torbiera, che conserva anche vestigia romane, è una riserva della biodiversità. Il percorso che seguiamo si snoda per 4,5 km. Lo percorriamo in senso orario. Alcuni cartelli spiegano le caratteristiche delle diverse zone. Iniziamo il percorso dalla landa umida. Camminiamo su una passerella di legno rialzata rispetto il suolo, perché essendo paludoso, non sarebbe possibile attraversarlo. In mezzo allo sfagno, detto comunemente muschio delle torbiere, si sente gorgogliare l’acqua. Indicano la presenza d’acqua anche alcuni tipici fiori, come le orchidee e il Narthecium ossifragum e degli insetti come le libellule. Dove la palude è ancora uno stagno, l’acqua è visibile ed è colonizzata dalle piante acquatiche. Invece, dove la palude è quasi interrata, iniziano a crescere delle piante arbustive.
Passo dopo passo proseguiamo in silenzio e lo sguardo si perde nel mare d’erba, che sfiorato dal vento si muove a onde.
Dalla zona umida passiamo a quella secca. Qui il tempo geologico ha già fatto il suo corso. L’acqua non è più stagnante, scorre in rigagnoli e forma dei ruscelli. Il tracciato è ancora in parte su passerelle, non sempre ben tenute, altrimenti è un sentiero. La vegetazione è diventata arborea. Il bosco è costituito da betulle e abeti. Sono piante dal fusto esile e molto lungo, completamente slanciate verso l’alto alla ricerca della luce. Questa esigenza ha portato alcune piante ad avere dei tronchi contorti. Il sottobosco è una distesa di arbusti di ribes e mirtilli, dove è più umido, ci sono muschi, funghi e felci. Tutto è lasciato allo stato naturale. Alcuni tronchi intralciano il sentiero e sono il substrato dei funghi saprofiti. Intanto i ruscelli hanno formato un torrente, che scorre veloce tagliando la sua valle. L’acqua è scura e schiumosa, ricorda quella dei corsi d’acqua della Scozia. Su un cartellone leggiamo che l’acqua torbosa è acida e povera di elementi minerali. Contiene invece saponi vegetali e grassi insaturi, così quando saltella forma delle bolle e schiuma. Le bolle scoppiano a contatto con i sassi, mentre la schiuma si accumula nelle anse, dove la corrente cessa, biancastra e grassa al tatto. Il sentiero prosegue e ci troviamo di nuovo a camminare su una passerella di legno, che ci fa attraversare la landa delle vecchie torbiere. Qui dal XVII al XX secolo ai contadini della zona era accordato il diritto di estrarre la torba. Questo giovane carbone era poi essiccato e utilizzato come combustibile domestico. Ora questi scavi, di forma ovoidale, sembrano delle enormi cisterne. Le felci li hanno riempiti. Infine il giro termina passando per la centrale meteorologica. Termometri, igrometri, anemometri registrano i diversi parametri climatici. Adesso la temperatura è di 21° C, il vento soffia da est-sudest alla velocità di 3° Beauford, che equivalgono a circa 4 m/s. Bene! Il vento orientale ha tenuto lontano le nubi nere! Leggendo le medie delle precipitazioni ci riteniamo davvero fortunati. Infatti, qui in alto la piovosità è in media di 170 giorni l’anno, cioè piove ogni due giorni. La quantità di pioggia corrisponde a 1435 mm/anno. Ci sono inoltre 76 giorni di neve, 115 giorni di gelo e 176 giorni di nebbia.
Dopo un veloce pranzo ci rimettiamo in moto. Abbiamo davanti poco più di 70 km. Il vento cambia e nel giro di mezz’ora inizia a piovere. Il tragitto è molto bello, un po’ meno per Giuseppe, che sta guidando. Saliamo e scendiamo lungo i versanti delle Ardenne.
I dislivelli non sono elevati, ma le strade sono ripide, alcuni tratti sono dei “muur”, hanno pendenze che raggiungono il 15%. Per fortuna sono asfaltati. Il verde domina il paesaggio. E’ scuro nella foresta e chiaro sui pascoli. I centri abitati sono piccoli villaggi di semplici case ben tenute e linde fattorie.
Ci fermiamo a Durbuy. E’ un piccolo borgo, che ha l’onore di essere la più piccola città dell’Europa. Sorge sulla sponda destra del fiume Ourthe. Appena fuori dal centro abitato, sulla sponda sinistra del fiume c’è l’area camper. Posteggiamo il mezzo davanti al fiume, solcato da alcuni canoisti e accanto a un piccolo camper olandese, abitato da due ragazzi, che ci ricordano il viaggio avventuroso di Eileen e Simone attraverso l’Australia.
Piove ancora, ma poco dopo smette. Prendiamo per precauzione gli ombrelli e andiamo a vistare la cittadina. Attraversiamo il ponte. Su un lato c’è un Crocefisso di pietra che ha scritto sulla sua base le date della sua storia. Il primo ponte di legno risaliva al XIV secolo. Questo fu abbattuto nel 1725 per costruire il primo ponte di pietra e accanto ad esso un mulino. Il ponte e il mulino furono a loro volta smantellati nel 1909 per costruire un ponte più grande. Questo fu bombardato durante la II guerra mondiale. Il ponte è stato ricostruito nel 1954. Sulla sponda destra del fiume un imponente castello domina la città. La chiesa dedicata a san Nicola è piccola. Risale al 1630 ed è stata edificata dai francescani, venuti da Liegi. Ha la pala dell’altare di legno e un antico fonte battesimale di pietra, risalente alla fine del 1500. Durbuy è molto votata al turismo. La sua via principale e le sue piazzette sono un susseguirsi di brasserie e di negozietti di souvenir. Ci addentriamo nei suoi vicoli e troviamo scorci pittoreschi. Anche una vecchia e arrugginita bicicletta da bambino, appoggiata a un muretto, dà la sensazione di essere tornati indietro nel tempo.
Rientriamo al camper e inizia nuovamente a piovere, sfuma così la grigliata che già pregustavamo. Salamelle e wurstel li cuciniamo alla piastra.

9 agosto2014 sabato
Alle ore 7.00 gli anatroccoli del fiume Ourthe iniziano a schiamazzare. Forse sono stanchi di avere l’acqua sotto i piedi, ma soprattutto sopra la testa, più probabilmente è il loro orologio biologico, regolato con la luce, a svegliarli. Noi ci giriamo nel letto e ci svegliamo dopo un’ora e mezzo.
Prima di lasciare l’area scarichiamo e carichiamo l’acqua, mentre gli anatroccoli tutti insieme escono dal fiume e si affollano davanti al camper. Presto capiamo il perché. Esce dalla reception il gestore, sbriciola delle fette di pane e le getta ai volatili, che a gara corrono qua e là a becchettare, poi con calma, scodinzolando, si rituffano nel fiume.
Noi partiamo salutati cordialmente dal gestore.
Il viaggio di ritorno è ormai iniziato. Questa è l’ultima tappa in Belgio. Risaliamo la valle dell’Ourthe, percorrendo una piacevole strada immersa nella foresta. Non piove più.
Il profumo del bosco è intenso. L’aroma delle pinete si mescola con quello della terra bagnata, creando una piacevole fragranza.
Attraversando il paese di Honnot, vediamo che c’è il mercato. Sostiamo, troviamo posteggio nella sua piccolissima area camper (4 stalli con camper-service; gratuita) e con pochi passi siamo al mercato. E’ piacevole girarlo. E’ il classico mercato di paese, ci ricorda quelli di Caglio e Sormano, quelli delle nostre vacanze estive dell’infanzia. Qui in più ci sono il solito senegalese con i suoi prodotti di pelle e cuoio e il marocchino che vende a un euro i più svariati prodotti made in China. Dal boulanger acquistiamo la baguette che si accompagnerà al companatico odierno.
Dopo il caffè di metà mattina, riprendiamo la marcia e ci fermiamo a La Roche en Ardenne. E’ la cittadina dove si è combattuta, durante la II guerra mondiale, la cruenta battaglia delle Ardenne, tra la fine del dicembre 1944 e metà gennaio 1945. La Roche en Ardenne sorge su un’ansa del fiume Ourthe. E’ dominata dai ruderi di una fortezza costruita nell’XI secolo. Noi ci fermiamo per visitare il Musée de la Bataille des Ardennes.
Posteggiamo il camper presso il centro sportivo, di fronte alla piscina. Con una breve camminata raggiungiamo il centro della cittadina. Il museo si trova nella sua via principale. E’ un museo tradizionale. Mette in mostra dentro le vetrinette armi, oggetti, documenti e in vetrine più ampie i diorami che rappresentano dei momenti della guerra.
Ci incuriosisce la macchina ENIGMA. Essa era una macchina elettromeccanica, inventata nel 1918 dal tedesco Arthur Scherbius e utilizzata fino alla fine della II guerra mondiale per inviare messaggi segreti. L’ENIGMA è una macchina simmetrica, nel senso che se una lettera è cifrata con un’altra lettera, quest’ultima è cifrata con la prima. Ad esempio se la lettera B è cifrata come H, la lettera H è cifrata come B. I rotori potevano essere modificati e cambiati in modo da aumentare le possibili combinazioni e proteggere meglio i messaggi stessi. I tedeschi credevano che questa macchina fosse inattaccabile, invece già negli anni ’30 un gruppo di matematici polacchi, guidato da Marian Rejewski, era riuscito a ricostruire la struttura a rotori e a decrittare i messaggi.
Durante la II guerra mondiale il matematico inglese Alan Turing, considerato uno dei padri dell’informatica, lavorò per il servizio crittografico britannico. Egli riuscì a forzare i cifrari tedeschi e a decrittare i codici creati mediante la macchina ENIGMA. Così gli alleati intercettavano le comunicazioni naziste e preparavano le contromisure.
Il Belgio, indipendente dal 1831, nel 1887 aveva costruito delle cinture difensive intorno a Liegi, per difendersi dagli eventuali attacchi tedeschi, intorno a Namur per difendersi dagli eventuali attacchi francesi e intorno ad Anversa per difendersi dagli eventuali attacchi olandesi.
Queste cinture a nulla valsero. Il 10 maggio 1940 l’esercito nazista lo occupò. La resistenza belga inizialmente fu individuale. Singole persone o piccoli gruppi compirono attacchi sporadici. Poi la resistenza si organizzò in un’armata segreta. L’armata il primo giugno 1944 ricevette un messaggio dagli alleati tramite la BBC. Allora con attacchi di guerriglia i membri dell’Armata prepararono l’avanzata degli alleati, che sbarcarono in Normandia il 6 giugno. Dopo la liberazione del Belgio, gli americani lasciarono nelle Ardenne un esiguo numero di soldati e proseguirono l’avanzata verso i Paesi Bassi. Hitler, sfruttando lo stato di debolezza degli alleati in questa regione, attaccò, con l’obiettivo di separare le forze britanniche da quelle statunitensi, di tagliare i rifornimenti e di ridurli alla resa.
La piccola cittadina di La Roche en Ardenne, allora era chiamata “la perla delle Ardenne”, perché era un ridente centro vacanze. Aveva quaranta alberghi e le sue colline erano terrazzate, con giardini fioriti.
L’avanzata nazista fu ostacolata dal contrattacco degli alleati. Essi il 26 dicembre 1944, con due passaggi aerei gettarono sulla città 75 Mkg di bombe. L’obiettivo era di distruggere il ponte sull’Ourthe. L’ottanta per cento del centro abitato fu distrutto. Le fotografie esposte sono impressionanti. La battaglia continuò per molti giorni e la vittoria si concretizzò tra il 3 e il 16 gennaio 1945.
La Roche en Ardenne è oggi una tranquilla cittadina. Ville e villette con bei giardini sono disposte ordinatamente lungo la sponda del fiume. E’ nuovamente animata da tanti turisti che sostano nelle sue numerose brasserie. A ricordare la tragedia subita, nella città sono presenti un carro armato e altri mezzi bellici.
Possibile che tali strumenti di morte, invece di essere guardati come un monito e a ricordo del sacrificio di tante vite umane immolate per la libertà, sono visti dai bambini e purtroppo anche da molti adulti come un grande souvenir, dove giocare a fare l’eroe per poi magari postare su facebook la propria stupidità?
Torniamo al camper, pranziamo e proseguiamo il viaggio fino a Bastogne. La strada si alza sull’altopiano, siamo a un’altezza media di 500 m. Il tracciato stradale è tagliato in una zona agricola. L’ocra dei campi di segale si alterna con il verde degli erbai e dei pascoli. L’orizzonte è chiuso dalle foreste. A Bastogne visitiamo il Monumento in memoria dei soldati americani caduti a Mardasson. Esso è stato costruito dai belgi il 4 luglio 1944. E’ formato da colonne che sorreggono una grande terrazza a forma di stella di David. Lungo il bordo sono scritti i nomi dei cinquantuno stati americani, sulle colonne la storia della battaglia delle Ardenne, durate la quale morirono 76780 soldati americani, molti dei quali non furono mai trovati. Sotto il monumento c’è una cripta, nella quale il 16 luglio 1945 fu celebrata una funzione religiosa in memoria e a suffragio dei soldati caduti.
Nella cripta ci sono tre mosaici con i simboli dei cristiani cattolici, la croce, dei protestanti, la Bibbia e degli ebrei, il candelabro con sette bracci.
Il nostro viaggio continua. A Florenville facciamo una breve sosta per immortalare il suo castello.
Ripreso il camper, arriviamo di nuovo a Orval: qui era iniziato il nostro tour in Belgio e qui termina con un brindisi.