SVEZIA

Tour 2011

 

“ Per sentirsi un po’ di spazio intorno, un po’ di quiete,

non è necessario andare nell’Antartide o nell’Amazzonia,

perché il vero spazio costruttivo è quello della mente.

E’ lì che bisogna crearselo!

Il bello dell’avventura è sognarla, dare aria all’immaginazione,

poi si potrà anche tentare di dare materia ai sogni.”

                                                           (Walter Bonatti)

 

 

9 luglio

Questa sera, dopo aver festeggiato da pochi giorni il primo compleanno del nostro nipotino, iniziamo a “dare materia” a un sogno cullato per due anni.

 

20 luglio

Accompagnati da Heidi, il nostro nuovo navigatore, chiamato così perché ha cominciato a parlare in territorio elvetico con la sua voce dolce, anche se un po’ metallica, attraverso il passo del San Bernardino valichiamo le Alpi e proseguiamo in direzione nord fino a Göttigen.

La pioggia battente e incessante fa sembrare la giornata novembrina. Noi però crediamo ciecamente al SMS di Roberto: “inizio di vacanza bagnata, vacanza fortunata” e, nonostante il meteo, godiamo della vista delle numerose selve germaniche, immaginando quelle scandinave che vivremo da dentro.

 

21 luglio

L’area camper di Göttigen è proprio accogliente. Molto silenziosa ci ha permesso di recuperare con un sonno profondo la fatica del lungo trasferimento di ieri. Il viaggio prosegue attraverso i continui sali scendi  del territorio tedesco, fino alla pianura dello Schleswig-Holstein, dove da Puttgarden traghettiamo in Danimarca. Osservando il paesaggio teutonico, si comprende che la forza di una nazione si fonda su un solido settore primario. Colture foraggere, foreste e pascoli si estendono a perdita d’occhio e qua e là inglobano paesi dai tetti aguzzi e dai giardini in fiore.

Il traffico ordinato e scorrevole ci consente di rispettare la nostra tabella di marcia, nonostante i molteplici lavori stradali.
L’imbarco a Puttgarden è immediato, il tempo di sorseggiare un te caldo ed eccoci in Danimarca dove sostiamo per la notte nell’area camper dell’isola di Farø.

La notte ci raggiunge dal mare e ci avvolge con la sua oscurità facendo brillare in lontananza le luci costiere di altre isole. Il vento è fortissimo. Il nostro guscio viaggiante assorbe le tremende raffiche e le trasforma in un dolce dondolio che ci culla verso il sonno ritmato anche dal fragore del mare e dal ticchettio della pioggia, che fondono le loro note in una nenia infantile.

 

22 luglio

Ha piovuto molto nella notte e anche questa mattina la Danimarca continua a piangere la nostra toccata e fuga, dimenticandosi dell’estate che le abbiamo dedicato alcuni anni fa.

Ripresa l’autostrada la seguiamo ininterrottamente fino a Copenhagen, dove entriamo nel tunnel che poi sbocca sul ponte dell’Őresund, che conduce a Malmö.

Percorriamo il ponte avvolti nella nebbia, che lascia appena intravedere i piloni e i cavi che lo sorreggono. Poi la nebbia si dirada, il cielo è ancora chiuso nel suo grigiore ma, non si sa come, lascia filtrare alcuni raggi che asciugano il suolo rendendo l’aria satura di umidità.

Malmö è una città in crescita e in forte cambiamento. E’ una città dal passato industriale, che sta diventando sempre più un centro di commerci, di servizi, di comunicazioni. Interessante dal punto di vista architettonico è il suo quartiere nord occidentale, che ha subito una riqualificazione da zona portuale a zona residenziale. Si presenta come un grande giardino dove non circolano le automobili. Le case hanno la forma di un parallelepipedo. La loro lineare e sobria architettura è alleggerita da profondi balconi trasformati in salotti e mossa dai giochi di colore delle persiane e delle facciate. Il quartiere è dominato dal bizzarro grattacielo Turning Torso. Esso è un prisma a base quadrata, formato da cubi sovrapposti, alto 190 metri. La sua particolarità è che è ritorto su se stesso di 90°. L’ardita costruzione, ideata dal famoso architetto spagnolo Santiago Calatrava, rivela la sua straordinaria bellezza soprattutto se la si guarda da vicino e da sotto in su.

Il centro cittadino conserva ancora antichi palazzi costruiti con mattoncini rossi, ma nel complesso non ci è apparso significativo, perché è in gran parte occupato da grandi magazzini e dai marchi della moda.

La chiesa gotica di Sankt Petri, che conserva al suo interno affreschi medioevali, è chiusa per restauro. Il nostro giro si conclude nel curato giardino del castello, il cui edificio non ha nulla del maniero.

La giornata termina seguendo la costa del mar Baltico fino a Ystad. E’ una zona balneare. Nel tardo pomeriggio si riempie di turisti per il week end. Attraversiamo piccoli paesi le cui casette, assetate di sole, hanno ampi finestroni che lasciano intravedere accoglienti salotti affacciati su fioriti giardini.

Sostiamo in un’area camper improvvisata, ma piena di veicoli. Essa è più propriamente un’area picnic  adiacente a una sottile striscia sabbiosa lambita dalle cupe acque di questo mare dolce.

 

23 luglio

La notte è trascorsa tranquilla, bagnata da un paio di scrosci di pioggia tanto improvvisi quanto brevi. Ci alziamo, ma dov’è il mare? Si ode lo sciabordio delle sue placide onde, ma si cela allo sguardo coprendosi con uno strato di umida nebbia.

In mattinata visitiamo Ystad, una graziosa cittadina che conserva ancora degli scorci pittoreschi nelle sue stradine acciottolate su cui si affacciano le case a graticcio.

Molto bella è la chiesa di Sankta Maria. Entriamo e un’atmosfera di preghiera ci avvolge. Un cantore sta provando dei salmi accompagnato dal suono melodioso di un pianoforte a coda. La chiesa, ora protestante, rivela il suo passato cattolico con i suoi altari decorati. I quadri che contornano il soppalco del coro raffigurano la storia di Gesù dall’Annunciazione all’Ascensione in cielo.

Sono quasi le dieci, la città si sta animando. Il mercatino delle pulci è già in piena attività. I negozi aprono e Paola si sofferma a curiosare una vetrina di giocattoli. Che nostalgia del piccolo Niccolò! Si consolerà questa sera guardando le sue fotografie.

La nebbia si dirada, il cielo ancora rabbuiato fa intravedere qualche sprazzo di tenue azzurro.

Ci mettiamo in viaggio verso Karlskrona. Il percorso che seguiamo è un po’ interno rispetto alla costa. Attraversiamo una zona boschiva in parte sfruttata dall’allevamento. I cartelli stradali avvertono che si possono incontrare cinghiali, caprioli e alci e… non mentono! Infatti ai margini di un bosco vediamo un esile capriolo muoversi con agile eleganza. E’ sorprendente, a pochi metri di altitudine e a pochi chilometri dal mare  siamo immersi in un tipico paesaggio alpino! Rocce affioranti, pascoli di fitta e ispida erba, abeti, larici odorosi, fioriture sgargianti, questa è la natura che ci circonda.

Karlskrona è una città sorta su un arcipelago formato da tantissime isole collegate tra loro da ponti. Sostiamo al Dragö Camping, che dista tre chilometri dal centro della città ed è collegato con essa da una pista ciclabile, che sfruttiamo subito. Il nostro giro non ha nessuna meta particolare, è giusto una ricognizione, uno sguardo iniziale, un pretesto per sgranchirsi le gambe, dopo ore e ore trascorse in viaggio.

Dopo cena percorriamo il sentiero che segue il contorno dell’isola che ospita il camping. All’inizio del bosco, appesi a un albero penzolano tantissimi ciucciotti. Perché?  Entriamo nel bosco e ci ritroviamo nel mondo delle fiabe. Siamo circondati da troll, i piccoli gnomi dal naso grosso e dagli occhi vivaci che la mitologia scandinava descrive come personaggi rozzi, irsuti e un po’ dispettosi. Essi fanno capolino dalle rocce affioranti o sbucano da dietro i tronchi degli alberi, si intravedono appena, perché non sopportano la luce.  Allora troviamo risposta al nostro interrogativo. Narra la leggenda che i troll rubino i ciucciotti ai bambini, quindi le famigliole con bimbi piccoli prima di entrare nel bosco appendono il ciucciotto all’albero e lì rimane.

Camminiamo in silenzio. Catturati dalla magia della fiaba avvertiamo con ritardo che il vento è diventato impetuoso, il mare mugugna forte, le fronde stormiscono come spaventate, il profumo del bosco è diventato più intenso. La pioggia sottile e delicata incomincia a bagnarci. Rientriamo.

 

24 luglio

Sprazzi di sole e vento forte invitano a guardare con ottimismo a questo nuovo giorno. E’ domenica, è il giorno del Signore. Col camper ci rechiamo sull’isola dove c’è la chiesa cattolica. La messa è alle ore 11, ci avviamo per tempo. Posteggiamo il camper nel primo ampio spazio che troviamo. Scendiamo, ma la chiesa non si vede. Ci incamminiamo lungo la via che si apre davanti a noi, sperando di trovare qualcuno a cui chiedere informazioni. Fa al caso nostro un’anziana signora, che esce di casa. Ci rivolgiamo a lei in inglese. In un primo momento la signora non comprende la nostra richiesta. E’ dispiaciuta, dice che l’inglese lo ha studiato a scuola tanto tempo fa. Le crediamo, avrà circa ottant’anni! Però non  si perde d’animo, ci fa ripetere la domanda e sforzandosi ci capisce. Ci accompagna lei stessa alla chiesa, che è una piccola cappella dentro alla casa che funge da canonica.

E’ appena terminata la messa in polacco. Il sacerdote ancora vestito con i sacri paramenti è sulla strada a salutare i suoi fedeli. Spostiamo il camper e gli chiediamo se lo possiamo posteggiare lì di fianco. Vedendo dalla targa che siamo italiani, ci risponde in spagnolo e poi ci presenta via via ai fedeli che stanno giungendo per la messa in svedese. Una signora ci chiede se parliamo francese. Alla risposta affermativa di Giuseppe, si illumina, ci dice che lei, di origine francese, è trent’anni che non parla la sua lingua.

Puntuale inizia la messa. I fedeli sono proprio pochi, ma si vive davvero la cattolicità della chiesa. La messa è celebrata da un sacerdote africano, la chierichetta è cinese, tra i fedeli i genitori della chierichetta, che stanno aspettando un altro bambino, una coppia africana, alcuni svedesi e noi. In tutto circa venti persone.

Nel pomeriggio con le biciclette ci rechiamo sull’isola di Trossö, che è la più grande e la più antica della città. Il vento ancora forte ci è contro, ma ci consola pensare che al rientro lo avremo a favore. Passando per il faro andiamo al porto e visitiamo il museo della marina. Karlskrona è la più importante base navale svedese. Il museo è suddiviso in tre ambienti: al suo interno si possono vedere ricostruiti in diorami la vita sulle navi del 1800, inoltre c’è una bella sala con numerose polene, le statue che venivano poste sulle prue delle navi. Vengono anche proiettati dei video, incomprensibili, data la lingua. Di uno però abbiamo capito un dato tragico: ogni anno vengono gettati in mare 6,4 milioni di tonnellate di rifiuti. Lo studio è stato eseguito da un centro di ricerca scientifica statunitense nel 1997.

Attraccate al molo si possono visitare due navi da guerra. La prima è una draga mine. Di essa si può vedere tutto: la sala macchine, le cucine, gli alloggi della truppa, dei sottoufficiali, del comandante, i ponti con i vari uffici. L’altra è il cacciatorpediniere, che nell’ottobre del 1981 intercettò il sottomarino sovietico U 137 che, sconfinando, era entrato nelle acque nazionali svedesi.

Il terzo ambiente è un capannone, che conserva antiche barche a remi e vari cimeli marinari.

Riprese le biciclette concludiamo il giro della città che ha bei palazzi di stile neoclassico e torniamo al camping.

Questa volta il vento non ci tradisce e gioca a nostro favore aiutandoci nella pedalata.

 

25 luglio

Cielo azzurro, sole caldo, vento moderato: anche in Svezia è estate!

Velocemente ci prepariamo, lasciamo Karlskrona e ci dirigiamo verso l’isola di Őland, che dista poco meno di 100 chilometri.

Attraversiamo dapprima una zona agricola con sterminati campi di patate in fiore e messi pronte per la mietitura, schiacciate a terra dal vento e dagli impietosi scrosci di pioggia dei giorni scorsi e poi una zona boschiva di abetaie e betulleti.

L’isola di Őland è una striscia rocciosa lunga 137 chilometri e larga 16 chilometri. E’ molto vicina alla terra ferma, tant’è che la si raggiunge dalla città di Kalmar con un lungo ponte sorretto da numerosi piloni. Abbiamo scelto come meta quest’isola per le sue caratteristiche culturali e naturalistiche. Il ponte divide l’isola in due parti: un terzo si estende verso sud e due terzi verso nord. Decidiamo di andare prima a sud. Essa si presenta come una terra di mulini vecchi e nuovi. Ci spingiamo fino alla punta, dove nel paesino di Ottenby alloggiamo nel camping omonimo. Nel pomeriggio con le  biciclette visitiamo questa parte di isola, che è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Il piatto territorio è una brughiera dal suolo calcareo affiorante. I pascoli danno nutrimento a nere pecore dal pelo riccio e a bovini di varie razze, che brucano la povera erba, lasciando i cardi crescere vicino ai massi erratici, spinti fin qui durante le glaciazioni. Raggiungiamo il faro e l’area ad esso circostante, che è punto di ferma per gli uccelli migratori. Qui visitiamo anche un piccolo museo. Ha dei diorami che mostrano i nidi degli uccelli e dei pannelli interattivi. Due sono particolarmente interessanti: quello che fa udire il verso dei diversi uccelli che passano per questo luogo e quello che illumina su un planisfero le rotte migratorie dei volatili che giungono qui. La nostra pedalata di 25 chilometri termina raggiungendo il camping attraverso una strada secondaria, che ci fa transitare per una zona agricola, che profuma di segale matura.

Mentre le ombre si allungano e il sole declina dorando le chiome degli alberi, dal mare giungono in formazione le anatre che, mute, si dirigono verso gli stagni, che daranno loro rifugio e protezione nella notte. Le rondini invece intrecciano ancora dei garruli voli e i bimbi sul prato esauriscono le loro ultime energie rincorrendosi a vicenda.

 

26 luglio

C’è il sole ad augurarci il buon giorno. Rapidamente ci alziamo e ci prepariamo per partire. Ci trasferiamo nella zona settentrionale dell’isola, seguendo la strada che si snoda lungo la sua parte occidentale, che scorre più all’interno rispetto a quella percorsa ieri. Il paesaggio è agro-pastorale. Attraversiamo piccoli villaggi di basse case di legno colorato. Curioso è il sistema del recapito della posta: all’inizio del paese, accanto alla buca delle lettere ci sono le caselle delle famiglie, che qui abitano, ogni casella ha la sua foggia e  il suo colore, oltre al cognome ovviamente!

Quest’isola formatasi a causa dell’innalzamento del fondale marino è emersa in tempi diversi. La parte meridionale è la più antica. Era già emersa e abitata all’età della pietra, ma i primi insediamenti stabili risalgono all’età del ferro. A testimoniare questo fatto  ci sono, sparsi sul territorio delle necropoli caratterizzate da stele in pietra grezza. Stele analoghe, ma di più curata fattezza si ergono nei cimiteri, che circondano le chiese.

Siamo completamente padroni della strada, viaggiamo lentamente gustando lo straordinario paesaggio costellato dai tanti mulini.

Poco dopo la deviazione che porta al ponte, che collega con la terra ferma, il paesaggio cambia completamente e purtroppo anche un po’ il tempo. Il cielo si rabbuia. Pinete e flora lussureggiante ora ricoprono il territorio, che da qui è anche più densamente popolato. Facciamo una breve deviazione e ci rechiamo a Sandvik, un porticciolo turistico sulla costa orientale. Qui guardando dal molo il placido Baltico pranziamo, poi visitiamo il più grande mulino dell’isola, mentre il tempo si rimette al bello. Rispetto a quelli sparsi sul territorio, questo  mulino è in muratura. Esso è stato costruito nel 1856 a Vimmerby, successivamente nel 1885 è stato smantellato, però la sua struttura e le sue macchine sono state numerate e conservate. Nel 1909 è stato ricostruito dove ora è possibile visitarlo. Dalla data della sua ricostruzione è stato operativo fino al 1950. Il mulino ha otto piani. Il piano terra, che era adibito a magazzino, ora è un ristorante. Con delle ripide rampe di legno saliamo ai piani superiori, dove ci sono ancora le tramogge, le macine e gli ingranaggi, che regolavano il loro movimento.

Ripreso il mezzo ci fermiamo nel porticciolo di Böda che funge anche da area camper. E’ un porto turistico e peschereccio. Nel piccolo Fiskaffär Giuseppe compera un’aringa affumicata, sarà il suo pranzo di domani.

Il camper è di fronte al mare popolato da uccelli acquatici, che trovano punti di appoggio sui massi affioranti e da lì si preparano per un nuovo tuffo.

E’ sera, i pescatori caricano le reti sulle loro barche e prendono il largo, mentre gli ultimi raggi del sole ravvivano il colore delle casette del molo e delle barche a vela rientrate per la notte.

 

 

27 luglio

Oggi breve spostamento trasversale da Böda a Byxelkrok, che sta sulla costa occidentale. Anche questo paese ha il porticciolo e come consuetudine c’è anche l’area camper, però per usufruire del servizio lavanderia ci fermiamo al camping Neptuni. Nell’attesa di poter stendere il bucato riposiamo e prendiamo il sole, perché contrariamente a quanto si pensa, anche qui al nord ci sono giornate completamente serene e nelle ore centrali il sole è veramente caldo e ci si abbronza. All’improvviso, anticipato dal suo ronzio, si staglia nel cielo un piccolo aereo da turismo. Pensiamo subito al nostro amico Roberto, novello aviatore. Giuseppe gli invia un SMS invitandolo a telefonarci quando atterra nel vicino campo di volo, così gli offriamo un caffè.

Roberto, che è uomo di spirito, ci risponde che ci ha localizzato tra il 56° e il 57° parallelo di latitudine nord, ma che in questi mesi l’aereo club è fermo, quindi non può raggiungerci.

Verso metà pomeriggio inforchiamo le biciclette e ci dirigiamo al faro, che presidia la punta settentrionale dell’isola. Inizialmente costeggiamo  il mare, poi percorriamo la piccola penisola che porta al faro. La strada ha l’asfalto rugoso ed è tagliata in un fitto bosco di querce e pini. L’aria è fresca e odora di resina.

Il faro si trova su un’isoletta poco distante dalla penisola e ad essa collegato con un ponte. Chiude un profondo golfo, che si può assimilare a una laguna, perché il fondale è poco profondo e la sua bocca  stretta è quasi chiusa da altre isolette ancora più piccole che sembrano sassi di un ipotetico guado, su cui un gigante potrebbe poggiare i piedi.

Saliamo sul faro: 138 gradini di una lunga scala a chiocciola. E’ la nostra prima volta su un faro, li saliamo tutti d’un fiato.

Lì in cima siamo inebriati dal vento ed estasiati dalla vista che si gode a 360°. Poi attraverso il bosco di querce  arriviamo fino alla punta lasciandoci sorprendere ancora una volta dall’incanto della natura. Il cinguettio calmo della ballerina bianca,  un esile e slanciato uccellino, dal capino e la coda neri, il collo dai riflessi verdognoli, il corpo dal dorso grigio e il ventre bianco e le ali con alcune penne bianche, fa da colonna sonora al nostro cammino, mentre i laboriosi insetti aiutano la flora a compiere il suo ciclo vitale.

Verso sera il vento si placa. Nel cielo iniziano a scorrere lentamente piccole nuvole grigiastre, che sembrano aver paura di attraversare il mare, così si ammassano l’una contro l’altra, formando un sottile strato lanoso.

Intanto il sole cala, tinge di indaco e viola le nubi più basse, infuocandone i margini di un vivace rosso vermiglio e colora il mare di un intenso arancione fino a quando, inabissandosi, gli dona ancora per breve tempo dei riflessi dorati.

 

28 luglio

Una tintinnate pioggerellina è scesa nelle ore più buie della notte per poi cessare alla prima luce del giorno. Ci alziamo alle 7.30, perché non vogliamo utilizzare la giornata solo per il  trasferimento,  che è di 350 chilometri. Ripercorriamo a ritroso l’isola di Őland fino a Färjestaden sotto la pioggia che ha ripreso a scendere fitta e sottile e passando nuovamente sul ponte siamo sulla terra ferma. Prendiamo la direzione nord utilizzando la statale E 22, che corre alta sul mare seguendone la costa. Il rosa e il verde sono i colori dominanti di questo tragitto. Rosa è la roccia granitica nella quale è intagliata la strada, rosa è l’erica in fiore, che occhieggia tra il verde brillante delle felci e quello scuro dei muschi, verdi sono i pini e le betulle, che ricoprono l’ondulato territorio.

La pausa pranzo ci permette di riferire un’osservazione, che avevamo fatto nei giorni scorsi, ma non avrebbe avuto senso scriverla senza la documentazione fotografica. A sorpresa giunge nel parcheggio una macchina americana, di quelle tipiche degli anni ’60, larga e con la coda ad ali. Perché tanta enfasi? E’ da dieci giorni che siamo in Svezia e ne abbiamo già incontrate parecchie. In generale si può dire che il parco macchine svedese è di media – grossa cilindrata. I marchi più diffusi sono la Volvo, che fa la parte del leone, l’Audi e la BMW.

Nonostante le condizioni meteorologiche piuttosto mutevoli circola anche un discreto numero di cabriolet.

Le macchine italiane qui non hanno proprio mercato. In tutto questo periodo ne abbiamo viste solo tre: una vecchissima Fiat 850, un Doblò e una Alfa Brera.

Il grigio tappeto di nubi si sta via via assottigliando. Sprazzi di azzurro si fanno largo tra le nuvole sempre più bianche, piccole e spumose. Ora la fitta foresta  è interrotta da pianori di messi mature. Alla nostra destra  a tratti si vede il fondo dei fiordi, che si aprono sul mar Baltico, alla nostra sinistra verdi laghetti di origine glaciale, nei quali si specchia la folta vegetazione, che li circonda.

Ci fermiamo al camping di Söderkoping, che è posto sulla riva del Göta Kanal, che collega il mare del Nord con il mar Baltico. Il canale è lungo 190 chilometri, di cui 87 artificiali, gli altri sono laghi e fiumi. E’ stato costruito tra il 1810 e il 1832, grazie all’impiego di 58000 soldati,  che hanno lavorato con turni giornalieri di 12 ore. Lungo il canale ci sono 58 chiuse e 50 ponti levatoi. Sistemato il camper in una piazzuola prospiciente la piccola darsena, ci sgranchiamo le gambe con una pedalata di 25 chilometri, lungo la ciclabile che segue il canale. Dapprima andiamo al paese, che grazie al canale gode di un buon sviluppo turistico. Ancorate lungo il molo che costeggia la passeggiata ciclo pedonale fanno bella mostra di sé prestigiose barche a vela e signorili motoscafi. All’approdo è fermo il grande battello, che poco prima è passato davanti al campeggio. Invertiamo la marcia. Tornati al punto di partenza, proseguiamo fino al lago Asplängen. La ciclabile è una strada carrareccia sterrata dal fondo compatto. Segue fedelmente il canale, lontano dalla viabilità ordinaria, che ha un altro percorso. Il canale è navigato nei due sensi, incontriamo anche due canoisti e sulla pista alcuni ciclisti. Questo tratto ha diverse chiuse. Ci sono barche in attesa di passare. Ci fermiamo ad osservare l’apertura e la chiusura delle porte, lo riempimento e lo svuotamento dei bacini e ci sentiamo orgogliosi di aver avuto come compatriota Leonardo da Vinci, una delle menti più eccelse dell’umanità.

A sera la navigazione si ferma, il canale e la darsena sono ora animati da numerose paperelle. Qualcuna più ardita esce dall’acqua e cammina scodinzolando sull’erba attirando l’attenzione con il suo “qua, qua” e rimane in attesa di un po’ di pane. Poi se ne va soddisfatta e si rituffa nel canale.

 

29 luglio

Heidi ha riposato bene e si è svegliata efficiente. Forse sa che oggi è la giornata in cui deve dare il meglio di sé. Ci deve guidare a Stoccolma, ma soprattutto una volta entrati in città ci deve indicare senza esitazioni le diverse deviazioni per giungere all’area attrezzata Längholmens Husbilscamping, dove abbiamo prenotato il posto via internet prima della partenza.

L’autostrada per Stoccolma la prendiamo da Norrköping dove facciamo una sosta per rifornire la cambusa e la pancia del camper, che in questi giorni è parsimonioso. Consuma circa un litro ogni dieci chilometri, così compensa il costo del gasolio che qui è un po’ più caro rispetto a Milano. La spesa alimentare è invece sostanzialmente paragonabile a quella meneghina. Questo supermercato è grande, ha in vendita molti prodotti italiani, anche freschi, come la frutta e la verdura. Cerchiamo il burro. Da quello che capiamo leggendo le etichette tutto quello esposto è salato. In inglese ci rivolgiamo a un addetto chiedendogli se c’è del burro non salato. Ci risponde con lo stesso idioma dicendoci che quello meno salato contiene l’uno per cento di sale. Se uno straniero si rivolgesse in inglese a un magazziniere di un nostro supermercato, sarebbe compreso e avrebbe una risposta?

Se siete giovani e ci state leggendo vi invitiamo a trarre la giusta conseguenza.

E gli svedesi che tipi sono? Noi finora abbiamo incontrato persone affabili e disponibili. Quando leggono la nostra targa ci salutano con cordialità.

Dedicato ai colleghi di Giuseppe. Il maschio latino vuole sapere come sono le svedesone coscia lunga. Ci spiace per lui, sono nel suo immaginario. In generale le donne sono di media altezza e di corporatura brevilinea; gli uomini hanno anche altezze elevate, ma la loro corporatura non cambia. Tuttavia la situazione non è tragica, a ben guardare qualcuna si salva e la visione non è male!

Siamo quasi arrivati, manca solo un chilometro, un ultimo ponte. Il semaforo che lampeggia rosso e un suono intermittente impongono di fermarsi. C’è un ponte levatoio. Mentre le sbarre si abbassano, la strada si alza perpendicolarmente per lasciar passare delle barche a vela dagli alti alberi. Barche, barche, ancora barche, di tutti i tipi, fogge, età. La Svezia è un paese che ha tante barche quanti sono i suoi abitanti, anzi forse di più!

Posteggiato il camper comperiamo alla reception la Stockholm Card di tre giorni. A conti fatti ci conviene: permette la libera circolazione su tutti i mezzi, l’ingresso a tutti i musei e consente un giro della città in battello.

Con una camminata di tre chilometri costeggiamo il Riddarfjärden e raggiungiamo l’isola Gamla Stan, su cui sorge la città vecchia.

Stoccolma è una città formata da più di ventimila isole, collegate tra loro da ponti. Pur essendo la capitale non supera il milione di abitanti, se si esclude il suo circondario. E’ invece molto popolata se si considera che gli abitanti della Svezia sono solo 9 milioni, meno dei residenti in Lombardia!

Lungo la sponda del fiordo vecchie navi sono diventate case galleggianti e anche qui le caselle della posta sono riunite in un unico punto.

L’isola Gamla Stan ha la forma di uno scudo, sia riguardo il suo perimetro, sia per la sua morfologia. La zona più alta è occupata dal palazzo reale, il cui interno lo vedremo nei prossimi giorni. Visitiamo la cattedrale. La sua facciata è barocca, ma la sua struttura architettonica è gotica. Al suo interno presenta degli elementi barocchi, come il pulpito e i troni reali. Contrariamente a quanto si possa pensare questi elementi si armonizzano bene nel complesso architettonico. Degni di nota sono l’altare maggiore in argento ed ebano, il gruppo scultoreo di san Giorgio e il  drago e il quadro del Parelio. Questo quadro raffigura un fenomeno atmosferico osservato in città il 20 aprile 1535. Nel cielo erano comparsi sei cerchi luminosi, che furono interpretati come un segno premonitore di una sciagura. Il quadro oggi è importante perché è la più antica rappresentazione della città.

Poi giriamo tra i vicoli acciottolati secondo il più classico “sü de chi giò de là”. Davanti a noi si aprono scorci pittoreschi, le piccole piazzette alberate e i palazzi dalle tinte forti e dalle ricche facciate sembrano le quinte di un teatro vivente. L’isola è molto animata, accanto ai pacchiani negozi di souvenir ci sono botteghe che vendono ogni genere di antichità, numerose gallerie d’arte, boutique ed altro ancora. Contrariamente ad altre città in questa zona non ci sono le grandi firme, ciò rende unico e interessante il centro. Ceniamo in un pub, consumando un piatto tradizionale svedese a base di carne accompagnato con della birra.

Poi riprendiamo il nostro girovagare e lentamente raggiungiamo la stazione centrale, lì prendiamo la metropolitana che ci riporta nelle vicinanze dell’area camper.

 

30 luglio

Notte molto calda, tant’è che abbiamo tolto il piumone dal letto e, nonostante l’estrema vicinanza ad un’arteria di grande scorrimento, nel complesso riposante. Considerando che l’alternativa era qualche campeggio fuori città, riteniamo la scelta fatta adeguata ai nostri bisogni.

Anche oggi si prospetta una giornata di sole. Il cielo è appena velato dall’umidità, ma un gradevole venticello lo sta liberando. Decidiamo di dedicare la maggior parte della giornata al museo Skansen.

Con una breve camminata di dieci minuti raggiungiamo la metropolitana che ci porta alla città vecchia, dove parte il battello che collega i vari punti del fiordo percorrendolo a zig zag.

Qui ci attende una sorpresa, scopriamo che essendo alta stagione la nostra card non vale per il battello, bisogna acquistare un supplemento che costa cento corone. Siamo un po’ perplessi e riflettiamo su cosa fare. Non siamo più abituati ai numeri grandi. La spesa ci sembra eccessiva, invece rapportati alla nostra moneta cento corone equivalgono a undici euro.  Paghiamo il sovrapprezzo e dopo venti minuti sbarchiamo a Skansen. La traversata ci dà la panoramica della città secondo un’altra prospettiva. Eleganti palazzi si specchiano nel fiordo, quelli più antichi sono ornati da cupolette, torrette e guglie di rame, rese verdi dal processo di ossidazione, alcuni dei palazzi moderni replicano lo stile architettonico, ma i loro fregi non sono di rame, sono di un materiale lucido e nero.

Skansen è un museo all’aperto, che occupa un esteso dosso alle spalle del Luna Park. Esso rappresenta dal vivo la vita rurale e cittadina della Svezia del 1800. Iniziamo il percorso attraverso la ricostruzione della città. Dei figuranti, vestiti come si usava due secoli fa, praticano le diverse attività artigianali dentro le loro botteghe o dentro le prime fabbriche. Dal fornaio acquistiamo due dolcetti ancora caldi, che insieme a un te e a un caffelatte saranno il nostro pranzo. Vediamo all’opera il ceramista, il ciabattino, il tipografo, il falegname e degli operai in un’officina meccanica. Visitiamo la bottega del vetraio, del ferramenta, l’ufficio postale, le piccole abitazioni di legno verniciate di rosso. Proseguendo in senso orario passiamo dalla chiesa che è posta sulla sommità della collina. Appena usciti incontriamo l’uomo del ghiaccio, che incuriosisce un bambino.

Il versante opposto a quello percorso è stato lasciato selvaggio. Esso ospita in aree abbastanza ampie i principali mammiferi e qualche uccello, indigeni della regione scandinava. Foche, renne, alci, orsi, volpi, lupi, linci, bisonti, cinghiali, ghiottoni, scoiattoli. Vediamo pure un gufo. Desta impressione la grandezza dell’alce e il suo portamento maestoso. Nel recinto ci sono anche due piccoli nati il 15 maggio.

E’ l’inizio del pomeriggio, il sole alto è infuocato, il termometro segna 31° C. Gli animali hanno caldo e cercano refrigerio. Chi immergendosi nell’acqua come l’alce, chi rifugiandosi nella stalla come le renne, chi dormendo all’ombra di uno spuntone roccioso come gli orsi, chi nascondendosi tra il fogliame del sottobosco come il lupo. C’è chi vorrebbe sonnecchiare sornione su un morbido praticello come mamma lince, ma i suoi tre cuccioli sono vivaci e hanno voglia di giocare. Saltellano nell’erba, si fanno agguati, vanno a perlustrare il torrentello che scorre lì vicino. La mamma, paziente, li segue con lo sguardo, ma quando li perde di vista si alza e li raggiunge, mentre loro, bricconi, vanno in cerca di nuove avventure.

Anche i cuccioli d’uomo hanno caldo, vengono quindi presi dalle loro carrozzine e dai loro passeggini e portati in braccio. Se si offrisse a una mamma italiana una carrozzina completamente nera probabilmente  non la accetterebbe, perché il colore non si addice ad un bambino. Qui invece dove ogni raggio di sole  è prezioso e il suo calore deve essere trattenuto il più possibile, le quattro ruote dei lattanti e dei bambini sono rigorosamente nere.

Il nostro giro si conclude passando dove è stato ricostruito un insediamento rurale. Ci sono le stalle con gli animali domestici e i cortili con gli animali della fattoria.

Torniamo all’imbarcadero e riprendiamo il battello che ci riporta indietro. Proseguendo a piedi lungo la riva del fiordo raggiungiamo il museo della fotografia. Esso è stato inaugurato un anno fa e propone annualmente quattro esclusive esposizioni, oltre a mostre minori. In questi mesi espone uno dei più famosi fotografi mondiali, è l’americano Robert Mapplethorpe. Delle sue opere esposte, tutte in bianco e nero, ci piacciono i fiori, mentre la sezione relativa al nudo la troviamo in alcuni scatti piuttosto depravata e ci chiediamo se siamo noi che non capiamo l’arte o se è la ricerca di emozioni forti che porta l’artista ad esagerare. Un’analoga riflessione, partendo da spunti diversi, la facciamo di fronte ad alcune fotografie di altri fotografi.

Usciti dal museo con una lunga scalinata superiamo la parete rocciosa che scende a strapiombo e ci rechiamo al duomo cattolico per verificare l’esattezza dell’informazione circa la messa domenicale in lingua italiana. Che tristezza trovare sempre le chiese chiuse! Con la metropolitana, linea verde e rossa, intraprendiamo la strada del ritorno. Un po’ provati dal caldo e da nove ore di girovagare arriviamo al camper. Al suo interno ci sono 33°C, apriamo tutti i finestrini e gli oblò. Grazie al venticello fresco, che si alza al tramonto, rapidamente l’ambiente diventa vivibile.

 

 

31 luglio

Una domenica regale. La iniziamo rendendo lode al Re dell’universo, partecipando nella cattedrale cattolica alla messa. Ci rechiamo alla chiesa secondo l’informazione in nostro possesso: ore 8.45 la messa è in italiano. La chiesa è aperta, ma non c’è nessuno e anche l’altare non è ancora preparato. In una bacheca interna troviamo il calendario delle messe: nei mesi di giugno, luglio, agosto, la messa in italiano non viene celebrata. La prima messa è alle ore 9.45 in svedese e latino. Usciamo di chiesa, giriamo un po’ per il quartiere, beviamo un caffè, se così si può chiamare una brodaglia marrone allungata con acqua, poi ci rechiamo a messa. Le parti cantate sono in latino, il kirye eleison, il gloria, il credo e il santo.

Dopo la messa con la metropolitana andiamo nella città vecchia, perché per essere una giornata regale, dobbiamo anche rendere omaggio al re Carlo XVI Gustavo. Iniziamo la visita del suo palazzo, che è il più grande palazzo reale del mondo, dal museo Tre Kronor, che ha il nome del simbolo della monarchia, appunto tre corone. Questo museo, collocato nei sotterranei del palazzo, fa vedere le fondamenta medioevali dell’edificio e dei reperti storici. Molto interessante è il  video, fatto solo di immagini e date, che narra la storia di questo castello. Nell’anno 1000 l’isola era ancora spopolata, nel 1100 arrivarono le prime navi vichinghe e nel 1200 sorse  il primo castello. Con il passare dei secoli il castello è stato ampliato con l’aggiunta di ali e l’isola divenne  sempre più popolata. Nel 1697 un grande incendio  devastò e distrusse quasi completamente il castello, che fu ricostruito nel corso dei decenni successivi. Attualmente non è più abitato dai sovrani, ma è utilizzato come sede di rappresentanza.

Terminata la visita, dopo un frugale pranzo consumato in piazza, hot dog e Coca Cola acquistati in un chiosco, nel cortile esterno del castello assistiamo al cambio della guardia. Il posto in prima fila ci costa tre quarti d’ora di attesa in piedi sotto il sole con due bambine accoccolate tra e sui nostri piedi! I soldati di guardia al palazzo sono in alta uniforme. Portano una divisa blu del colore della bandiera svedese e sul capo hanno un elmo luccicante con i fregi e il puntale dorati. Sono le 13.15 quando da lontano si ode il suono della banda. La musica diventa via via più intensa fino a quando con passo militare la banda entra nel cortile, seguita dai soldati in alta uniforme. Da un altro lato del cortile entrano un ufficiale e il porta bandiera, che raggiungono la guardia centrale. Con una serie di comandi gridati in modo perentorio i militari marciano, si arrestano, serrano le fila. Poi avviene il cambio vero e proprio. La cerimonia si conclude con un breve concerto bandistico e il saluto alla bandiera.

Concluso questo evento visitiamo gli appartamenti reali. L’arredamento è del XVIII e XIX secolo. La prima sala è il salone del gran consiglio, esso è dominato dal trono d’argento della regina Cristina. Storia complessa quella di questa sovrana. Unica erede di re Gustavo II Vasa, morto in battaglia durante la guerra dei trent’anni, Cristina succedette al padre quando era ancora bambina, aveva sei anni. Dopo il periodo di reggenza, assunse i pieni poteri nel 1644, al compimento del suo diciottesimo anno.  Donna colta e di forte temperamento non volle sposarsi. Nel 1654 si convertì al cattolicesimo e abdicò in favore del cugino Carlo X Gustavo e si ritirò in esilio volontario a Roma dove morì nel 1662.

Proseguendo il giro, ci colpiscono gli orologi a colonna e da tavolo. Con il loro ticchettio richiamano la nostra attenzione: sono perfettamente funzionanti! Ci  piacciono particolarmente il parquet di legno intarsiato con motivi floreali di un salone e le  stufe di maiolica presenti in quasi tutte le sale. Nell’ultima sala è allestita una mostra fotografica di un fotografo giapponese. Nel 2001 il re dell’Arabia Saudita aveva chiesto agli scout di essere nel mondo messaggeri di pace. Il re di Svezia, che è Presidente onorario del movimento scoutistico mondiale, ha raccolto l’invito. Gli scout hanno operato in diversi paesi. La mostra riporta le testimonianze di alcune attività svolte in Salvador, in Kenia, a Hong Kong e in molti altri paesi. Alcune fotografie ci colpiscono emotivamente, una mostra una ragazza con in braccio un neonato africano, un’altra un ragazzo che accarezza con tenerezza il capo di un bambino seduto per terra davanti alla sua casa distrutta, con la testa chinata e chiusa tra le ginocchia.

Anche oggi è una bella giornata limpida. Nel cielo ventoso scivolano veloci ciuffetti di bianche nuvole. Usciti dal palazzo reale decidiamo di andare a dare uno sguardo dall’alto a questa singolare città. A piedi raggiungiamo la stazione centrale e con l’autobus n. 69 ci rechiamo a Kaknästornet. E’ la torre del centro operativo delle trasmissioni radio-televisive svedesi. Con un rapido ascensore saliamo al  trentesimo piano, dove c’è la terrazza panoramica. Poi saliamo a piedi un altro piano, qui protetti da una gabbia metallica si ha la spettacolare visione sull’arcipelago su cui sorge la città.

Alla fine ci sentiamo un po’ stanchi, solo adesso ci rendiamo conto che sono trascorse quasi dieci ore da quando siamo usciti. E’ proprio ora di rientrare!

 

1 agosto

Il cielo è completamente sereno e il sole già illumina il camper. Oggi abbiamo dormito un po’ di più, la sveglia suona alle ore 8.30.

Con la metropolitana raggiungiamo la città vecchia e poi a piedi l’imbarco del battello che naviga il fiordo. Il supplemento di cento corone pagato due giorni fa è valido anche oggi. In quaranta minuti raggiungiamo il museo Vasa.

Il Vasa è un vascello che è stato costruito nel periodo 1626-1628.

Il 10 agosto 1628 fu varato e affondò nel porto poco dopo essere salpato. Le cause del suo affondamento sono ancora ignote. Secondo gli studi fatti la sua costruzione era perfetta, l’assetto delle vele corretto, non risulta che ci sia stata una condizione meteorologica improvvisamente avversa. Il filmato, che viene proiettato e racconta la breve vita di questa bella nave, conclude alludendo al fenomeno rappresentato nel quadro del Parelio un secolo prima.

Questo vascello secoli dopo è stato ritrovato intatto sul fondale del mare. La sua conservazione è stata possibile perché il mar Baltico è poco profondo, poco salato e ha un fondale sabbioso. Nel secolo scorso gli svedesi hanno pensato di riportarlo in superficie. Nel 1959 è stato imbragato e due anni dopo, il 4 maggio 1961 il Vasa è riemerso.

Il museo ospita il vascello nella sua interezza e maestosità. Intorno al vascello sono stati costruiti sei piani per permettere ai visitatori la visione di ogni sua parte. Il piano terra stradale corrisponde al quarto piano del vascello, su questo piano c’è anche la sua riproduzione in scala 1:10 con i suoi colori originali. Le varie parti del vascello sono state riprodotte e messe in mostra alle pareti, mentre gli oggetti recuperati sono conservati dentro delle vetrine. I cannoni non sono più nella loro posizione originale, ma si trovano nel piano più basso intorno alla chiglia. L’acqua e il tempo hanno degradato le vele. Esse nel loro insieme ricoprivano una superficie di 1200 metri quadrati ed erano sostenute da tre alberi. La vela principale era alta 22 metri e larga 11 metri. Delle vele sono rimasti solo dei brandelli, che sono conservati dentro delle bacheche di vetro.

Insieme al vascello sono stati ritrovati anche gli scheletri delle persone imbarcate. Le ossa di alcuni di loro sono state ricomposte. Attraverso studi scientifici è stato possibile risalire al sesso, all’età e ricostruirne la fisionomia. I volti di questi poveretti sono quindi visibili.

Interessante è anche il plastico che mostra come a quei tempi avveniva la costruzione di una nave. I carpentieri andavano personalmente nel bosco a scegliere gli alberi da abbattere. Durante l’inverno i tronchi venivano caricati sulle slitte e trasportati nella zona portuale dove sorgeva il cantiere navale.

Qui erano depositati e lasciati stagionare. Poi iniziava la costruzione. Si incominciava assemblando il fondo, quindi si mettevano dei bracci laterali, che avevano il compito di sostenere le fiancate. La nave veniva infine completata al suo interno ed esternamente ornata con dei fregi.

Il Vasa è stato costruito con legno di quercia. E’ lungo 69 metri e alto 49 metri ed è decorato con centinaia di sculture di legno intagliato.

Il museo Vasa è davvero unico e merita di essere visitato.

Usciti dal museo a piedi raggiungiamo il ponte che porta nel quartiere Őstermalm. Qui prima percorriamo il viale che costeggia il fiordo su cui si affacciano signorili palazzi ottocenteschi, mentre attraccate alle banchine vecchie barche sono oggi delle house boat; poi ci addentriamo nel quartiere per capire meglio la vita quotidiana di questo popolo. Il mercato coperto Saluhall è un edificio costruito in mattoncini rossi nel 1885. Entriamo, odora di spezie e di verdura. Per il risotto di questa sera comperiamo dei finferli, che qui chiamano kantareller.  In un angolo c’è un bar, beviamo un buon espresso. La barista ci offre dell’acqua con dentro delle fette di limone, una fetta di cetriolo e qualche foglia di prezzemolo. La assaggiamo, sarà anche dissetante, ma che gusti hanno questi nordici!?!

Il quartiere ha vie che si intersecano perpendicolarmente, sulle quali si affacciano sobri palazzi dalle facciate pulite.

Il nostro girovagare continua e ci troviamo nelle vie dello shopping, che percorriamo senza grande interesse, perché sono uguali in ogni città.

Torniamo all’area camper. Anche oggi c’è stato un discreto avvicendarsi di veicoli. Ci colpisce una nuova presenza: è un camper che ha posato sul cofano la bandiera australiana. Simone e Eileen ci hanno raggiunto? L’illusione subito svanisce, due signori sono seduti lì vicino. Simone e Eileen li sentiamo per telefono, sono nel nord est dell’Australia, tra qualche giorno raggiungeranno con una barca la barriera corallina, lì faranno delle immersioni per vedere quel paradiso sommerso.

 

2 agosto

Ieri sera avevamo già completato i nostri compiti delle vacanze, cioè scaricato le fotografie e scritto il diario della giornata, quando il nostro sguardo è stato attirato verso il cielo. Una mongolfiera è passata sopra le nostre teste. Il pallone blu sorreggeva una cesta rettangolare dalla quale si affacciavano delle persone vocianti. Quando si abbassava, la fiamma diventava più vivace, scaldava l’aria, che dilatandosi faceva riprendere quota all’aerostato. Sospinto dal vento il pallone si è allontanato. Lo stesso vento ha portato con sé il rumore di un rombo di motori. Per chi se ne intende non era un rumore qualsiasi, ma il suono armonioso di meccaniche perfette. Giuseppe incuriosito si è mosso  e ha trovato presso la reception delle automobili d’epoca, qui convenute per un raduno. C’era una vecchia Volvo, una Pontiac del 1929, una Bugatti e altre ancora.

Questa mattina lasciamo Stoccolma e ci spostiamo a Uppsala, l’antica capitale. Posteggiamo il camper lungo il fiume Fyrisån e ci avviamo a piedi verso la cattedrale. Uppsala è un’elegante città completamente priva di traffico, ma piena di vita. E’ davvero un piacere girarla. La Domkyrka è costruita con mattoncini rossi in stile gotico. Posta lievemente in alto, domina la città. Il suo interno è a tre navate, contornano le navate laterali una serie di cappelle funerarie, che conservano le spoglie dei primi re di Svezia, tra essi c’è quella del re Gustavo Vasa I. Ci sono anche le tombe di persone importanti: la tomba di Linneo, il cittadino più illustre di questa città universitaria e la tomba di sankt Erik, il patrono della città. Poco lontano dal duomo, sulla sommità della collina sorge il castello. Esso ha la forma di una elle, le due estremità del braccio più lungo sono chiuse da due massicce torri cilindriche, sormontate da una semisfera dal tetto nero a cui è sovrapposta una piccola cupola sferica. Il castello è stato costruito dal re Gustavo Vasa I nel XVI secolo e successivamente è stato rivestito con un intonaco rosa. Dopo la sua distruzione causata da un incendio è stato ricostruito esattamente come era nel 1757. Di fronte al castello si estende un grande giardino, che è allestito come un orto botanico.

Nel pomeriggio Paola rende omaggio a un grande scienziato, che ha avuto un ruolo importante nei suoi studi. Visitiamo il Linneaus Museum. Esso comprende la casa e il giardino di Carl von Linnè, conosciuto in Italia con il nome di Linneo. Egli è vissuto nel XVIII secolo. Nato nel villaggio di Råshult, studiò nelle università di Lund, di Uppsala e in Olanda.

Il grande scienziato presentò nel 1735 il risultato delle sue osservazioni relative alle piante nella famosa opera Systema Naturae. Egli osservando nei fiori il numero degli stami e dei pistilli suddivise le piante in ordini, gli ordini in generi e i generi in specie. Ancora oggi la classificazione degli esseri viventi utilizza la tassonomia binaria di Linneo. Nel 1741 Linneo ottenne la cattedra di medicina presso l’università di Uppsala.

La casa dove ha abitato è una bella palazzina. Al piano terra c’è la vera e propria abitazione, al primo piano il suo laboratorio, che  comprende lo studio nella cui libreria sono conservati antichi testi scientifici e un piccolo museo, dove egli ha raccolto e conservato conchiglie, uccelli e altri animali imbalsamati, tra cui un pangolino.

Il giardino è la ricostruzione del più antico orto botanico svedese; ha milletrecento specie vegetali. Camminiamo nei vialetti, osserviamo con interesse le piante conosciute e siamo incuriositi da quelle ignote. Alcune piante richiamano la nostra attenzione con il loro profumo. E’ così che scopriamo l’aneto e i diversi tipi di menta. La stagione della fioritura sta per finire, ma le api bottinatrici e le vespe lavorano ancora intensamente. Si muovono tra i fiori, con destrezza entrano nelle loro corolle o si posano con delicatezza sulle composite alla ricerca del dolce e nutriente nettare. Se ne vanno così sporche di polline di fiore in  fiore. Anche questa è la meraviglia del creato!

…ma cosa succede? Non si è mai visto un fiore così grande! Ci sono anche degli insetti distratti che credono di trovare un tesoro su una testa bionda e nell’azzurro di una maglietta.

Ci sono anche piante che non si riproducono sessualmente. Ecco le verdi felci con i sori pieni di spore pronte ad espandere la specie e i mitici equiseti, che tanto onore portarono a Paola nel lontano 1974, durante l’esame di botanica sistematica.

Ripreso il camper seguendo una strada statale immersa nel verde dei boschi giungiamo a Sala, dove alloggiamo al campeggio Silvköparens, che si affaccia su un tranquillo laghetto dalle acque trasparenti.

 

3 agosto

Lago e cielo sono di un intenso azzurro. Siamo pronti per un’altra splendida giornata. Col camper raggiungiamo la Silvergruva, la miniera d’argento di Sala. E’obbligatoria la visita guidata. Si può scegliere la durata, sessanta o novanta minuti e la lingua svedese, inglese, tedesco. La visita più breve porta a una profondità di sessanta metri, l’altra raggiunge i centocinquantacinque metri sotto terra.

Sono le 10.15, alle 10.30 parte un giro breve in lingua svedese, alle 11.00 un giro lungo in inglese. Optiamo, forzatamente, per il giro lungo. Puntuale si presenta Christian, un giovane ragazzone dai lineamenti un po’ grossolani e dai colori chiari. Indossa un cappello di feltro nero, una ruvida camicia bianca sotto a una giacca di panno grigio. I pantaloni e le scarpe hanno una foggia moderna. Ha in mano una lunga torcia elettrica. Sarà la guida di tre persone: Giuseppe, Paola e un signore francese di circa quarant’anni. Due italiani, un francese e uno svedese che parlerà inglese, chissà cosa capiremo!  Christian ci fa indossare l’elmetto protettivo, si assicura che abbiamo qualcosa per coprirci, quindi mentre ci accompagna alla bocca del pozzo ci dà alcune informazioni. In questa zona l’argento fu scoperto nel XVI secolo. In quel tempo iniziò il lavoro di scavo delle gallerie, che durò per alcuni secoli. I cunicoli si spinsero sempre più in profondità man mano che i filoni più superficiali si esaurivano. Si passò dai sessanta metri ai novanta metri per giungere a centocinquantacinque metri. La percentuale d’argento contenuta nella roccia era bassa, raggiungeva al massimo il 4%. La miniera è stata chiusa nel 1908.

I minatori raggiungevano le gallerie scendendo lunghe scale di legno a pioli. Esse venivano appoggiate alle pareti e collegavano i cunicoli posti a diverse profondità. Oggi  si scende con un ascensore. Cinque minuti di lenta discesa e siamo nelle viscere della terra. Man mano che scendiamo si avverte il calo della temperatura; appena usciti dall’ascensore e fatti i primi passi nella galleria il freddo diventa pungente. Allacciamo con cura il nostro pile.

Abbiamo già visitato diverse grotte e la miniera di sale in Polonia, ma questa esperienza si presenta nuova. Le gallerie non sono illuminate se non da piccolissimi led, che danno una fioca luce azzurrina. Christian con passo sicuro inizia a camminare, le nostre pupille sono ancora dei piccoli forellini, i primi passi sono nel buio più totale. Le gallerie sono rimaste quelle che erano: ora sotto i nostri piedi c’è del terriccio e qualche pozzanghera dovuta all’acqua che gocciola dall’alto. Stiamo camminando in mezzo ai binari lungo i quali venivano trainati i vagoncini carichi di pietre. Girato il primo angolo Christian si ferma e accende la pila per illuminare un diorama. Qui c’è una grande camera. E’ ciò che è rimasto dopo l’estrazione del prezioso minerale metallifero. Le figure dei minatori sono raccolte intorno a un fuoco per riscaldarsi. Scopriamo che l’abbigliamento di Christian è quello dei minatori. La differenza è che essi portavano pantaloni di panno, calze di lana e ai piedi zoccoli di legno. Christian ci racconta che il suo bisnonno ha lavorato in questa miniera. I minatori lavoravano dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana. Un lavoro massacrante per portare in superficie cinque metri cubi di roccia a notte.

Ora i nostri occhi si sono adattati all’oscurità. Christian prosegue, con la pila traccia il percorso quando il fondo è particolarmente accidentato o quando la volta è bassa e richiede attenzione per non battere la testa. Una volta tanto la bassa statura è un vantaggio e Paola è la fortunata!

Ecco ora una lunga scala posta tra due cunicoli e poi una galleria in parte crollata, tutta rinforzata con tronchi di conifere. Il ticchettio dell’acqua gocciolante ora è più intenso. Ci fermiamo vicino a un precipizio. Sotto di noi una grande camera, in parte riempita d’acqua. Christian prende un grosso sasso e lo lancia con forza. Un tonfo. Quel nero lago lo inghiotte e il cupo suono rimbomba sulla volta e sulle pareti. La profondità di quella caverna raggiunge i trecento metri. Fa freddo, bisogna muoversi. Chiediamo che temperatura c’è e se varia secondo le stagioni. Christian ci risponde che ci sono 2°C e che l’escursione termica è di pochi gradi. Ancora una galleria: è più bassa di quelle già percorse, anche Paola deve chinare la testa. Il cunicolo si divide in due rami, uno è a fondo cieco. Christian ci spiega che lì non sono stati trovati filoni del prezioso metallo, l’altra si apre. Una grande camera ha contenuto chili e chili di roccia, dalla quale è stato estratto l’argento, con cui è stato forgiato il trono della regina Cristina, trono che abbiamo visto pochi giorni fa nel palazzo reale di Stoccolma.

Christian lancia un urlo e spegne la pila. Le pareti gli rispondono, echi e rimbombi riempiono l’aria, smorzandosi lentamente e ci ritroviamo soli con noi stessi a cercare di capire dove sta andando la nostra guida, che subito ci recupera lampeggiando sul suolo. Nuova sosta: siamo davanti a una porta a vetri, entriamo. Fa caldo, gli occhiali si appannano. E’ climatizzata. E’ un piccolo appartamento. Christian ci dice che è stato allestito con scopi turistici. Quaggiù è possibile svolgere delle feste, in particolare questo luogo è utilizzato per le feste nuziali  e per trascorrere la prima notte di matrimonio e ci mostra il talamo.

Il giro sta per finire. La galleria che ci porta all’ascensore ha un ramo chiuso coperto di ghiaccio. Si forma d’inverno e non riesce a sgelarsi completamente con il passare dei mesi. Risaliamo in superficie, l’estate ci attende con la sua luce sfolgorante e il suo calore.

Pranziamo sul camper e continuiamo il nostro viaggio verso Falun  proseguendo la strada percorsa ieri. Boschi misti di conifere e betulle ci circondano, ogni tanto il paesaggio si apre, stagni e laghi riflettono l’azzurro e il verde della natura. Nascoste tra gli alberi si intravedono le tipiche case di legno colorato di rosso con gli infissi verniciati di bianco. La strada ci immette in una nazionale, allora dopo pochi chilometri deviamo. Ora stiamo percorrendo una stradicciola di campagna, che attraversa villaggi formati da poche case. I campi coltivati ad avena e grano biondeggiano e i prati folti di erba promettono un buon sostentamento ai bovini delle fattorie che, sparse sul territorio, sorgono ai margini della foresta.

A Falun visitiamo la miniera di rame. Scegliamo di vedere il villaggio minerario che sorge intorno alla grande voragine della più antica miniera svedese e il museo. Il pozzo principale è stato aperto nel 1662 e raggiungeva una profondità di trecento metri. A quell’epoca le tecniche inadeguate portavano spesso a tragici crolli. Il 25 giugno 1687 avvenne una catastrofe. La camera  principale e le gallerie  collassarono. Per fortuna era un giorno non lavorativo e non si ebbero perdite umane. Oggi di quell’immane crollo rimane una grande voragine rossa, che sembra il cratere di un vulcano. Entriamo in un caseggiato: c’è una ruota idraulica di legno del diametro di quindici metri, serviva per pompare in superficie l’acqua che sgorgando dalle falde avrebbe allagato le gallerie. Lì vicino una torre. Dentro, protetto da diversi reticolati e da una spessa lastra di vetro, c’è il camino di ventilazione. A guardarlo dall’alto fa venire le vertigini. E’ profondo duecentootto metri ed è protetto da barre che impedivano la caduta delle pietre. Poco distante il pozzo di estrazione. Con una carrucola venivano issati gli enormi secchi di pietre cuprifere. Le pietre venivano caricate su carriole e portate dentro a un  locale dove lavoravano dei ragazzi. Qui avveniva la loro macinatura. Dei grossi cilindri metallici passavano sulle macine di pietra sulle quali venivano posati i massi da triturare. Ancora oggi intorno alla miniera ci sono cumuli di pietre rosse: è calcopirite, un composto di rame, ferro e zolfo, il più comune e diffuso minerale di rame, la più importante risorsa naturale per l’estrazione del rosso metallo. Accanto al villaggio minerario c’è un’industria chimica. Dalle pietre si ricava il rosso Falun, il pigmento con il quale viene colorato il legno, che poi si usa nella costruzione delle case. Ci avviciniamo a uno dei tanti cumuli, la terra è ricoperta dalla polvere rossa. Paola si rammarica di non avere  un cucchiaio e un recipiente per raccoglierla e portarla a scuola, materiale prezioso per il laboratorio. Si accontenta di toccarla con un dito, raccoglie invece due pietre.

Il museo mette in mostra diversi minerali metalliferi e gli arnesi utilizzati nei secoli dai minatori. Per far luce si è passati dalle candele, alle lampade a petrolio, alla luce elettrica. Nella mansarda del caseggiato è stato ricostruito il centro di primo soccorso. Desta impressione il filmato che mostra l’amputazione di una gamba maciullata.

Terminata la visita alloggiamo al camping Lugnet. E’ un grande campeggio, che si estende ai piedi dei due trampolini per il salto con gli sci. Uno è attrezzato con erba sintetica, per permettere agli atleti di allenarsi anche in questo periodo. Questo centro ha ospitato i Campionati mondiali di sci nordico nel 1954, nel 1974, nel 1980 (parzialmente) e nel 1993 e li ospiterà nuovamente nel 2015. L’arrivo è un vero e proprio stadio, vi si può entrare. Giuseppe si siede sugli spalti e con lo sguardo perso nel vuoto riesce ad immaginare il mondo bianco di questo luogo in inverno.

 

4 agosto

Prima di lasciare Falun torniamo alla miniera di rame, questa volta muniti di un cucchiaio e un recipiente per raccogliere la rinomata terra rossa.

Da lontano ci viene incontro Luigi, il fratello di Paola. Ma che ci fa qui in Svezia? Tanta è la somiglianza, ma una caratteristica lo distingue dal suo sosia svedese: Luigi non porta l’orologio al polso!

Proseguiamo il viaggio e ci dirigiamo verso la regione del lago Siljan. Questa mattina c’è più traffico del solito. Incrociamo un numero considerevole di automobili americane, per gli svedesi sono proprio una vera passione! Questo popolo al volante presta molta attenzione ai pedoni e ai ciclisti e rispetta alla lettera i limiti di velocità, che sulle strade ordinarie è di novanta chilometri all’ora. Noi invece viaggiamo intorno ai settanta chilometri all’ora, siamo quindi superati da tutti. I camionisti pazientemente si accodano al nostro mezzo, noi quando c’è la possibilità ci soffermiamo in una piazzuola per lasciarli passare. Anche così  gustiamo il paesaggio apparentemente uguale, ma sempre diverso nei suoi scorci. Il territorio è ondulato, siamo ad un’altitudine modesta, intorno ai duecento metri, ma la vegetazione è alpina. Laghetti luccicanti di sole sono incastonati tra le cupe pinete. Esili betulle affamate di luce allungano verso l’alto il loro tremulo fogliame.

Ad un tratto la strada curva leggermente verso sinistra: che spettacolo! Davanti a noi il lago Siljan mostra la sua grandezza. All’ora di pranzo sostiamo a Nusnäs. Questo piccolo villaggio di casette rosse è rinomato perché qui è nato il famoso cavallino simbolo della Svezia. Il cavallo di Dala è di legno intagliato e dipinto a mano con colori vivaci a motivi floreali. Intagliare il legno era il passatempo invernale.

Nel 1928 anche i fratelli Nils e Jannes Ollson di quindici e tredici anni  iniziarono ad intagliare il legno e modellarono dei cavalli. Miscelando loro stessi i colori e utilizzando pennelli che si fabbricavano li decoravano. Col passare degli anni i loro cavalli divennero prima il simbolo di Mora, la cittadina più vicina a questo borgo, poi della regione Dalarma e infine della Svezia.

Visitiamo il laboratorio dei fratelli Ollson, ora condotto dai loro discendenti ai quali hanno trasmesso quest’arte. Vediamo all’opera gli artigiani intagliatori, che con abilità sgrossano il legno e gli danno forma. Nella camera accanto c’è chi dà ai cavalli il colore di fondo e ancora più avanti abili e leggere mani di donna rivestono il cavallino con precisi e delicati tratti di pennello, decorandolo secondo la tradizione. Decidiamo che questo grazioso simbolo sarà il regalo di Natale per i nostri amici. Esso accompagnerà il consueto calendario che racconta le nostre vacanze.

Per la nostra parete dei ricordi comperiamo delle piccole alci di legno, faranno compagnia al bisonte polacco e al puffin scozzese.

Ci rimettiamo in marcia verso il paese dove abbiamo deciso di trascorrere la notte. Uscendo dal villaggio notiamo la scritta camping, cambiamo subito idea. Ci fermeremo qui, così potremo fare nel pomeriggio una gita in bicicletta. Invertiamo la marcia, ripercorriamo la strada principale di Nusnäs, ma del camping non ci sono né ulteriori indicazioni, né traccia. Siamo ormai usciti dal villaggio dalla parte opposta, quando incrociamo una signora in bicicletta che sta pedalando verso il paese. Rallentiamo e dal finestrino le facciamo un cenno. Si ferma. Le chiediamo dov’è il camping. Ci risponde di seguirla. Bella proposta, ma fare inversione su una stradina di campagna con un mezzo lungo più di sette metri non è facile. Pazientemente ci aspetta e poi pedalando di gran lena davanti a noi ci accompagna tra le stradine del borgo fino a un bivio. Qui si ferma, ci dice di girare a destra e di proseguire, più avanti sulla sinistra avremmo trovato il camping, lei invece gira subito a sinistra. La gentilezza e la disponibilità di questa gente è veramente grande. Prima di lasciarla l’abbiamo ringraziata di cuore e ora che siamo al camping ancora di più. Il camping, se così si può chiamare, è un prato circondato da pini e betulle che si affaccia sul lago. C’è posteggiato un camper tedesco. Posteggiamo il nostro mezzo parallelo alla riva. Scendiamo a contemplare quest’oasi di pace, dove trascorreremo la sera e la notte. “Puon ciorno!” ci dice orgoglioso del suo italiano il tedesco. Scambiamo qualche parola, poi scarichiamo le biciclette, indossiamo il caschetto e via verso Mora.

Il sole che scotta e i lievi sali scendi inizialmente si fanno sentire nelle gambe un po’ legnose.

A Mora visitiamo il museo della Vasaloppet, la più importante gara di sci di gran fondo del mondo. La tradizione vuole che essa sia la commemorazione di un evento storico. Si narra che nel 1520 il re Gustavo Vasa avesse chiesto agli abitanti di questa zona di insorgere contro i danesi che la dominavano. Ricevuto il rifiuto da parte della popolazione, il re fuggì sugli sci verso il confine norvegese. Due fratelli però si convinsero della bontà della proposta, inseguirono il re, a loro volta seguiti da altri popolani e lo raggiunsero a Sälen .

Nel museo attraverso filmati, oggetti in esposizione, fotografie e articoli di giornale si rivive la storia moderna di questa gara. Essa si snoda su un percorso di 90 chilometri da Sälen a Mora e si svolge alla prima domenica di marzo. La prima Vasaloppet è stata corsa nel 1923, dopo quella sperimentale corsa l’anno precedente. Il primo vincitore ha impiegato dieci ore e dieci minuti. La gara è stata aperta ufficialmente alle donne nel 1981. Kerrin Petty dal 1998 detiene il record: ha percorso il faticoso tracciato in 4 ore e 17 minuti. Il record maschile è di Peter Göransson, che ha impiegato 3 ore e 39 minuti. Anche il re Carlo XVI Gustavo, l’attuale sovrano, ha partecipato a questa competizione nel 1987, ottenendo un tempo di tutto rispetto: poco più di otto ore. Ogni anno il numero dei partecipanti aumenta. Nel 2010 è stato registrato il record di 57560 partecipanti.

Tra gli oggetti in esposizione troviamo particolarmente interessante la parata degli sci. Essi sono allineati gli uni agli altri raggruppati per decenni: anni  ’20; ’30; ’40 …fino al 2000. Come sono cambiati i materiali e gli attacchi, così come l’abbigliamento! Lo sport pionieristico aveva un non so che di eroico, oggi la spasmodica ricerca del record può anche portare a scelte di dubbia eticità.

Guarda, guarda, un italiano ha l’onore di essere ricordato in questo museo! E’ Maurilio De Zolt, detto il “grillo” per la sua sciata molto saltellante. Egli ha la sua fotografia nello stand dedicato ai campioni olimpici, non pochi,  che hanno partecipato alla Vasaloppet senza mai vincerla. Le sue partecipazioni sono state diverse, il suo migliore piazzamento è stato un quarto posto. Molto meglio hanno fatto le donne italiane. Maria Canins ha vinto nel 1985 e Cristina Paluselli nel 2006.

Sotto le fotografie dei primi vincitori, sorridenti, ma stravolti, c’è appoggiato per terra un enorme pentolone di ferro arrugginito dotato di un rubinetto a spina. Sul suo coperchio un mestolo e una tazza sempre di ferro. Accanto su un tavolino un contenitore termico con rubinetto a spina, dei bicchieri di carta e un cartello che invita ad assaggiare la zuppa di mirtilli. Ne prendiamo un po’. E’ il succo denso e tiepido dei mirtilli. Buono! Viene dato ai concorrenti ai rifornimenti posti lungo il percorso di gara. A noi darà energia per la pedalata di ritorno.

Completata la visita, prima di tornare a Nusnäs, Giuseppe si fa immortalare sotto lo striscione d’arrivo della gara, che è una porta di legno tutta dipinta.

Dopo ventitre chilometri il giusto riposo davanti al lago imbronciato, perché grigi nuvoloni si stanno addensando. E’ sera, giungono al camping un camper norvegese e una famiglia svedese, che monta una tenda mentre due biondini corrono felici dietro la loro palla rossa.

Piccole barche ritornano al porticciolo, alcuni uccelli acquatici pigolando raggiungono i canneti che nascondono la riva poco più avanti. Ora il lago è piatto, il suo colore scuro è interrotto da chiazze di luce che lo fanno sembrare gelato.

 

 

5 agosto

Notte di assoluto silenzio, notte di sonno profondo, notte di grande riposo. E’ un piacere alzare gli scuri del camper e perdersi con lo sguardo tra le increspature del lago mosso da un alito di vento. Il nostro cottage a quattro ruote non poteva fermarsi in un posto migliore! Ci prepariamo in fretta, perché oggi abbiamo un intenso programma. Dopo la giornata botanica di Uppsala e quella geologica di Falun, è arrivato il tempo della giornata zoologica. Con un breve spostamento di circa trenta chilometri ci rechiamo a Orsa. Il nome, per noi italiani, è già una garanzia e da lì con una salita di otto chilometri raggiungiamo il Björnpark. In questo parco vivono i grandi carnivori dei climi freddi dell’emisfero boreale: il lupo, la volpe, la tigre siberiana, il leopardo delle nevi, il leopardo persiano, la lince, l’orso polare, l’orso bruno e l’orso della Kamtchatka. Questi ultimi due sono onnivori. Questo bioparco è davvero particolare, perché coniuga l’osservazione dal vivo con diorami e pannelli esplicativi. Sarebbe quindi un errore chiamarlo zoo, ma non è neppure un museo.

Gli animali vivono all’interno di ampi recinti ricchi di vegetazione, non sempre si vedono, ci vuole pazienza. A volte all’attesa subentra la delusione. La lince proprio non si vede. Ci consoliamo pensando a come ce la siamo goduta a Stoccolma. Anche il ghiottone, animale schivo e di media taglia, non si mostra. Di lui abbiamo visto una fugace comparsa sempre a Stoccolma. Qui lo osserviamo in un diorama.

Utili sono le altane che sporgono sopra i recinti e permettono l’osservazione dall’alto senza il disturbo delle reti e la visione di un panorama impareggiabile fatto di pinete infinite nelle quali occhieggiano lucidi laghetti. Ci incantiamo ad osservare la tigre, il più grosso felino esistente. Con passo felpato compare tra gli arbusti del sottobosco. Mimetismo perfetto, cogliamo prima il movimento del fogliame di lei. Maestosa e bella  avanza con piglio signorile, si muove fiutando l’aria con le sue vibrisse e mostra fiera le sue sciabole, poi scompare nuovamente nell’intrico della vegetazione.

Grande tenerezza ci suscita un cucciolo di orso bruno. Sta sonnecchiando, si sveglia, trotterella fin dentro la casupola che funge da tana, esce e mostra il suo istinto alzandosi sulle zampe posteriori. Poi si ricorda di essere un cucciolo e di dover imparare ad usare gli artigli, allora si mette a giocare con un peluches.

Siamo talmente presi da ciò che ci circonda che non ci accorgiamo che sono già le quattordici. Un gelato diventa il nostro pranzo. Concludiamo il giro e torniamo al camper. Nel posteggio un’automobile americana sta facendo manovra attirando l’attenzione con il suo rombo. Ci attendiamo che da qualcuna di queste macchine esca Fonzie!

Il tragitto che ora dobbiamo compiere è di centoventi chilometri. Ci dirigiamo verso le Alpi scandinave, lì raggiungeremo il punto più settentrionale del nostro viaggio.

Si dice che le macchine non hanno un’anima, ma a volte sembra il contrario. Heidi appena capisce che deve portarci in montagna si esalta. Subito dopo Orsa ci fa deviare dalla strada principale e ci porta in alto fino a quota 500 metri, disegnandoci un percorso impegnativo, ma bellissimo. Percorriamo una strada tagliata nella foresta: conifere senza confini. Nessun villaggio, nessuna casa sparsa tra gli alberi, nessuna automobile. Incrociamo tre camper, il classico saluto con la mano e ciascuno si perde nello specchietto retrovisore dell’altro. Chilometri e chilometri in perfetta solitudine. Silenziosi ascoltiamo la voce della foresta: assomiglia a un cupo ululato, è generato dal vento che penetra tra le fitte conifere. La strada diventa sempre più stretta fino ad essere formata da una sola carreggiata. Che emozione, il pensiero diventa ricordo della vacanza in Scozia. Alcuni versanti montuosi sono in parte disboscati, altri sono ricoperti di giovani virgulti verde chiaro. L’economia forestale di questo paese si basa sullo sfruttamento e sulla conservazione del patrimonio boschivo. D’un tratto l’incanto svanisce. Ci immettiamo nuovamente in un’ampia strada. Il paesaggio cambia e anche il tempo. Il cielo finora grigiastro si scurisce ancora di più, iniziano a scendere le prime gocce che diventano presto una sottile e fredda pioggerellina. Lungo la strada alcune case e un grande lago artificiale ci accompagnano per un po’. Verso sera giungiamo a Särna, dove alloggiamo al camping omonimo.

 

6 agosto

Dopo tanti giorni di piccoli e grandi trasferimenti e di molteplici attività, oggi abbiamo deciso di riposare. Non siamo stanchi, ma un giorno di dolce far niente su un morbido prato in riva a un lago ce lo meritiamo, anche perché ci fermeremo qui qualche giorno. Särna è un piccolo paese sulle Alpi scandinave, nel cuore della Svezia. Sappiamo che da qualche anno si è trasferito qui Vitantonio Dell’Orto (www.exuviaphoto.it) e sua moglie Barbara che all’attività di fotografo naturalista lui e di artigianato del legno lei uniscono la gestione di un ostello. Ci rechiamo all’ostello per avere delle informazioni circa le gite che si possono fare in zona. Barbara ci accoglie con cordialità. E’ contenta di poter parlare italiano, ci dà alcune informazioni. Acquistiamo il libro fotografico di Vitantonio “La mia Svezia”. Poi gironzoliamo per il paese, che ha dietro la chiesa attualmente in funzione, una chiesetta lignea del 1700 con un bel campanile dalle pareti a scaglie. E’ chiusa. Intorno è stato ricostruito il villaggio dell’epoca.

Nel cielo scuro che scarica improvvisi scrosci d’acqua si aprono squarci d’azzurro, che lasciano passare i caldi raggi del sole. Scriviamo le ultime cartoline, poi passeggiamo sulla spiaggetta sassosa di questo lago pieno di vita. Esili canne sostengono piccole chiocciole d’acqua. Alcune piante acquatiche sono in fiore e tra i loro steli nuotano, frenetici, i girini, che non si lasciano prendere. Degli uccelli acquatici si tuffano, scompaiono nel profondo per poi riemergere poco più avanti, mentre le rondini volano rasenti sulla superficie dell’acqua e senza toccarla si saziano di insetti. E’ ormai pomeriggio inoltrato, comodamente seduti sulle nostre poltroncine leggiamo e ci crogioliamo al sole, che ha vinto la sua battaglia. Il campeggio, che questa mattina si è completamente svuotato, si va ripopolando. Un po’ di vento sospinge nuovamente dense nubi. Giunge al camper una signora del luogo. In una cesta di vimini ha delle amarene, del ribes, dei mirtilli e dell’uva spina. Comperiamo i mirtilli e l’uva spina. L’economia del villaggio si alimenta anche così. Sorride la signora e indicandoci i tetri nuvoloni ci consiglia di ritirarci. Dopo poco tempo l’acquazzone preannunciato arriva e se ne va rapidamente lasciando nel cielo un bellissimo arcobaleno.

 

7 agosto

In questo paese sperduto nelle verdi foreste e in tutta questa zona non c’è una chiesa cattolica. Oggi celebreremo il giorno del Signore leggendo le letture di questa domenica e raccogliendoci in preghiera. Sono da poco passate le dieci, stiamo riflettendo su come organizzare la giornata, quando si affaccia alla porta del camper un omone, che ci saluta nella nostra lingua. Si presenta, è Vitantonio Dell’Orto, il fotografo che ieri non abbiamo incontrato, perché occupato nel suo lavoro. Sua moglie gli ha riferito della nostra visita all’ostello ed è venuto a salutarci. Lo facciamo accomodare, beviamo insieme il caffè e intanto approfondiamo la reciproca conoscenza. Ci racconta della sua scelta di vita e del piacere della libertà, di cui gode da quando ha lasciato la popolosa e stressante Lombardia per trasferirsi tra queste immense foreste. Ci chiede perché abbiamo scelto proprio la Svezia per le nostre vacanze e condivide la nostra filosofia di viaggio, che non è un frenetico correre per migliaia di chilomentri, ma un lento movimento, per poter comprendere i luoghi e le persone.

Ci consiglia alcune escursioni e infine ci scrive una dedica sul libro. Ci avverte di non dare credito al navigatore, perché questa zona non è mappata adeguatamente, quindi seguendo indicazioni senza senso si rischierebbe di trovarsi in strade senza uscita o peggio impantanati in qualche palude. Inoltre ci esorta ad essere prudenti se ci avventuriamo a piedi nei boschi abbandonando il sentiero, perché è  facilissimo perdersi. A lui è capitato durante la sua prima escursione naturalistica e ricorda ancora con trepidazione lo spavento che ha provato. Vitantonio è così gentile che ci lascia il suo numero di telefono, rendendosi disponibile se ci dovessimo trovare in difficoltà. Facendo tesoro dei consigli ricevuti, ci rechiamo a Idre nella speranza di trovare presso l’ufficio turistico la carta dettagliata della zona, carta che qui a Särna non è disponibile. Idre, che viene descritta come il centro abitato di riferimento per la zona, in realtà è poco più ampia di Särna, in più rispetto a Särna ha una banca. Anche il suo ufficio turistico è sprovvisto della carta che cerchiamo. Per evitare complicazioni useremo l’atlante stradale che abbiamo e il nostro buon senso, che ci consiglia di non avventurarci fuori dai sentieri tracciati.

C’è il supermercato aperto, facciamo un po’ di spesa.  Il pranzo è da giorno di festa: pollo arrosto e patatine. Imbuchiamo le cartoline scritte ieri e, ripreso il camper, torniamo a Särna.

Lungo la strada approfittiamo di un’area di sosta, ci fermiamo a guardare il fiume, principale immissario del lago di Särna. In questo punto a causa della pendenza forma delle rapide. Giuseppe non si lascia sfuggire l’occasione di fermare con qualche scatto la suggestiva inquadratura. Tornati a Särna mediante un ponte passiamo il lago in una sua strozzatura. La meta è la cascata Fjätfallen. Dopo pochi chilometri percorsi sulla riva opposta, svoltiamo a destra e seguiamo una strada sterrata, che ci porta in prossimità della cascata. Un paio di chilometri tra stagni e pinete imbiancate. Davvero un’immagine insolita, ciò che da lontano sembra neve è invece lichene bianco. Noi conosciamo i licheni crostosi, quelli che ricoprono i massi erratici alpini. Questi licheni invece formano dei soffici e candidi cuscini dalla forma semisferica. La presenza dei licheni, che rende incantevole il paesaggio è anche foriera di una brutta notizia: qui non ci sono le renne. Infatti esse sono golosissime di questa simbiosi tra un fungo e un’alga, quindi non ce li avrebbero fatti trovare.

Il paesaggio sembra pennellato con la tecnica dei macchiaioli. I tronchi rossastri delle fustaie si perdono nel verde intenso delle chiome, mentre sul suolo le radici sono ricoperte  da un soffice tappeto bianco e rosa, di licheni ed erica, spruzzato di marrone e verde per i funghi e il muschio che crescono qua e là. Posteggiamo il camper vicino a due cottage e a piedi attraverso un sentiero nel bosco giungiamo alla cascata, che non è molto alta, ma ha una ragguardevole portata d’acqua. La cascata ha un fascino particolare. L’acqua scorre in una gola rocciosa dal colore rosso bruno. Quest’acqua torbata un po’ schiumosa è molto trasparente perché bagna un terreno antico, che non ha più nulla da mettere in soluzione. Quando si muove sinuosa tra i sassi sembra di colore marrone, ma quando i suoi flutti si distendono sopra le pietre levigate  diventano madreperlacei e assumono tonalità dal grigio al nero, nei salti invece sembra una colata d’oro. Delle marmitte giganti ci permettono di avvicinarci alla cascata e di vivere quel tormento quasi da dentro. Siamo soli chiusi in questa forra. Di fronte a noi le alte pareti rocciose, ricoperte in parte dai muschi, hanno la base intaccata ed erosa dall’acqua, mentre sulla loro sommità una fila di larici assiste allo spettacolo. Dietro a noi il bosco di fustaie e betulle dalla candida corteccia, segno inequivocabile della totale assenza di inquinamento e un odoroso sottobosco ricco di bacche, lamponi e di funghi, che crescono sul legno marcescente degli alberi morti o ai piedi delle conifere.

Rientrati in campeggio attraverso il prato torniamo alla chiesetta lignea e al villaggio storico. La chiesetta oggi è aperta. Entriamo e ci sediamo in preghiera. E’ bella, la pala dell’altare rappresenta l’ascensione di Gesù in cielo. Lungo le sue pareti ci sono dipinte sul legno le immagini degli apostoli. Intorno alla chiesa c’è un piccolo camposanto. Le croci spiccano sul verde prato. Ci soffermiamo a leggere le date di nascita e di morte delle persone che qui riposano in pace. Anche nei secoli scorsi in questo luogo si viveva a lungo. C’è sepolto persino un centenario 1723-1823.

Accanto alla chiesa c’è il piccolo borgo. Tra le casupole di legno una risale al 1760. E’ stata costruita da Busk Per Jonsson. E’ chiusa, ma guardando attraverso le finestre si vede il suo arredamento. E’ stata la stazione di posta dove, specialmente in inverno, sostavano le diligenze. Questa casa è stata abitata dai discendenti del costruttore fino al 1936.

Torniamo al camper e subito inizia a piovere in modo intenso. Speriamo che si sfoghi nella notte, così da avere domani un’altra giornata asciutta.

 

8 agosto

Ciò che abbiamo sperato si è avverato. Nella notte ha smesso di piovere e si è alzato il vento. Questa mattina l’aria è tersa, il cielo quasi completamente sereno annuncia una giornata di sole. Oggi ci dedichiamo esclusivamente alla natura. Con un breve spostamento ci rechiamo al parco nazionale Fulufjällets. La strada che porta a Mörkret, che percorriamo per circa trenta chilometri, rapidamente si alza sull’altopiano offrendo una visione panoramica delle Alpi scandinave.

Quando si dice Alpi, il pensiero rievoca l’immagine di picchi rocciosi e cime innevate. Qui è diverso. Le Alpi scandinave sono una catena ondulata dalle cime arrotondate. La loro origine è antica. Nell’era Paleozoica, durante l’orogenesi caledoniana si sono corrugate. Poi con il passare dei millenni sono state erose. Hanno avuto un nuovo innalzamento durante l’era Cenozoica con l’orogenesi alpino-himalayana e sono state in seguito nuovamente levigate dalle glaciazioni che hanno segnato fortemente l’emisfero boreale in quest’ultima era geologica. Le Alpi scandinave hanno quindi una modesta altitudine, intorno ai mille metri, ma data la latitudine, sono ricoperte dalla tipica vegetazione dell’alta montagna. Gli alberi non crescono sopra gli 800-900 metri. Più in alto c’è solo la tundra, che ricopre le rocce messe a nudo dall’erosione eolica e dalle acque dilavanti. Tra il plateau della catena e i pendii ricoperti dalle foreste, ripide pareti a strapiombo accumulano detriti ai loro piedi. Giunti al parco seguiamo il sentiero Njupeskär. Esso porta alla cascata più alta della Svezia. Il percorso è un anello tracciato nella foresta. Costeggia un ruscello che a tratti si perde in mille rivoli, alcuni dei quali si fermano nel terreno formando acquitrini e stagni, mentre altri scorrono saltellanti per ricongiungersi più a valle. Come avviene in ogni riserva naturale la foresta è lasciata libera di vivere i suoi cicli biologici. Ci sono alberi maestosi e alberi in crescita, piante morte che si protendono ancora verso il cielo, quasi ad implorare una nuova vita e piante a terra in decomposizione, che con il loro sacrificio nutrono insetti,  funghi e gli invisibili batteri che ridonano al suolo i preziosi minerali.

Il sottobosco è ancora più vario. Ci sono funghi in grande quantità e di tante specie, felci prosperose, muschi e licheni di vari tipi, piante ombrofile come i mirtilli e i lamponi. Il sentiero sale dolcemente, è attrezzato con delle passerelle di legno, per superare agevolmente le zone umide e paludose. Finalmente ecco la cascata. Non ha una grande portata d’acqua, ma sembra sgorgare dalla roccia del bordo del plateau. Con due brevi salti seguiti da uno di settanta metri raggiunge il fondo della gola. Scendiamo una lunga scalinata, percorriamo una passerella così  raggiungiamo la pietraia tempestata dal getto. L’aria è fredda, in questa gola dove il sole non ha ancora allungato i suoi raggi, c’è già un anticipo di autunno. Ci fermiamo a lungo sotto la cascata: ogni goccia ha la sua storia e il suo canto. La maggior parte di esse viene da molto lontano. Sospinte dai venti occidentali si sono strette le une alle altre e hanno toccato il suolo là in alto. Come in una gara corrono e saltellano tra le rocce, poi stringendosi di nuovo si lanciano nel grande salto e urlano per esorcizzare la paura del vuoto. Altre sono lassù da tempo. Tornano in cielo di giorno e a terra di notte, prese e rilasciate dagli spugnosi muschi. Lentamente si muovono verso il baratro. Le gocce più leggere si buttano nel vuoto e si nebulizzano. Si alzano, si abbassano, si rincorrono, si scontrano e si allontanano, disegnando nell’aria un’armoniosa e diamantina danza. Ci sono gocce che scivolano sibilando sulle rocce e si fermano aggrappandosi agli aguzzi spuntoni. Altre, invece, scendono fino in fondo e gorgogliando si immettono nella corrente del torrente. Giuseppe scatta fotografie da varie angolature.

Di fronte a una quantità d’acqua dolce così abbondante come c’è in questa nazione, è difficile pensare all’acqua come a un bene da difendere e conservare, eppure in tante  parti del mondo, comprese alcune regioni dell’Italia, l’acqua scarseggia e non a torto viene chiamata “oro azzurro”.

Nel primo pomeriggio visitiamo l’Älgpark. Ai confini del parco nazionale in un’estensione boschiva di 65000 metri quadrati è possibile, con una visita guidata, vedere le alci da vicino. A noi piacerebbe vedere le renne e le alci libere in natura, ma ci ha detto Vitantonio che il tempo più propizio  per incontrarle è da aprile a giugno e le ore migliori sono tra le quattro e le otto del mattino e al crepuscolo. Per questo decidiamo di vedere le alci, il più grande, robusto e forte rappresentante della famiglia dei cervidi,  allo stato semibrado.

Le alci sono degli animali stanziali, perciò se hanno un ampio spazio dove pascolare non si rendono conto che comunque è limitato. Guida la visita Lars, aiutato dai suoi due figli. Le alci che vediamo sono una famiglia: c’è il maschio di sette anni e tre femmine con i rispettivi piccoli. Inizialmente gli animali sono un po’ diffidenti, perché di indole scontrosa, ma Lars sa come attirarli allo steccato. Li prende per la gola, offrendo loro una ghiottoneria: foglie di betulla. Si avvicinano due femmine seguite dai loro piccoli. Lars dice di non chinarsi e di non fare movimenti rapidi, né di accarezzare i piccoli, se non su suo invito, perché le alci curano i loro piccoli in modo amorevole e tenero, ma sono gelose, quindi si dimostrano ostili e rudi verso chi li accosta. I piccoli sono più curiosi che affamati. Alzano la testa, allungano il collo fuori dalla staccionata. Così, mentre le loro madri con il robusto labbro superiore staccano le gustose foglie dai rami, Lars ci invita ad accarezzare il morbido muso delle piccole alci. Poi ci fa superare uno steccato e avanzando ci avviciniamo al maschio, che ha accanto una femmina. Lo chiama ripetutamente, finalmente gira la sua grande testa. La larga fronte, leggermente infossata nella parte centrale, sorregge un enorme palco, formato da un tronco da cui si dipartono due rami, con un rilevante numero di digitazioni, segno della maturità dell’animale. Muove in tutte le direzioni le orecchie appuntite, per sopperire a una vista e a un olfatto non eccezionali. Fa qualche passo verso di noi in modo lento e solenne. Il suo corpo saldo e massiccio è sorretto da potenti e lunghi arti. Poi si gira ed entra nel folto del bosco. Ritorniamo sui nostri passi. Un piccolo muggisce piano, si abbassa e passa sotto la staccionata. Cogliamo la particolarità dei suoi zoccoli: sono disgiunti, adatti  a camminare sui terreni impervi e  sulla neve.

Più tardi sulla strada principale raggiungiamo Idre e da lì proseguiamo per Foskros. Vitantonio ci ha detto che su questa strada è possibile incontrare le alci. Pensiamo anche di fermarci a dormire in uno dei lägerplats, che si trovano lungo la strada. In Svezia il campeggio  libero è permesso. I lägerplats sono delle aree attrezzate non custodite, che offrono un braciere, della legna già tagliata, una casupola di legno chiusa su tre lati con dentro un tavolo e una panca, un servizio igienico e i bidoni per la raccolta dei rifiuti. Nei lägerplats si possono fermare indistintamente tende, camper e caravan. Bisogna pagare sessanta corone, l’equivalente di sette euro, che vanno depositate in una cassettina posta all’ingresso dell’area. Qui si prende atto dell’onestà e del  senso civico di questa nazione.

Percorriamo tutta la strada che costeggia il fiume Storån dalla vivace corrente. Di alci neppure l’ombra. Ci dichiariamo soddisfatti degli animali che abbiamo visto finora. La strada ha tre lägerplats. Due sono proprio sul fiume. La prima area è già occupata da qualche equipaggio e non ha spazio per il nostro mezzo, andiamo nell’altra nella speranza di poter posteggiare proprio lungo la sponda del fiume. Mentre ci addentriamo nel bosco dove è stata ritagliata l’area, tra il fogliame qualcosa si muove. Fermiamo il camper. Esce trotterellando una renna dal pellame bianco con una zampa scura. Giuseppe, macchina fotografica sempre pronta, scende repentinamente e seguendola inizia a fotografarla. Paola lo segue. L’animale è un giovane maschio. Si ferma, bruca l’erba, ogni tanto gira la testa e ci guarda. Ci avviciniamo, forse un po’ troppo. Allora dà segni di nervosismo. Lo lasciamo pascolare e torniamo al camper. Posteggiamo proprio come avevamo sperato. La nostra giornata si chiude con un gustoso barbecue.

 

 

9 agosto

Cielo madreperlaceo e aria ferma non sono un bel buon giorno, tuttavia non ci lasciamo scoraggiare. Per oggi abbiamo programmato la gita alla riserva naturale Städjan-Nipfjället.

Col camper torniamo a Idre e poi raggiungiamo in quota Nipfjället. La strada si snoda in una zona di foresta di conifere, che appena fuori Idre sta subendo un attacco da parte della speculazione edilizia. Grosse ruspe sono al lavoro, quasi tutti gli alberi sono stati abbattuti, i massi erratici che fanno da supporto ai licheni e ai muschi sono stati rimossi, si stanno tagliando le strade sulle quali si affacceranno le nuove abitazioni. Più avanti ritroviamo l’ormai consueto paesaggio. Arrivati in quota lo sguardo può spaziare perché la vegetazione è solo erbacea, ma oggi si vede poco, perché le nuvole basse tolgono la visuale. Inizia a piovere, l’acqua scende fitta, sottile e battente, spinta dal vento, che spira con veemenza. Un grande parcheggio accoglie i gitanti. Mettiamo gli scarponcini, ci equipaggiamo contro la pioggia e ci incamminiamo verso la vetta del Nipfjället. Venti minuti di salita. Nell’ultimo tratto il sentiero è tagliato tra le rocce seraccate rese viscide dalla pioggia. Siamo in vetta. Non c’è molto da vedere dato il tempo, ma respirare l’aria di montagna ci piace. Siamo quasi a 1200 metri di altitudine, il clima però è quello che c’è sulle nostre Alpi intorno ai 2500 metri. Fa freddo, torniamo al camper. Decidiamo di rimanere qui fino alle prime ore del pomeriggio nella speranza che smetta di piovere e che si alzino un po’ le nubi. Nel frattempo Paola prepara una carbonara, sarà il nostro pranzo. Appena buttato gli spaghetti, Giuseppe scorge in lontananza qualcosa in movimento. Con  il binocolo vede delle renne che brucano sul dosso che sta di fronte. Prende la macchina fotografica si incammina lesto nella loro direzione. Paola invece rimane a curare la cottura della pasta, ma col binocolo segue l’azione. In prossimità del gruppo di renne Giuseppe inizia a scattare fotografie. Ora avanza lentamente per non disturbare gli animali. Alcuni sono indifferenti alla sua presenza e continuano a brucare la saporita tundra, altri ogni tanto lo fissano con i loro occhi espressivi per poi continuare a nutrirsi per accrescere la propria forza accumulando una riserva di energia sotto forma di grasso. Il pannicolo adiposo sottocutaneo li proteggerà dal freddo e dalla fame durante il lungo e rigido inverno. Poi si riuniscono. Si mettono in fila indiana,  trotterellando procedono nel pascolo e si allontanano. Allora Giuseppe, zuppo di pioggia, torna velocemente al camper, perché l’appetitoso pranzo sta per essere servito. Ben rifocillati usciamo nuovamente. Le nubi si sono un po’ diradate e chi troviamo posteggiato accanto a noi? Il camper di una famigliola belga, che avevamo incontrato giorni fa al Björnpark. Ci riconosciamo a vicenda e ci scambiamo un cenno di saluto. La bimba bionda e paffutella, che avevamo fotografato mentre giocava davanti alla postazione dell’orso polare ci sorride e anche lei ci saluta con la manina.

Ora dall’alto si vede la vallata boscosa nella quale spiccano chiari i piccoli laghi. Di fronte si staglia il profilo conico del monte Städjan, che lo fa assomigliare a un vulcano. Con la sua altezza domina la regione settentrionale del Dalarna.

Ripreso il camper iniziamo il nostro, per ora lento, viaggio di ritorno. Un simpatico arrivederci ce lo dà un fulvo scoiattolo che attraversa la strada davanti a noi. Si sofferma un attimo e poi scompare nel sottobosco alla ricerca della pianta su cui arrampicarsi.

Ripercorriamo la strada che ci conduce a Mora, dove ci fermiamo al camping omonimo.

 

10 agosto

Se si vuole definire la Svezia con tre parole, noi sceglieremmo queste: foreste, acqua, barche.

Oggi con uno spostamento verso sud di trecento chilometri ritorniamo al Göta Kanal, ma all’estremo opposto rispetto alla nostra precedente fermata. Prima di lasciare Mora visitiamo il suo centro, in particolare la chiesa, che ha una storia lunga e interessante. Sorta nel XIII secolo, due secoli dopo è stata demolita e ricostruita. Nella notte tra il 3 e il 4 maggio del 1671 un fortissimo temporale scaricò un fulmine sulla chiesa, bruciandone completamente il campanile, mentre la volta resistette. Il re Carl XI finanziò la ricostruzione del campanile. La chiesa ritornò attiva due anni dopo. Nel XVIII secolo fu ingrandita e decorata con fregi barocchi. La pala dell’altare rappresenta Cristo in croce con ai piedi sua Madre, Maria Maddalena e san Giovanni, bellissima icona di Chiesa. Ci incuriosisce comprendere che tipo di protestantesimo si professa qui in Svezia. Infatti nelle chiese è presente l’altare rivestito dei paramenti, manca il tabernacolo, ma viene celebrata la messa, inoltre si trovano anche le immagini sacre di Cristo, della Vergine e dei santi. Ci documenteremo. La Chiesa di Svezia esiste fin dal nono secolo, quando il paese era ancora diviso in staterelli e ha giocato un ruolo importante nella creazione del regno. Intorno all’anno mille fu battezzato il primo re. Nel 1530 la Chiesa di Svezia abbracciò il luteranesimo, che fu riconosciuto nel Concilio di Uppsala nel 1593. Attualmente la Chiesa di Svezia è una comunità religiosa separata e indipendente dallo stato. “Il credo, la professione e la dottrina della Chiesa di Svezia prendono forma nella messa e nella vita, sono fondati sulla sacra parola di Dio, come è stata trasmessa nelle sacre scritture”, così è scritto nel suo Ordinamento.

Il viaggio che ci porta a Töreboda lo si può dividere in tre parti paesaggistiche. La prima è ancora tipicamente forestale, la seconda attraversa una zona rocciosa con molti specchi d’acqua. All’ora di pranzo ci fermiamo in un’area di sosta in riva a un laghetto. L’ultimo tratto lo percorriamo in una zona agro-pastorale attraversata da canali navigabili.

Abbiamo detto che l’acqua è una delle caratteristiche di questo paese, ebbene oggi siamo circondati da questo elemento: laghi, stagni, fiumi, ruscelli, canali, ma soprattutto pioggia. Grossi goccioloni ci vengono incontro con forza. Per tutto il tragitto piove a dirotto, dir-otto? A dir-nove, dir-dieci, avrebbe detto il nonno Luigi!

Arrivati al camping l’impiegata della reception è sorpresa di registrare degli italiani. Ci dice che tra un mese lei verrà in vacanza in Italia e visiterà Firenze. Inoltre ci dà una speranza: le previsioni meteo dicono che domani il tempo migliorerà.

Posteggiamo il camper vicino alla staccionata che lo separa dalla ciclabile che corre lungo il Göta Kanal. Un vichingo dal pelo rossiccio un po’ ingrigito avvicina Giuseppe e inizia a porgli delle domande. Giuseppe gli fa capire di non comprendere, allora il colloquio cambia registro linguistico. Si parlano in inglese. Lo svedese ha una caravan ed è interessato al camper. Vuole avere informazioni relative al funzionamento e all’affidabilità del motore Ford, quello che abbiamo sul nostro mezzo. Ricevute le informazioni ci augura una buona continuazione della vacanza e si accomiata.

E’ ormai sera, i ponti levatoi che consentono il transito delle barche sono fermi fino a domani mattina. Poco spostati rispetto a noi sono ormeggiate nel canale due barche a vela, una batte bandiera tedesca e una bandiera olandese. Hanno fatto una lunga navigazione per giungere fin qui!

 

11 agosto

Drr…drr…pitpit, drr…drr…pitpit. Il nostro nuovo giorno inizia alle 2.30 del mattino, con l’arrivo di un SMS di Simone. Si sa, dall’altra parte del  mondo è già passata mezza giornata e se poi si è in un luogo dove la rete è quasi assente, non ci si pone il problema del fuso orario. Buone notizie. Ci riaddormentiamo sereni e ci alziamo ancora più felici, perché oggi il sole brilla nel cielo finalmente ritornato azzurro. Possiamo fare la gita in bicicletta, che avevamo programmato. L’aria è piuttosto fresca. Noi per ora ci copriamo, mentre gli indomiti nordici girano per il campeggio in calzoni corti e maglietta di cotone. La gita è lungo il Göta Kanal da Töreboda a Sjötorp, dove il canale sfocia nel lago Vänern, uno dei due grandi laghi svedesi. Il Göta Kanal una volta era un’importante via commerciale, che collegava Göteborg con Stoccolma, cioè il mare del Nord con il mar Baltico. Lungo le sue alzaie gli animali trainavano le chiatte. Ora le alzaie sono diventate una pista ciclo pedonale, che ha portato uno sviluppo turistico. La bella giornata ha messo in moto molti ciclisti. Incontriamo famiglie, coppie anziane, cicloturisti. Ognuno gode il canale a modo suo. C’è chi percorre pochi chilometri e poi si ferma per il picnic, chi pedala per tratti più lunghi, noi faremo circa quarantacinque chilometri e chi sta facendo un vero tour. Dopo pochi chilometri fermi ad una chiusa troviamo le barche olandese e tedesca che ieri sera erano ormeggiate di fronte a noi. C’è anche una barca svedese con il cagnolino marinaio. Il barboncino bianco, equipaggiato di giubbotto salvagente arancione, sta a prua alzato sulle zampe posteriori a controllare la manovra.

Ci fermiamo. E’sempre affascinante osservare il principio idraulico che permette di superare i dislivelli. Le barche stanno navigando nella nostra stessa direzione, si sta scendendo verso il lago. Il canale è attraversato da strade e anche da una linea ferroviaria. Tutte le strade, compresa quella ferrata, sono interrotte da ponti levatoi. Sarebbe bello vedere il treno fermarsi per lasciare passare le barche, ma evidentemente questa non è la sua ora. Andiamo avanti. Intorno a noi il paesaggio è agrario. Verdi prati, campi di avena matura, pascoli con le caratteristiche pecore nere giungono fino alla ciclabile, mentre le rosse fattorie incorniciate di bianco stanno ai margini della foresta, che chiude l’orizzonte. Qualche casa però si affaccia alla ciclabile. Una ha la parete esterna piena di nidi. Anche questo è un modo per proteggere la natura. I germani reali, che si appartano sulle rive al passaggio delle barche, riprendono il largo appena il canale è libero. Superiamo altre chiuse, l’ultima fa sfociare il canale nel lago. Il vento forte agita la sua acqua generando ondine dalla cresta bianca, che lo fanno assomigliare a un mare. Pranziamo con una cioccolata calda e un dolcetto, circondati da golosi passerotti che attendono pazientemente la nostra generosità. Le briciole sono per loro. Mentre torniamo verso Töreboda incontriamo nuovamente molti dei ciclisti incrociati questa mattina. Un cenno di saluto e via, ognuno per la sua strada, loro veloci perché agevolati dalle discese delle chiuse, noi in quei tratti un po’ rallentati. Ecco navigare verso di noi un grosso battello turistico. Visto da lontano la sua larghezza non lascia immaginare che possa passare attraverso il ponte levatoio. Ci fermiamo a guardare, lascia un metro per parte.

Ceniamo illuminati dal sole, che ogni giorno anticipa il suo tramonto, ma non per questo rinuncia al suo spettacolo. Mentre l’orizzonte occidentale si tinge di giallo e arancione e le nubi di rosso e violetto, nell’acqua liscia del canale in fiamme, neri si specchiano gli alberi.

 

12 agosto

Il cielo azzurro e il sole ci invitano a rimanere, ma la vacanza volge al termine e i giorni per il rientro sono programmati per non essere troppo pesanti.  Lasciamo Töreboda con un po’ di rammarico e ci indirizziamo verso ovest, direzione mare del Nord. Inizialmente la strada segue il lago Vänern anche se non è costiera. La regione è pianeggiante, agricola, il paesaggio ricorda la campagna danese. Il giallo è il colore dominante. In un prato dove pascolano delle mucche, due saltellanti caprioli si rincorrono e i placidi bovini li guardano con sguardo perplesso.

In prossimità della città di Lidköping finalmente si costeggia il lago. Parcheggiamo per dare un’ultima occhiata a questo enorme specchio d’acqua. Cosa penserà dei nostri grandi laghi lo svedese che ieri sera ha conversato con Giuseppe? Egli ha chiesto informazioni sul nord e centro Italia, perché, beato lui che è in pensione, tra una settimana verrà nel nostro bel paese insieme a sua moglie e vi si fermerà per tre mesi.

Il sole caldo e la voglia di vivere prima del lungo, freddo e buio inverno elettrizza questo popolo. Ecco che in riva al lago si improvvisa una danza popolare, che si ripete in continuazione al suono di un ritornello.

Riprendiamo il viaggio, ora il traffico è più sostenuto, soprattutto circolano numerosi camion. La zona è prevalentemente industriale. Transitando sull’alto ponte del canale che collega il lago Vänern con il mare del Nord, vediamo i grandi stabilimenti della Saab e della Volvo Aero. Superata la città di Uddevalla il paesaggio cambia ancora. La pianura lascia il posto ai rilievi. Siamo ormai vicini alla costa. E’ alta, frastagliata, orlata da un’infinità di isolette. Qui le glaciazioni hanno lasciato un rinomato segno: i fiordi. Se questi sono già incantevoli pur non essendo molto alti e profondi, cerchiamo di immaginare quanto siano spettacolari quelli della Norvegia, …ma questa è un’altra storia, che racconteremo in una delle prossime estati!

Nel primo pomeriggio ci fermiamo a Grebbestad. E’ un paese turistico, che però mantiene anche la sua vocazione peschereccia. Sorge sul fondo di un fiordo, che fa  da porto naturale. Ospita lussuosi natanti, alcuni in vendita, eleganti barche a vela e numerosi pescherecci, che navigando in mare aperto odorano di salsedine e di pesce. Passeggiamo sul lungomare e ci imbattiamo in un troll, che ha sulla testa un corvo irriverente. Il corvo è l’uccello che insieme ai gabbiani ci sembra essere il più diffuso in questo paese. Dopo aver fatto un po’ di spesa ci attiviamo per cercare il campeggio. Ce ne sono parecchi lungo la costa, quindi non ne abbiamo in mente uno in particolare. Ci rimettiamo in moto. Dopo pochi chilometri troviamo un’indicazione. Lasciamo la strada principale, che è alta sul mare e seguiamo la stradicciola tortuosa, che si diparte alla nostra destra. Giungiamo in fondo a un piccolo fiordo, che ospita il camping Långesjo. Posteggiamo in riva al mare, che qui è fermo e un po’ stagnante e ci godiamo il sole caldo, che ravviva la nostra abbronzatura. Poi con una passeggiatina raggiungiamo la punta del fiordo. Bel panorama, casette rosse abbarbicate sulla roccia, barche ormeggiate e là in fondo il nostro camper!

 

13 agosto

Ieri sera la luna piena, bianca e luminosa donava un’atmosfera romantica a questo golfo e ha vegliato sul nostro sonno. Questa mattina con le biciclette ci rechiamo a Fjällbacka, il paese successivo andando verso sud. Cinque chilometri di salita per superare i promontori e di discesa per giungere sul fondo dei fiordi. Fjällbacka è un villaggio di variopinte case di legno, aggrappate al granito rosa, ricoperto di erica e macchiato col verde di alcuni pini e di esili betulle che non si sa come sono riusciti ad allungare le loro radici nelle strette fenditure della roccia. Fjällbacka è un posto da “sciuri” si direbbe a Milano, basta vedere le automobili posteggiate, ma non si respira aria da snob. Passeggiamo lungo il fiordo, alla nostra sinistra case antiche del 1800 e case moderne costruite  con analoga fattezza, alla nostra destra la linea di costa, dalla quale si allungano i pontili di legno, che danno attracco a un gran numero di barche. Il fiordo presenta diverse articolazioni e accoglie al suo interno delle isolette.

C’è vita nel fiordo: c’è chi si prepara ad uscire, chi sta già navigando e ha quasi raggiunto lo sbocco in mare aperto, chi sta rientrando. C’è pure un biondo ragazzino che dal pontile con una nassa ha appena pescato un grosso granchio e sta chiamando a gran voce il suo papà, per mostrarglielo.

Dopo aver visto il paese dal basso, lo andiamo a guardare dall’alto. Su Fjällbacka incombe un possente plateau roccioso. E’ possibile salire in alto seguendo il sentiero in parte tagliato nella roccia e in parte costruito con ripide scale di legno inchiodate alla parete. Un passaggio è particolarmente suggestivo e inquietante. Il sentiero passa attraverso la stretta gola Kungsklyftan (Gola del re). Essa è chiusa in alto da tre enormi macigni che, staccatisi dal plateau sono precipitati e sono rimasti incastrati tra le due pareti rocciose. Arrivati in cima il respiro si ferma in gola, non tanto per i duecentotrentadue scalini di legno e tutti gli altri in pietra, ma soprattutto per il panorama che si vede. Lo sguardo riesce ad andare oltre ai margini del fiordo e coglie il cesello della costa tutta ornata da isolotti e scogli. E’ un trionfo di colore e di luce.

Torniamo al campeggio e pranziamo. Giuseppe si soddisfa con del salmone affumicato, che qui costa decisamente meno rispetto a Milano. Il pomeriggio è di completo relax, per essere riposati per il grande rientro che inizia domani. La temperatura dell’aria è fresca, poco più di 20°C, ma il sole è cocente. Anche oggi ci abbronziamo, siamo al mare e questo è quasi un obbligo! Poi facciamo un giretto qui attorno. Ancora barche. Il fiordo che ci ospita è meno spettacolare di quello di Fjällbacka,  ma altrettanto bello. Ancora sole, questa volta in compagnia di un nutrito gruppo di passeri, che si acquattano vicino a noi, scavano il terreno e becchettano festosi. Sono le 17.00. Per tutti è l’ora della cena, ma non per noi, che continuiamo il riposo leggendo. Più tardi, mentre sul nostro barbecue si abbrustoliscono i peperoni e i wurstel, ma le salamelle sono un’altra cosa e questi nordici non sanno cosa si perdono, arriva rombando un’automobile americana bianca e rossa.

 

14 agosto

Arrivederci Svezia! Le tue regioni con le loro peculiarità ci sono tutte piaciute. Portiamo a casa il ricordo di una vacanza spettacolare e la promessa di un nostro ritorno per conoscere la regione dei Sami.