SVEZIA Tour 2011
“ Per sentirsi un po’ di spazio intorno,
un po’ di quiete, non è necessario andare nell’Antartide
o nell’Amazzonia, perché il vero spazio costruttivo è
quello della mente. E’ lì che bisogna crearselo! Il bello dell’avventura è sognarla,
dare aria all’immaginazione,
poi si potrà anche tentare di dare
materia ai sogni.”
(Walter Bonatti) 9 luglio Questa sera, dopo aver festeggiato da pochi giorni il
primo compleanno del nostro nipotino, iniziamo a “dare materia” a un
sogno cullato per due anni. 20 luglio Accompagnati da Heidi, il nostro nuovo navigatore, chiamato così perché ha cominciato a parlare in territorio elvetico con la sua voce dolce, anche se un po’ metallica, attraverso il passo del San Bernardino valichiamo le Alpi e proseguiamo in direzione nord fino a Göttigen. La pioggia battente e incessante fa sembrare la
giornata novembrina. Noi però crediamo ciecamente al SMS di Roberto:
“inizio di vacanza bagnata, vacanza fortunata” e, nonostante il meteo,
godiamo della vista delle numerose selve germaniche, immaginando quelle
scandinave che vivremo da dentro. 21 luglio L’area camper di Göttigen è proprio accogliente. Molto
silenziosa ci ha permesso di recuperare con un sonno profondo la fatica
del lungo trasferimento di ieri.
Il traffico ordinato e scorrevole ci consente di
rispettare la nostra tabella di marcia, nonostante i molteplici lavori
stradali. La notte ci raggiunge dal mare e ci avvolge con la sua
oscurità facendo brillare in lontananza le luci costiere di altre isole.
Il vento è fortissimo. Il nostro guscio viaggiante assorbe le tremende
raffiche e le trasforma in un dolce dondolio che ci culla verso il sonno
ritmato anche dal fragore del mare e dal ticchettio della pioggia, che
fondono le loro note in una nenia infantile. 22 luglio Ripresa l’autostrada la seguiamo ininterrottamente
fino a Copenhagen, dove entriamo nel tunnel che poi sbocca sul ponte
dell’Őresund, che conduce a Malmö. Percorriamo il ponte avvolti nella nebbia, che lascia
appena intravedere i piloni e i cavi che lo sorreggono. Poi la nebbia si
dirada, il cielo è ancora chiuso nel suo grigiore ma, non si sa come,
lascia filtrare alcuni raggi che asciugano il suolo rendendo l’aria
satura di umidità.
Malmö è una città in crescita e in forte
cambiamento. E’ una città dal passato industriale, che sta diventando
sempre più un centro di commerci, di servizi, di comunicazioni.
Interessante dal punto di vista architettonico è il suo quartiere nord
occidentale, che ha subito una riqualificazione da zona portuale a zona
residenziale. Si presenta come un grande giardino dove non circolano le
automobili. Le case hanno la forma di un parallelepipedo. La loro
lineare e sobria architettura è alleggerita da profondi balconi
trasformati in salotti e mossa dai giochi di colore delle persiane e
delle facciate. Il quartiere è dominato dal bizzarro grattacielo
Turning Torso.
Esso è un prisma a base quadrata, formato da cubi sovrapposti, alto
Il centro cittadino conserva ancora antichi palazzi
costruiti con mattoncini rossi, ma nel complesso non ci è apparso
significativo, perché è in gran parte occupato da grandi magazzini e dai
marchi della moda. La chiesa gotica di Sankt Petri, che conserva al suo
interno affreschi medioevali, è chiusa per restauro. Il nostro giro si
conclude nel curato giardino del castello, il cui edificio non ha nulla
del maniero. La giornata termina seguendo la costa del mar Baltico
fino a Ystad. E’ una zona balneare. Nel tardo pomeriggio si riempie di
turisti per il week end. Attraversiamo piccoli paesi le cui casette,
assetate di sole, hanno ampi finestroni che lasciano intravedere
accoglienti salotti affacciati su fioriti giardini.
Sostiamo in un’area camper improvvisata, ma piena
di veicoli. Essa è più propriamente un’area picnic
adiacente
a una sottile striscia sabbiosa lambita dalle cupe acque di questo mare
dolce. 23 luglio La notte è trascorsa tranquilla, bagnata da un paio di
scrosci di pioggia tanto improvvisi quanto brevi. Ci alziamo, ma dov’è
il mare? Si ode lo sciabordio delle sue placide onde, ma si cela allo
sguardo coprendosi con uno strato di umida nebbia. In mattinata visitiamo Ystad, una graziosa cittadina
che conserva ancora degli scorci pittoreschi nelle sue stradine
acciottolate su cui si affacciano le case a graticcio.
Molto bella è la chiesa di Sankta Maria. Entriamo e
un’atmosfera di preghiera ci avvolge. Un cantore sta provando dei salmi
accompagnato dal suono melodioso di un pianoforte a coda. La chiesa, ora
protestante, rivela il suo passato cattolico con i suoi altari decorati.
I quadri che contornano il soppalco del coro raffigurano la storia di
Gesù dall’Annunciazione all’Ascensione in cielo. Sono quasi le dieci, la città si sta animando. Il
mercatino delle pulci è già in piena attività. I negozi aprono e Paola
si sofferma a curiosare una vetrina di giocattoli. Che nostalgia del
piccolo Niccolò! Si consolerà questa sera guardando le sue fotografie. La nebbia si dirada, il cielo ancora rabbuiato fa
intravedere qualche sprazzo di tenue azzurro.
Ci mettiamo in viaggio verso Karlskrona. Il
percorso che seguiamo è un po’ interno rispetto alla costa.
Attraversiamo una zona boschiva in parte sfruttata dall’allevamento. I
cartelli stradali avvertono che si possono incontrare cinghiali,
caprioli e alci e… non mentono! Infatti ai margini di un bosco vediamo
un esile capriolo muoversi con agile eleganza. E’ sorprendente, a pochi
metri di altitudine e a pochi chilometri dal mare
siamo
immersi in un tipico paesaggio alpino! Rocce affioranti, pascoli di
fitta e ispida erba, abeti, larici odorosi, fioriture sgargianti, questa
è la natura che ci circonda.
Karlskrona è una città sorta su un arcipelago
formato da tantissime isole collegate tra loro da ponti. Sostiamo al
Dragö
Camping, che dista tre chilometri dal
centro della città ed è collegato con essa da una pista ciclabile, che
sfruttiamo subito. Il nostro giro non ha nessuna meta particolare, è
giusto una ricognizione, uno sguardo iniziale, un pretesto per
sgranchirsi le gambe, dopo ore e ore trascorse in viaggio.
Dopo cena percorriamo il sentiero che segue il
contorno dell’isola che ospita il camping. All’inizio del bosco, appesi
a un albero penzolano tantissimi ciucciotti. Perché?
Entriamo nel bosco e ci ritroviamo nel mondo
delle fiabe. Siamo circondati da troll, i piccoli gnomi dal naso grosso
e dagli occhi vivaci che la mitologia scandinava descrive come
personaggi rozzi, irsuti e un po’ dispettosi. Essi fanno capolino dalle
rocce affioranti o sbucano da dietro i tronchi degli alberi, si
intravedono appena, perché non sopportano la luce.
Allora
troviamo risposta al nostro interrogativo. Narra la leggenda che i troll
rubino i ciucciotti ai bambini, quindi le famigliole con bimbi piccoli
prima di
entrare nel bosco appendono il ciucciotto all’albero e lì
rimane. Camminiamo in silenzio. Catturati dalla magia della
fiaba avvertiamo con ritardo che il vento è diventato impetuoso, il mare
mugugna forte, le fronde stormiscono come spaventate, il profumo del
bosco è diventato più intenso. La pioggia sottile e delicata incomincia
a bagnarci. Rientriamo. 24 luglio
Sprazzi di sole e vento forte invitano a guardare
con ottimismo a questo nuovo giorno. E’ domenica, è il giorno del
Signore. Col camper ci rechiamo sull’isola dove c’è la chiesa cattolica.
La messa è alle ore 11, ci avviamo per tempo. Posteggiamo il camper nel
primo ampio spazio che troviamo. Scendiamo, ma la chiesa non si vede. Ci
incamminiamo lungo la via che si apre davanti a noi, sperando di trovare
qualcuno a cui chiedere informazioni. Fa al caso nostro un’anziana
signora, che esce di casa. Ci rivolgiamo a lei in inglese. In un primo
momento la signora non comprende la nostra richiesta. E’ dispiaciuta,
dice che l’inglese lo ha studiato a scuola tanto tempo fa. Le crediamo,
avrà circa ottant’anni! Però non
si perde d’animo, ci fa ripetere la domanda
e sforzandosi ci capisce. Ci accompagna lei stessa alla chiesa, che è
una piccola cappella dentro alla casa che funge da canonica. E’ appena terminata la messa in polacco. Il sacerdote
ancora vestito con i sacri paramenti è sulla strada a salutare i suoi
fedeli. Spostiamo il camper e gli chiediamo se lo possiamo posteggiare
lì di fianco. Vedendo dalla targa che siamo italiani, ci risponde in
spagnolo e poi ci presenta via via ai fedeli che stanno giungendo per la
messa in svedese. Una signora ci chiede se parliamo francese. Alla
risposta affermativa di Giuseppe, si illumina, ci dice che lei, di
origine francese, è trent’anni che non parla la sua lingua. Puntuale inizia la messa. I fedeli sono proprio pochi,
ma si vive davvero la cattolicità della chiesa. La messa è celebrata da
un sacerdote africano, la chierichetta è cinese, tra i fedeli i genitori
della chierichetta, che stanno aspettando un altro bambino, una coppia
africana, alcuni svedesi e noi. In tutto circa venti persone. Nel pomeriggio con le biciclette ci rechiamo
sull’isola di Trossö, che è la più grande e la più antica della città.
Il vento ancora forte ci è contro, ma ci consola pensare che al rientro
lo avremo a favore. Passando per il faro andiamo al porto e visitiamo il
museo della marina. Karlskrona è la più importante base navale svedese.
Il museo è suddiviso in tre ambienti: al suo interno si possono vedere
ricostruiti in diorami la vita sulle navi del 1800, inoltre c’è una
bella sala con numerose polene, le statue che venivano poste sulle prue
delle navi. Vengono anche proiettati dei video, incomprensibili, data la
lingua. Di uno però abbiamo capito un dato tragico: ogni anno vengono
gettati in mare 6,4 milioni di tonnellate di rifiuti. Lo studio è stato
eseguito da un centro di ricerca scientifica statunitense nel 1997. Attraccate al molo si possono visitare due navi da
guerra. La prima è una draga mine. Di essa si può vedere tutto: la sala
macchine, le cucine, gli alloggi della truppa, dei sottoufficiali, del
comandante, i ponti con i vari uffici. L’altra è il cacciatorpediniere,
che nell’ottobre del 1981 intercettò il sottomarino sovietico U 137 che,
sconfinando, era entrato nelle acque nazionali svedesi. Il terzo ambiente è un capannone, che conserva antiche barche a remi e vari cimeli marinari. Riprese le biciclette concludiamo il giro della città
che ha bei palazzi di stile neoclassico e torniamo al camping. Questa volta il vento non ci tradisce e gioca a nostro
favore aiutandoci nella pedalata. 25 luglio Cielo azzurro, sole caldo, vento moderato: anche in
Svezia è estate!
Velocemente ci prepariamo, lasciamo Karlskrona e ci
dirigiamo verso l’isola di Őland, che dista poco meno di Attraversiamo dapprima una zona agricola con
sterminati campi di patate in fiore e messi pronte per la mietitura,
schiacciate a terra dal vento e dagli impietosi scrosci di pioggia dei
giorni scorsi e poi una zona boschiva di abetaie e betulleti. Mentre le ombre si allungano e il sole declina dorando
le chiome degli alberi, dal mare giungono in formazione le anatre che,
mute, si dirigono verso gli stagni, che daranno loro rifugio e
protezione nella notte. Le rondini invece intrecciano ancora dei garruli
voli e i bimbi sul prato esauriscono le loro ultime energie
rincorrendosi a vicenda. 26 luglio
C’è il sole ad augurarci il buon giorno.
Rapidamente ci alziamo e ci prepariamo per partire. Ci trasferiamo nella
zona settentrionale dell’isola, seguendo la strada che si snoda lungo la
sua parte occidentale, che scorre più all’interno rispetto a quella
percorsa ieri. Il paesaggio è agro-pastorale. Attraversiamo piccoli
villaggi di basse case di legno colorato. Curioso è il sistema del
recapito della posta: all’inizio del paese, accanto alla buca delle
lettere ci sono le caselle delle famiglie, che qui abitano, ogni casella
ha la sua foggia e
il suo colore, oltre al cognome ovviamente!
Quest’isola formatasi a causa dell’innalzamento del
fondale marino è emersa in tempi diversi. La parte meridionale è la più
antica. Era già emersa e abitata all’età della pietra, ma i primi
insediamenti stabili risalgono all’età del ferro. A testimoniare questo
fatto
ci sono, sparsi sul territorio delle necropoli
caratterizzate da stele in pietra grezza. Stele analoghe, ma di più
curata fattezza si ergono nei cimiteri, che circondano le chiese. Siamo completamente padroni della strada, viaggiamo
lentamente gustando lo straordinario paesaggio costellato dai tanti
mulini.
Poco dopo la deviazione che porta al ponte, che
collega con la terra ferma, il paesaggio cambia completamente e
purtroppo anche un po’ il tempo. Il cielo si rabbuia. Pinete e flora
lussureggiante ora ricoprono il territorio, che da qui è anche più
densamente popolato. Facciamo una breve deviazione e ci rechiamo a
Sandvik, un porticciolo turistico sulla costa orientale. Qui guardando
dal molo il placido Baltico pranziamo, poi visitiamo il più grande
mulino dell’isola, mentre il tempo si rimette al bello. Rispetto a
quelli sparsi sul territorio, questo
mulino è in muratura. Esso è stato costruito
nel
Ripreso il mezzo ci fermiamo nel porticciolo di
Böda che funge anche da area camper. E’ un porto turistico e
peschereccio. Nel piccolo
Fiskaffär Giuseppe
compera un’aringa affumicata, sarà il suo pranzo di domani. Il camper è di fronte al mare popolato da uccelli
acquatici, che trovano punti di appoggio sui massi affioranti e da lì si
preparano per un nuovo tuffo. E’ sera, i pescatori caricano le reti sulle loro
barche e prendono il largo, mentre gli ultimi raggi del sole ravvivano
il colore delle casette del molo e delle barche a vela rientrate per la
notte. 27 luglio
Oggi breve spostamento trasversale da Böda a
Byxelkrok, che sta sulla costa occidentale. Anche questo paese ha il
porticciolo e come consuetudine c’è anche l’area camper, però per
usufruire del servizio lavanderia ci fermiamo al
camping
Neptuni. Nell’attesa di poter stendere
il bucato riposiamo e prendiamo il sole, perché contrariamente a quanto
si pensa, anche qui al nord ci sono giornate completamente serene e
nelle ore centrali il sole è veramente caldo e ci si abbronza.
All’improvviso, anticipato dal suo ronzio, si staglia nel cielo un
piccolo aereo da turismo. Pensiamo subito al nostro amico Roberto,
novello aviatore. Giuseppe gli invia un SMS invitandolo a telefonarci
quando atterra nel vicino campo di volo, così gli offriamo un caffè. Roberto, che è uomo di spirito, ci risponde che ci ha
localizzato tra il 56° e il 57° parallelo di latitudine nord, ma che in
questi mesi l’aereo club è fermo, quindi non può raggiungerci.
Verso metà pomeriggio inforchiamo le biciclette e
ci dirigiamo al faro, che presidia la punta settentrionale dell’isola.
Inizialmente costeggiamo
il mare, poi percorriamo la piccola penisola
che porta al faro. La strada ha l’asfalto rugoso ed è tagliata in un
fitto bosco di querce e pini. L’aria è fresca e odora di resina.
Il faro si trova su un’isoletta poco distante dalla
penisola e ad essa collegato con un ponte. Chiude un profondo golfo, che
si può assimilare a una laguna, perché il fondale è poco profondo e la
sua bocca stretta
è quasi chiusa da altre isolette ancora più piccole che sembrano sassi
di un ipotetico guado, su cui un gigante potrebbe poggiare i piedi. Saliamo sul faro: 138 gradini di una lunga scala a
chiocciola. E’ la nostra prima volta su un faro, li saliamo tutti d’un
fiato.
Lì in cima siamo inebriati dal vento ed estasiati
dalla vista che si gode a 360°. Poi attraverso il bosco di querce
arriviamo fino alla punta lasciandoci
sorprendere ancora una volta dall’incanto della natura. Il cinguettio
calmo della ballerina bianca,
un
esile e slanciato uccellino, dal capino e la coda neri, il collo dai
riflessi verdognoli, il corpo dal dorso grigio e il ventre bianco e le
ali con alcune penne bianche, fa da colonna sonora al nostro cammino,
mentre i laboriosi insetti aiutano la flora a compiere il suo ciclo
vitale. Verso sera il vento si placa. Nel cielo iniziano a
scorrere lentamente piccole nuvole grigiastre, che sembrano aver paura
di attraversare il mare, così si ammassano l’una contro l’altra,
formando un sottile strato lanoso. Intanto il sole cala, tinge di indaco e viola le nubi
più basse, infuocandone i margini di un vivace rosso vermiglio e colora
il mare di un intenso arancione fino a quando, inabissandosi, gli dona
ancora per breve tempo dei riflessi dorati. 28 luglio
Una tintinnate pioggerellina è scesa nelle ore più
buie della notte per poi cessare alla prima luce del giorno. Ci alziamo
alle 7.30, perché non vogliamo utilizzare la giornata solo per il
trasferimento,
che
è di
La pausa pranzo ci permette di riferire
un’osservazione, che avevamo fatto nei giorni scorsi, ma non avrebbe
avuto senso scriverla senza la documentazione fotografica. A sorpresa
giunge nel parcheggio una macchina americana, di quelle tipiche degli
anni ’60, larga e con la coda ad ali. Perché tanta enfasi? E’ da dieci
giorni che siamo in Svezia e ne abbiamo già incontrate parecchie. In
generale si può dire che il parco macchine svedese è di media – grossa
cilindrata. I marchi più diffusi sono Nonostante le condizioni meteorologiche piuttosto
mutevoli circola anche un discreto numero di cabriolet. Le macchine italiane qui non hanno proprio mercato. In
tutto questo periodo ne abbiamo viste solo tre: una vecchissima Fiat
850, un Doblò e una Alfa Brera.
Il grigio tappeto di nubi si sta via via
assottigliando. Sprazzi di azzurro si fanno largo tra le nuvole sempre
più bianche, piccole e spumose. Ora la fitta foresta
è interrotta da pianori di messi mature.
Alla nostra destra
a tratti si vede il fondo dei fiordi, che si
aprono sul mar Baltico, alla nostra sinistra verdi laghetti di origine
glaciale, nei quali si specchia la folta vegetazione, che li circonda.
Ci fermiamo al camping di
Söderkoping,
che è posto sulla riva del
Göta Kanal, che
collega il mare del Nord con il mar Baltico. Il canale è lungo A sera la navigazione si ferma, il canale e la darsena
sono ora animati da numerose paperelle. Qualcuna più ardita esce
dall’acqua e cammina scodinzolando sull’erba attirando l’attenzione con
il suo “qua, qua” e rimane in attesa di un po’ di pane. Poi se ne va
soddisfatta e si rituffa nel canale. 29 luglio
Heidi ha riposato bene e si è svegliata efficiente.
Forse sa che oggi è la giornata in cui deve dare il meglio di sé. Ci
deve guidare a Stoccolma, ma soprattutto una volta entrati in città ci
deve indicare senza esitazioni le diverse deviazioni per giungere
all’area attrezzata
Längholmens Husbilscamping,
dove abbiamo prenotato il posto via internet prima della partenza. L’autostrada per Stoccolma la prendiamo da Norrköping
dove facciamo una sosta per rifornire la cambusa e la pancia del camper,
che in questi giorni è parsimonioso. Consuma circa un litro ogni dieci
chilometri, così compensa il costo del gasolio che qui è un po’ più caro
rispetto a Milano. La spesa alimentare è invece sostanzialmente
paragonabile a quella meneghina. Questo supermercato è grande, ha in
vendita molti prodotti italiani, anche freschi, come la frutta e la
verdura. Cerchiamo il burro. Da quello che capiamo leggendo le etichette
tutto quello esposto è salato. In inglese ci rivolgiamo a un addetto
chiedendogli se c’è del burro non salato. Ci risponde con lo stesso
idioma dicendoci che quello meno salato contiene l’uno per cento di
sale. Se uno straniero si rivolgesse in inglese a un magazziniere di un
nostro supermercato, sarebbe compreso e avrebbe una risposta? Se siete giovani e ci state leggendo vi invitiamo a
trarre la giusta conseguenza. E gli svedesi che tipi sono? Noi finora abbiamo
incontrato persone affabili e disponibili. Quando leggono la nostra
targa ci salutano con cordialità. Dedicato ai colleghi di Giuseppe. Il maschio latino
vuole sapere come sono le svedesone coscia lunga. Ci spiace per lui,
sono nel suo immaginario. In generale le donne sono di media altezza e
di corporatura brevilinea; gli uomini hanno anche altezze elevate, ma la
loro corporatura non cambia. Tuttavia la situazione non è tragica, a ben
guardare qualcuna si salva e la visione non è male!
Siamo quasi arrivati, manca solo un chilometro, un
ultimo ponte. Il semaforo che lampeggia rosso e un suono intermittente
impongono di fermarsi. C’è un ponte levatoio. Mentre le sbarre si
abbassano, la strada si alza perpendicolarmente per lasciar passare
delle barche a vela dagli alti alberi. Barche, barche, ancora barche, di
tutti i tipi, fogge, età.
Posteggiato il camper comperiamo alla reception
Con una camminata di tre chilometri costeggiamo il
Riddarfjärden e raggiungiamo l’isola Gamla Stan, su cui sorge la città
vecchia. Stoccolma è una città formata da più di ventimila
isole, collegate tra loro da ponti. Pur essendo la capitale non supera
il milione di abitanti, se si esclude il suo circondario. E’ invece
molto popolata se si considera che gli abitanti della Svezia sono solo 9
milioni, meno dei residenti in Lombardia! Lungo la sponda del fiordo vecchie navi sono diventate
case galleggianti e anche qui le caselle della posta sono riunite in un
unico punto.
L’isola Gamla Stan ha la forma di uno scudo, sia
riguardo il suo perimetro, sia per la sua morfologia. La zona più alta è
occupata dal palazzo reale, il cui interno lo vedremo nei prossimi
giorni. Visitiamo la cattedrale. La sua facciata è barocca, ma la sua
struttura architettonica è gotica. Al suo interno presenta degli
elementi barocchi, come il pulpito e i troni reali. Contrariamente a
quanto si possa pensare questi elementi si armonizzano bene nel
complesso architettonico. Degni di nota sono l’altare maggiore in
argento ed ebano, il gruppo scultoreo di san Giorgio e il
drago e il quadro del Parelio. Questo quadro
raffigura un fenomeno atmosferico osservato in città il 20 aprile 1535.
Nel cielo erano comparsi sei cerchi luminosi, che furono interpretati
come un segno premonitore di una sciagura. Il quadro oggi è importante
perché è la più antica rappresentazione della città.
Poi giriamo tra i vicoli acciottolati secondo il
più classico “sü de chi giò de là”.
Davanti a noi si aprono scorci pittoreschi, le piccole piazzette
alberate e i palazzi dalle tinte forti e dalle ricche facciate sembrano
le quinte di un teatro vivente. L’isola è molto animata, accanto ai
pacchiani negozi di souvenir ci sono botteghe che vendono ogni genere di
antichità, numerose gallerie d’arte, boutique ed altro ancora.
Contrariamente ad altre città in questa zona non ci sono le grandi
firme, ciò rende unico e interessante il centro. Ceniamo in un pub,
consumando un piatto tradizionale svedese a base di carne accompagnato
con della birra. Poi riprendiamo il nostro girovagare e lentamente
raggiungiamo la stazione centrale, lì prendiamo la metropolitana che ci
riporta nelle vicinanze dell’area camper. 30 luglio Notte molto calda, tant’è che abbiamo tolto il piumone
dal letto e, nonostante l’estrema vicinanza ad un’arteria di grande
scorrimento, nel complesso riposante. Considerando che l’alternativa era
qualche campeggio fuori città, riteniamo la scelta fatta adeguata ai
nostri bisogni. Anche oggi si prospetta una giornata di sole. Il cielo
è appena velato dall’umidità, ma un gradevole venticello lo sta
liberando. Decidiamo di dedicare la maggior parte della giornata al
museo Skansen. Con una breve camminata di dieci minuti raggiungiamo
la metropolitana che ci porta alla città vecchia, dove parte il battello
che collega i vari punti del fiordo percorrendolo a zig zag.
Qui ci attende una sorpresa, scopriamo che essendo
alta stagione la nostra card non vale per il battello, bisogna
acquistare un supplemento che costa cento corone. Siamo un po’ perplessi
e riflettiamo su cosa fare. Non siamo più abituati ai numeri grandi. La
spesa ci sembra eccessiva, invece rapportati alla nostra moneta cento
corone equivalgono a undici euro.
Paghiamo
il sovrapprezzo e dopo venti minuti sbarchiamo a Skansen. La traversata
ci dà la panoramica della città secondo un’altra prospettiva. Eleganti
palazzi si specchiano nel fiordo, quelli più antichi sono ornati da
cupolette, torrette e guglie di rame, rese verdi dal processo di
ossidazione, alcuni dei palazzi moderni replicano lo stile
architettonico, ma i loro fregi non sono di rame, sono di un materiale
lucido e nero. Skansen è un museo all’aperto, che occupa un esteso
dosso alle spalle del Luna Park. Esso rappresenta dal vivo la vita
rurale e cittadina della Svezia del 1800. Iniziamo il percorso
attraverso la ricostruzione della città. Dei figuranti, vestiti come si
usava due secoli fa, praticano le diverse attività artigianali dentro le
loro botteghe o dentro le prime fabbriche. Dal fornaio acquistiamo due
dolcetti ancora caldi, che insieme a un te e a un caffelatte saranno il
nostro pranzo. Vediamo all’opera il ceramista, il ciabattino, il
tipografo, il falegname e degli operai in un’officina meccanica.
Visitiamo la bottega del vetraio, del ferramenta, l’ufficio postale, le
piccole abitazioni di legno verniciate di rosso. Proseguendo in senso
orario passiamo dalla chiesa che è posta sulla sommità della collina.
Appena usciti incontriamo l’uomo del ghiaccio, che incuriosisce un
bambino. Il versante opposto a quello percorso è stato lasciato
selvaggio. Esso ospita in aree abbastanza ampie i principali mammiferi e
qualche uccello, indigeni della regione scandinava. Foche, renne, alci,
orsi, volpi, lupi, linci, bisonti, cinghiali, ghiottoni, scoiattoli.
Vediamo pure un gufo. Desta impressione la grandezza dell’alce e il suo
portamento maestoso. Nel recinto ci sono anche due piccoli nati il 15
maggio.
E’ l’inizio del pomeriggio, il sole alto è infuocato,
il termometro segna 31° C. Gli animali hanno caldo e cercano refrigerio.
Chi immergendosi nell’acqua come l’alce, chi rifugiandosi nella stalla
come le renne, chi dormendo all’ombra di uno spuntone roccioso come gli
orsi, chi nascondendosi tra il fogliame del sottobosco come il lupo. C’è
chi vorrebbe sonnecchiare sornione su un morbido praticello come mamma
lince, ma i suoi tre cuccioli sono vivaci e hanno voglia di giocare.
Saltellano nell’erba, si fanno agguati, vanno a perlustrare il
torrentello che scorre lì vicino. La mamma, paziente, li segue con lo
sguardo, ma quando li perde di vista si alza e li raggiunge, mentre
loro, bricconi, vanno in cerca di nuove avventure.
Anche i cuccioli d’uomo hanno caldo, vengono quindi
presi dalle loro carrozzine e dai loro passeggini e portati in braccio.
Se si offrisse a una mamma italiana una carrozzina completamente nera
probabilmente
non la accetterebbe, perché il colore non si
addice ad un bambino. Qui invece dove ogni raggio di sole
è prezioso e il suo calore deve essere
trattenuto il più possibile, le quattro ruote dei lattanti e dei bambini
sono rigorosamente nere. Il nostro giro si conclude passando dove è stato
ricostruito un insediamento rurale. Ci sono le stalle con gli animali
domestici e i cortili con gli animali della fattoria. Torniamo all’imbarcadero e riprendiamo il battello che
ci riporta indietro. Proseguendo a piedi lungo la riva del fiordo
raggiungiamo il museo della fotografia. Esso è stato inaugurato un anno
fa e propone annualmente quattro esclusive esposizioni, oltre a mostre
minori. In questi mesi espone uno dei più famosi fotografi mondiali, è
l’americano Robert Mapplethorpe. Delle sue opere esposte, tutte in
bianco e nero, ci piacciono i fiori, mentre la sezione relativa al nudo
la troviamo in alcuni scatti piuttosto depravata e ci chiediamo se siamo
noi che non capiamo l’arte o se è la ricerca di emozioni forti che porta
l’artista ad esagerare. Un’analoga riflessione, partendo da spunti
diversi, la facciamo di fronte ad alcune fotografie di altri fotografi.
Usciti dal museo con una lunga scalinata superiamo
la parete rocciosa che scende a strapiombo e ci rechiamo al duomo
cattolico per verificare l’esattezza dell’informazione circa la messa
domenicale in lingua italiana. Che tristezza trovare sempre le chiese
chiuse! Con la metropolitana, linea verde e rossa, intraprendiamo la
strada del ritorno. Un po’ provati dal caldo e da nove ore di girovagare
arriviamo al camper. Al suo interno ci sono 31 luglio
Una domenica regale. La iniziamo rendendo lode al
Re dell’universo, partecipando nella cattedrale cattolica alla messa. Ci
rechiamo alla chiesa secondo l’informazione in nostro possesso: ore 8.45
la messa è in italiano. La chiesa è aperta, ma non c’è nessuno e anche
l’altare non è ancora preparato. In una bacheca interna troviamo il
calendario delle messe: nei mesi di giugno, luglio, agosto, la messa in
italiano non viene celebrata. La prima messa è alle ore
Dopo la messa con la metropolitana andiamo nella
città vecchia, perché per essere una giornata regale, dobbiamo anche
rendere omaggio al re Carlo XVI Gustavo. Iniziamo la visita del suo
palazzo, che è il più grande palazzo reale del mondo, dal museo Tre
Kronor, che ha il nome del simbolo della monarchia, appunto tre corone.
Questo museo, collocato nei sotterranei del palazzo, fa vedere le
fondamenta medioevali dell’edificio e dei reperti storici. Molto
interessante è il
video, fatto solo di immagini e date, che
narra la storia di questo castello. Nell’anno 1000 l’isola era ancora
spopolata, nel 1100 arrivarono le prime navi vichinghe e nel 1200 sorse
il
primo castello. Con il passare dei secoli il castello è stato ampliato
con l’aggiunta di ali e l’isola divenne
sempre più popolata. Nel 1697 un grande
incendio devastò
e distrusse quasi completamente il castello, che fu ricostruito nel
corso dei decenni successivi. Attualmente non è più abitato dai sovrani,
ma è utilizzato come sede di rappresentanza. Terminata la visita, dopo un frugale pranzo consumato
in piazza, hot dog e Coca Cola acquistati in un chiosco, nel cortile
esterno del castello assistiamo al cambio della guardia. Il posto in
prima fila ci costa tre quarti d’ora di attesa in piedi sotto il sole
con due bambine accoccolate tra e sui nostri piedi! I soldati di guardia
al palazzo sono in alta uniforme. Portano una divisa blu del colore
della bandiera svedese e sul capo hanno un elmo luccicante con i fregi e
il puntale dorati. Sono le 13.15 quando da lontano si ode il suono della
banda. La musica diventa via via più intensa fino a quando con passo
militare la
banda entra nel cortile, seguita dai soldati in alta
uniforme. Da un altro lato del cortile entrano un ufficiale e il porta
bandiera, che raggiungono la guardia centrale. Con una serie di comandi
gridati in modo perentorio i militari marciano, si arrestano, serrano le
fila. Poi avviene il cambio vero e proprio. La cerimonia si conclude con
un breve concerto bandistico e il saluto alla bandiera.
Concluso questo evento visitiamo gli appartamenti
reali. L’arredamento è del XVIII e XIX secolo. La prima sala è il salone
del gran consiglio, esso è dominato dal trono d’argento della regina
Cristina. Storia complessa quella di questa sovrana. Unica erede di re
Gustavo II Vasa, morto in battaglia durante la guerra dei trent’anni,
Cristina succedette al padre quando era ancora bambina, aveva sei anni.
Dopo il periodo di reggenza, assunse i pieni poteri nel 1644, al
compimento del suo diciottesimo anno.
Donna
colta e di forte temperamento non volle sposarsi. Nel 1654 si convertì
al cattolicesimo e abdicò in favore del cugino Carlo X Gustavo e si
ritirò in esilio volontario a Roma dove morì nel 1662.
Proseguendo il giro, ci colpiscono gli orologi a
colonna e da tavolo. Con il loro ticchettio richiamano la nostra
attenzione: sono perfettamente funzionanti! Ci
piacciono particolarmente il parquet di
legno intarsiato con motivi floreali di un salone e le
stufe
di maiolica presenti in quasi tutte le sale. Nell’ultima sala è
allestita una mostra fotografica di un fotografo giapponese. Nel 2001 il
re dell’Arabia Saudita aveva chiesto agli scout di essere nel mondo
messaggeri di pace. Il re di Svezia, che è Presidente onorario del
movimento scoutistico mondiale, ha raccolto l’invito. Gli scout hanno
operato in diversi paesi. La mostra riporta le testimonianze di alcune
attività svolte in Salvador, in Kenia, a Hong Kong e in molti altri
paesi. Alcune fotografie ci colpiscono emotivamente, una mostra una
ragazza con in braccio un neonato africano, un’altra un ragazzo che
accarezza con tenerezza il capo di un bambino seduto per terra davanti
alla sua casa distrutta, con la testa chinata e chiusa tra le ginocchia.
Anche oggi è una bella giornata limpida. Nel cielo
ventoso scivolano veloci ciuffetti di bianche nuvole. Usciti dal palazzo
reale decidiamo di andare a dare uno sguardo dall’alto a questa
singolare città. A piedi raggiungiamo la stazione centrale e con
l’autobus n. 69 ci rechiamo a Kaknästornet. E’ la torre del centro
operativo delle trasmissioni radio-televisive svedesi. Con un rapido
ascensore saliamo al
trentesimo piano, dove c’è la terrazza
panoramica. Poi saliamo a piedi un altro piano, qui protetti da una
gabbia metallica si ha la spettacolare visione sull’arcipelago su cui
sorge la città. Alla fine ci sentiamo un po’ stanchi, solo adesso ci
rendiamo conto che sono trascorse quasi dieci ore da quando siamo
usciti. E’ proprio ora di rientrare! 1 agosto Il cielo è completamente sereno e il sole già illumina
il camper. Oggi abbiamo dormito un po’ di più, la sveglia suona alle ore
8.30. Con la metropolitana raggiungiamo la città vecchia e
poi a piedi l’imbarco del battello che naviga il fiordo. Il supplemento
di cento corone pagato due giorni fa è valido anche oggi. In quaranta
minuti raggiungiamo il museo Vasa. Il Vasa è un vascello che è stato costruito nel
periodo 1626-1628. Il 10 agosto 1628 fu varato e affondò nel porto poco
dopo essere salpato. Le cause del suo affondamento sono ancora ignote.
Secondo gli studi fatti la sua costruzione era perfetta, l’assetto delle
vele corretto, non risulta che ci sia stata una condizione meteorologica
improvvisamente avversa. Il filmato, che viene proiettato e racconta la
breve vita di questa bella nave, conclude alludendo al fenomeno
rappresentato nel quadro del Parelio un secolo prima. Questo vascello secoli dopo è stato ritrovato intatto
sul fondale del mare. La sua conservazione è stata possibile perché il
mar Baltico è poco profondo, poco salato e ha un fondale sabbioso. Nel
secolo scorso gli svedesi hanno pensato di riportarlo in superficie. Nel
1959 è stato imbragato e due anni dopo, il 4 maggio 1961 il Vasa è
riemerso.
Il museo ospita il vascello nella sua interezza e
maestosità. Intorno al vascello sono stati costruiti sei piani per
permettere ai visitatori la visione di ogni sua parte. Il piano terra
stradale corrisponde al quarto piano del vascello, su questo piano c’è
anche la sua riproduzione in scala 1:10 con i suoi colori originali. Le
varie parti del vascello sono state riprodotte e messe in mostra alle
pareti, mentre gli oggetti recuperati sono conservati dentro delle
vetrine. I cannoni non sono più nella loro posizione originale, ma si
trovano nel piano più basso intorno alla chiglia. L’acqua e il tempo
hanno degradato le vele. Esse nel loro insieme ricoprivano una
superficie di Insieme al vascello sono stati ritrovati anche gli
scheletri delle persone imbarcate. Le ossa di alcuni di loro sono state
ricomposte. Attraverso studi scientifici è stato possibile risalire al
sesso, all’età e ricostruirne la fisionomia. I volti di questi poveretti
sono quindi visibili. Interessante è anche il plastico che mostra come a
quei tempi avveniva la costruzione di una nave. I carpentieri andavano
personalmente nel bosco a scegliere gli alberi da abbattere. Durante
l’inverno i tronchi venivano caricati sulle slitte e trasportati nella
zona portuale dove sorgeva il cantiere navale. Qui erano depositati e lasciati stagionare. Poi
iniziava la costruzione. Si incominciava assemblando il fondo, quindi si
mettevano dei bracci laterali, che avevano il compito di sostenere le
fiancate. La nave veniva infine completata al suo interno ed
esternamente ornata con dei fregi.
Il Vasa è stato costruito con legno di quercia. E’
lungo Il museo Vasa è davvero unico e merita di essere
visitato.
Usciti dal museo a piedi raggiungiamo il ponte che
porta nel quartiere Őstermalm. Qui prima percorriamo il viale che
costeggia il fiordo su cui si affacciano signorili palazzi
ottocenteschi, mentre attraccate alle banchine vecchie barche sono oggi
delle house boat; poi ci addentriamo nel quartiere per capire meglio la
vita quotidiana di questo popolo. Il mercato coperto Saluhall è un
edificio costruito in mattoncini rossi nel 1885. Entriamo, odora di
spezie e di verdura. Per il risotto di questa sera comperiamo dei
finferli, che qui chiamano
kantareller.
In
un angolo c’è un bar, beviamo un buon espresso. La barista ci offre
dell’acqua con dentro delle fette di limone, una fetta di cetriolo e
qualche foglia di prezzemolo. La assaggiamo, sarà anche dissetante, ma
che gusti hanno questi nordici!?! Il quartiere ha vie che si intersecano
perpendicolarmente, sulle quali si affacciano sobri palazzi dalle
facciate pulite. Il nostro girovagare continua e ci troviamo nelle vie
dello shopping, che percorriamo senza grande interesse, perché sono
uguali in ogni città. Torniamo all’area camper. Anche oggi c’è stato un
discreto avvicendarsi di veicoli. Ci colpisce una nuova presenza: è un
camper che ha posato sul cofano la bandiera australiana. Simone e Eileen
ci hanno raggiunto? L’illusione subito svanisce, due signori sono seduti
lì vicino. Simone e Eileen li sentiamo per telefono, sono nel nord est
dell’Australia, tra qualche giorno raggiungeranno con una barca la
barriera corallina, lì faranno delle immersioni per vedere quel paradiso
sommerso. 2 agosto
Ieri sera avevamo già completato i nostri compiti
delle vacanze, cioè scaricato le fotografie e scritto il diario della
giornata, quando il nostro sguardo è stato attirato verso il cielo. Una
mongolfiera è passata sopra le nostre teste. Il pallone blu sorreggeva
una cesta rettangolare dalla quale si affacciavano delle persone
vocianti. Quando si abbassava, la fiamma diventava più vivace, scaldava
l’aria, che dilatandosi faceva riprendere quota all’aerostato. Sospinto
dal vento il pallone si è allontanato. Lo stesso vento ha portato con sé
il rumore di un rombo di motori. Per chi se ne intende non era un rumore
qualsiasi, ma il suono armonioso di meccaniche perfette. Giuseppe
incuriosito si è mosso
e
ha trovato presso la reception delle automobili d’epoca, qui convenute
per un raduno. C’era una vecchia Volvo, una Pontiac del 1929, una
Bugatti e altre ancora.
Questa mattina lasciamo Stoccolma e ci spostiamo a
Uppsala, l’antica capitale. Posteggiamo il camper lungo il fiume Fyrisån
e ci avviamo a piedi verso la cattedrale. Uppsala è un’elegante città
completamente priva di traffico, ma piena di vita. E’ davvero un piacere
girarla.
Nel pomeriggio Paola rende omaggio a un grande
scienziato, che ha avuto un ruolo importante nei suoi studi. Visitiamo
il Linneaus Museum. Esso comprende la casa e il giardino di Carl von
Linnè, conosciuto in Italia con il nome di Linneo. Egli è vissuto nel
XVIII secolo. Nato nel villaggio di Råshult, studiò nelle università di
Lund, di Uppsala e in Olanda. Il grande scienziato presentò nel 1735 il risultato
delle sue osservazioni relative alle piante nella famosa opera Systema
Naturae. Egli osservando nei fiori il numero degli stami e dei pistilli
suddivise le piante in ordini, gli ordini in generi e i generi in
specie. Ancora oggi la classificazione degli esseri viventi utilizza la
tassonomia binaria di Linneo. Nel 1741 Linneo ottenne la cattedra di
medicina presso l’università di Uppsala.
La casa dove ha abitato è una bella palazzina. Al
piano terra c’è la vera e propria abitazione, al primo piano il suo
laboratorio, che comprende
lo studio nella cui libreria sono conservati antichi testi scientifici e
un piccolo museo, dove egli ha raccolto e conservato conchiglie, uccelli
e altri animali imbalsamati, tra cui un pangolino.
Il giardino è la ricostruzione del più antico orto
botanico svedese; ha milletrecento specie vegetali. Camminiamo nei
vialetti, osserviamo con interesse le piante conosciute e siamo
incuriositi da quelle ignote. Alcune piante richiamano la nostra
attenzione con il loro profumo. E’ così che scopriamo l’aneto e i
diversi tipi di menta. La stagione della fioritura sta per finire, ma le
api bottinatrici e le vespe lavorano ancora intensamente. Si muovono tra
i fiori, con destrezza entrano nelle loro corolle o si posano con
delicatezza sulle composite alla ricerca del dolce e nutriente nettare.
Se ne vanno così sporche di polline di fiore in
fiore. Anche questa è la meraviglia del
creato! …ma cosa succede? Non si è mai visto un fiore così
grande! Ci sono anche degli insetti distratti che credono di trovare un
tesoro su una testa bionda e nell’azzurro di una maglietta. Ci sono anche piante che non si riproducono
sessualmente. Ecco le verdi felci con i sori pieni di spore pronte ad
espandere la specie e i mitici equiseti, che tanto onore portarono a
Paola nel lontano 1974, durante l’esame di botanica sistematica.
Ripreso il camper seguendo una strada statale
immersa nel verde dei boschi giungiamo a Sala, dove alloggiamo al
campeggio
Silvköparens, che
si affaccia su un tranquillo laghetto dalle acque trasparenti. 3 agosto
Lago e cielo sono di un intenso azzurro. Siamo
pronti per un’altra splendida giornata. Col camper raggiungiamo
Sono le 10.15, alle 10.30 parte un giro breve in
lingua svedese, alle 11.00 un giro lungo in inglese. Optiamo,
forzatamente, per il giro lungo. Puntuale si presenta Christian, un
giovane ragazzone dai lineamenti un po’ grossolani e dai colori chiari.
Indossa un cappello di feltro nero, una ruvida camicia bianca sotto a
una giacca di panno grigio. I pantaloni e le scarpe hanno una foggia
moderna. Ha in mano una lunga torcia elettrica. Sarà la guida di tre
persone: Giuseppe, Paola e un signore francese di circa quarant’anni.
Due italiani, un francese e uno svedese che parlerà inglese, chissà cosa
capiremo!
Christian ci fa indossare l’elmetto
protettivo, si assicura che abbiamo qualcosa per coprirci, quindi mentre
ci accompagna alla bocca del pozzo ci dà alcune informazioni. In questa
zona l’argento fu scoperto nel XVI secolo. In quel tempo iniziò il
lavoro di scavo delle gallerie, che durò per alcuni secoli. I cunicoli
si spinsero sempre più in profondità man mano che i filoni più
superficiali si esaurivano. Si passò dai sessanta metri ai novanta metri
per giungere a centocinquantacinque metri. La percentuale d’argento
contenuta nella roccia era bassa, raggiungeva al massimo il 4%. La
miniera è stata chiusa nel 1908.
I minatori raggiungevano le gallerie scendendo
lunghe scale di legno a pioli. Esse venivano appoggiate alle pareti e
collegavano i cunicoli posti a diverse profondità. Oggi
si
scende con un ascensore. Cinque minuti di lenta discesa e siamo nelle
viscere della terra. Man mano che scendiamo si avverte il calo della
temperatura; appena usciti dall’ascensore e fatti i primi passi nella
galleria il freddo diventa pungente. Allacciamo con cura il nostro pile.
Abbiamo già visitato diverse grotte e la miniera di
sale in Polonia, ma questa esperienza si presenta nuova. Le gallerie non
sono illuminate se non da piccolissimi led, che danno una fioca luce
azzurrina. Christian con passo sicuro inizia a camminare, le nostre
pupille sono ancora dei piccoli forellini, i primi passi sono nel buio
più totale. Le gallerie sono rimaste quelle che erano: ora sotto i
nostri piedi c’è del terriccio e qualche pozzanghera dovuta all’acqua
che gocciola dall’alto. Stiamo camminando in mezzo ai binari lungo i
quali venivano trainati i vagoncini carichi di pietre. Girato il primo
angolo Christian si ferma e accende la pila per illuminare un diorama.
Qui c’è una grande camera. E’ ciò che è rimasto dopo l’estrazione del
prezioso minerale metallifero. Le figure dei minatori sono raccolte
intorno a un fuoco per riscaldarsi. Scopriamo che l’abbigliamento di
Christian è quello dei minatori. La differenza è che essi portavano
pantaloni di panno, calze di lana e ai piedi zoccoli di legno. Christian
ci racconta che il suo bisnonno ha lavorato in questa miniera. I
minatori lavoravano dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana.
Un lavoro massacrante per portare in superficie cinque metri cubi di
roccia a notte. Ora i nostri occhi si sono adattati all’oscurità.
Christian prosegue, con la pila traccia il percorso quando il fondo è
particolarmente accidentato o quando la volta è bassa e richiede
attenzione per non battere la testa. Una volta tanto la bassa statura è
un vantaggio e Paola è la fortunata!
Ecco ora una lunga scala posta tra due cunicoli e
poi una galleria in parte crollata, tutta rinforzata con tronchi di
conifere. Il ticchettio dell’acqua gocciolante ora è più intenso. Ci
fermiamo vicino a un precipizio. Sotto di noi una grande camera, in
parte riempita d’acqua. Christian prende un grosso sasso e lo lancia con
forza. Un tonfo. Quel nero lago lo inghiotte e il cupo suono rimbomba
sulla volta e sulle pareti. La profondità di quella caverna raggiunge i
trecento metri. Fa freddo, bisogna muoversi. Chiediamo che temperatura
c’è e se varia secondo le stagioni. Christian ci risponde che ci sono
Christian lancia un urlo e spegne la pila. Le
pareti gli rispondono, echi e rimbombi riempiono l’aria, smorzandosi
lentamente e ci ritroviamo soli con noi stessi a cercare di capire dove
sta andando la nostra guida, che subito ci recupera lampeggiando sul
suolo. Nuova sosta: siamo davanti a una porta a vetri, entriamo. Fa
caldo, gli occhiali si appannano. E’ climatizzata. E’ un piccolo
appartamento. Christian ci dice che è stato allestito con scopi
turistici. Quaggiù è possibile svolgere delle feste, in particolare
questo luogo è utilizzato per le feste nuziali
e
per trascorrere la prima notte di matrimonio e ci mostra il talamo. Il giro sta per finire. La galleria che ci porta
all’ascensore ha un ramo chiuso coperto di ghiaccio. Si forma d’inverno
e non riesce a sgelarsi completamente con il passare dei mesi. Risaliamo
in superficie, l’estate ci attende con la sua luce sfolgorante e il suo
calore.
Pranziamo sul camper e continuiamo il nostro
viaggio verso Falun
proseguendo la strada percorsa ieri. Boschi
misti di conifere e betulle ci circondano, ogni tanto il paesaggio si
apre, stagni e laghi riflettono l’azzurro e il verde della natura.
Nascoste tra gli alberi si intravedono le tipiche case di legno colorato
di rosso con gli infissi verniciati di bianco. La strada ci immette in
una nazionale, allora dopo pochi chilometri deviamo. Ora stiamo
percorrendo una stradicciola di campagna, che attraversa villaggi
formati da poche case. I campi coltivati ad avena e grano biondeggiano e
i prati folti di erba promettono un buon sostentamento ai bovini delle
fattorie che, sparse sul territorio, sorgono ai margini della foresta.
A Falun visitiamo la miniera di rame. Scegliamo di
vedere il villaggio minerario che sorge intorno alla grande voragine
della più antica miniera svedese e il museo. Il pozzo principale è stato
aperto nel 1662 e raggiungeva una profondità di trecento metri. A
quell’epoca le tecniche inadeguate portavano spesso a tragici crolli. Il
25 giugno 1687 avvenne una catastrofe. La camera
principale
e le gallerie
collassarono. Per fortuna era un giorno non
lavorativo e non si ebbero perdite umane. Oggi di quell’immane crollo
rimane una grande voragine rossa, che sembra il cratere di un vulcano.
Entriamo in un caseggiato: c’è una ruota idraulica di legno del diametro
di quindici metri, serviva per pompare in superficie l’acqua che
sgorgando dalle falde avrebbe allagato le gallerie. Lì vicino una torre.
Dentro, protetto da diversi reticolati e da una spessa lastra di vetro,
c’è il camino di ventilazione. A guardarlo dall’alto fa venire le
vertigini. E’ profondo duecentootto metri ed è protetto da barre che
impedivano la caduta delle pietre. Poco distante il pozzo di estrazione.
Con una carrucola venivano issati gli enormi secchi di pietre cuprifere.
Le pietre venivano caricate su carriole e portate dentro a un
locale dove lavoravano dei ragazzi. Qui
avveniva la loro macinatura. Dei grossi cilindri metallici passavano
sulle macine di pietra sulle quali venivano posati i massi da triturare.
Ancora oggi intorno alla miniera ci sono cumuli di pietre rosse: è
calcopirite, un composto di rame, ferro e zolfo, il più comune e diffuso
minerale di rame, la più importante risorsa naturale per l’estrazione
del rosso metallo. Accanto al villaggio minerario c’è un’industria
chimica. Dalle pietre si ricava il rosso Falun, il pigmento con il quale
viene colorato il legno, che poi si usa nella costruzione delle case. Ci
avviciniamo a uno dei tanti cumuli, la terra è ricoperta dalla polvere
rossa. Paola si rammarica di non avere
un cucchiaio e un recipiente per
raccoglierla e portarla a scuola, materiale prezioso per il laboratorio.
Si accontenta di toccarla con un dito, raccoglie invece due pietre. Il museo mette in mostra diversi minerali metalliferi
e gli arnesi utilizzati nei secoli dai minatori. Per far luce si è
passati dalle candele, alle lampade a petrolio, alla luce elettrica.
Nella mansarda del caseggiato è stato ricostruito il centro di primo
soccorso. Desta impressione il filmato che mostra l’amputazione di una
gamba maciullata.
Terminata la visita alloggiamo al camping
Lugnet.
E’ un grande campeggio, che si estende ai piedi dei due trampolini per
il salto con gli sci. Uno è attrezzato con erba sintetica, per
permettere agli atleti di allenarsi anche in questo periodo. Questo
centro ha ospitato i
Campionati mondiali di sci nordico
nel 1954,
nel 1974,
nel 1980
(parzialmente) e
nel 1993
e li ospiterà nuovamente
nel 2015.
L’arrivo è un vero e proprio stadio, vi si può entrare. Giuseppe si
siede sugli spalti e con lo sguardo perso nel vuoto riesce ad immaginare
il mondo bianco di questo luogo in inverno. 4 agosto Prima di lasciare Falun torniamo alla miniera di rame,
questa volta muniti di un cucchiaio e un recipiente per raccogliere la
rinomata terra rossa. Da lontano ci viene incontro Luigi, il fratello di
Paola. Ma che ci fa qui in Svezia? Tanta è la somiglianza, ma una
caratteristica lo distingue dal suo sosia svedese: Luigi non porta
l’orologio al polso!
Proseguiamo il viaggio e ci dirigiamo verso la
regione del lago Siljan. Questa mattina c’è più traffico del solito.
Incrociamo un numero considerevole di automobili americane, per gli
svedesi sono proprio una vera passione! Questo popolo al volante presta
molta attenzione ai pedoni e ai ciclisti e rispetta alla lettera i
limiti di velocità, che sulle strade ordinarie è di novanta chilometri
all’ora. Noi invece viaggiamo intorno ai settanta chilometri all’ora,
siamo quindi superati da tutti. I camionisti pazientemente si accodano
al nostro mezzo, noi quando c’è la possibilità ci soffermiamo in una
piazzuola per lasciarli passare. Anche così
gustiamo il paesaggio apparentemente uguale,
ma sempre diverso nei suoi scorci. Il territorio è ondulato, siamo ad
un’altitudine modesta, intorno ai duecento metri, ma la vegetazione è
alpina. Laghetti luccicanti di sole sono incastonati tra le cupe pinete.
Esili betulle affamate di luce allungano verso l’alto il loro tremulo
fogliame.
Ad un tratto la strada curva leggermente verso
sinistra: che spettacolo! Davanti a noi il lago Siljan mostra la sua
grandezza. All’ora di pranzo sostiamo a Nusnäs. Questo piccolo villaggio
di casette rosse è rinomato perché qui è nato il famoso cavallino
simbolo della Svezia. Il cavallo di Dala è di legno intagliato e dipinto
a mano con colori vivaci a motivi floreali. Intagliare il legno era il
passatempo invernale.
Nel 1928 anche i fratelli Nils e Jannes Ollson di
quindici e tredici anni
iniziarono
ad intagliare il legno e modellarono dei cavalli. Miscelando loro stessi
i colori e utilizzando pennelli che si fabbricavano li decoravano. Col
passare degli anni i loro cavalli divennero prima il simbolo di Mora, la
cittadina più vicina a questo borgo, poi della regione Dalarma e infine
della Svezia. Visitiamo il laboratorio dei fratelli Ollson, ora
condotto dai loro discendenti ai quali hanno trasmesso quest’arte.
Vediamo all’opera gli artigiani intagliatori, che con abilità sgrossano
il legno e gli danno forma. Nella camera accanto c’è chi dà ai cavalli
il colore di fondo e ancora più avanti abili e leggere mani di donna
rivestono il cavallino con precisi e delicati tratti di pennello,
decorandolo secondo la tradizione. Decidiamo che questo grazioso simbolo
sarà il regalo di Natale per i nostri amici. Esso accompagnerà il
consueto calendario che racconta le nostre vacanze. Per la nostra parete dei ricordi comperiamo delle
piccole alci di legno, faranno compagnia al bisonte polacco e al puffin
scozzese. Ci rimettiamo in marcia verso il paese dove abbiamo
deciso di trascorrere la notte. Uscendo dal villaggio notiamo la scritta
camping, cambiamo subito idea. Ci fermeremo qui, così potremo fare nel
pomeriggio una gita in bicicletta. Invertiamo la marcia, ripercorriamo
la strada principale di Nusnäs, ma del camping non ci sono né ulteriori
indicazioni, né traccia. Siamo ormai usciti dal villaggio dalla parte
opposta, quando incrociamo una signora in bicicletta che sta pedalando
verso il paese. Rallentiamo e dal finestrino le facciamo un cenno. Si
ferma. Le chiediamo dov’è il camping. Ci risponde di seguirla. Bella
proposta, ma fare inversione su una stradina di campagna con un mezzo
lungo più di sette metri non è facile. Pazientemente ci aspetta e poi
pedalando di gran lena davanti a noi ci accompagna tra le stradine del
borgo fino a un bivio. Qui si ferma, ci dice di girare a destra e di
proseguire, più avanti sulla sinistra avremmo trovato il camping, lei
invece gira subito a sinistra. La gentilezza e la disponibilità di
questa gente è veramente grande. Prima di lasciarla l’abbiamo
ringraziata di cuore e ora che siamo al camping ancora di più. Il
camping, se così si può chiamare, è un prato circondato da pini e
betulle che si affaccia sul lago. C’è posteggiato un camper tedesco.
Posteggiamo il nostro mezzo parallelo alla riva. Scendiamo a contemplare
quest’oasi di pace, dove trascorreremo la sera e la notte. “Puon
ciorno!” ci dice orgoglioso del suo italiano il tedesco. Scambiamo
qualche parola, poi scarichiamo le biciclette, indossiamo il caschetto e
via verso Mora. Il sole che scotta e i lievi sali scendi inizialmente
si fanno sentire nelle gambe un po’ legnose. A Mora visitiamo il museo della Vasaloppet, la più
importante gara di sci di gran fondo del mondo. La tradizione vuole che
essa sia la commemorazione di un evento storico. Si narra che nel 1520
il re Gustavo Vasa avesse chiesto agli abitanti di questa zona di
insorgere contro i danesi che la dominavano. Ricevuto il rifiuto da
parte della popolazione, il re fuggì sugli sci verso il confine
norvegese. Due fratelli però si convinsero della bontà della proposta,
inseguirono il re, a loro volta seguiti da altri popolani e lo
raggiunsero a Sälen .
Nel museo attraverso filmati, oggetti in
esposizione, fotografie e articoli di giornale si rivive la storia
moderna di questa gara. Essa si snoda su un percorso di
Tra gli oggetti in esposizione troviamo
particolarmente interessante la parata degli sci. Essi sono allineati
gli uni agli altri raggruppati per decenni: anni
’20; ’30; ’40 …fino al 2000. Come sono
cambiati i materiali e gli attacchi, così come l’abbigliamento! Lo sport
pionieristico aveva un non so che di eroico, oggi la spasmodica ricerca
del record può anche portare a scelte di dubbia eticità.
Guarda, guarda, un italiano ha l’onore di essere
ricordato in questo museo! E’ Maurilio De Zolt, detto il “grillo” per la
sua sciata molto saltellante. Egli ha la sua fotografia nello stand
dedicato ai campioni olimpici, non pochi,
che
hanno partecipato alla Vasaloppet senza mai vincerla. Le sue
partecipazioni sono state diverse, il suo migliore piazzamento è stato
un quarto posto. Molto meglio hanno fatto le donne italiane. Maria
Canins ha vinto nel 1985 e Cristina Paluselli nel 2006. Sotto le fotografie dei primi vincitori, sorridenti,
ma stravolti, c’è appoggiato per terra un enorme pentolone di ferro
arrugginito dotato di un rubinetto a spina. Sul suo coperchio un mestolo
e una tazza sempre di ferro. Accanto su un tavolino un contenitore
termico con rubinetto a spina, dei bicchieri di carta e un cartello che
invita ad assaggiare la zuppa di mirtilli. Ne prendiamo un po’. E’ il
succo denso e tiepido dei mirtilli. Buono! Viene dato ai concorrenti ai
rifornimenti posti lungo il percorso di gara. A noi darà energia per la
pedalata di ritorno. Completata la visita, prima di tornare a Nusnäs,
Giuseppe si fa immortalare sotto lo striscione d’arrivo della gara, che
è una porta di legno tutta dipinta. Dopo ventitre chilometri il giusto riposo davanti al
lago imbronciato, perché grigi nuvoloni si stanno addensando. E’ sera,
giungono al camping un camper norvegese e una famiglia svedese, che
monta una tenda mentre due biondini corrono felici dietro la loro palla
rossa. Piccole barche ritornano al porticciolo, alcuni
uccelli acquatici pigolando raggiungono i canneti che nascondono la riva
poco più avanti. Ora il lago è piatto, il suo colore scuro è interrotto
da chiazze di luce che lo fanno sembrare gelato. 5 agosto Notte di assoluto silenzio, notte di sonno profondo,
notte di grande riposo. E’ un piacere alzare gli scuri del camper e
perdersi con lo sguardo tra le increspature del lago mosso da un alito
di vento. Il nostro cottage a quattro ruote non poteva fermarsi in un
posto migliore! Ci prepariamo in fretta, perché oggi abbiamo un intenso
programma. Dopo la giornata botanica di Uppsala e quella geologica di
Falun, è arrivato il tempo della giornata zoologica. Con un breve
spostamento di circa trenta chilometri ci rechiamo a Orsa. Il nome, per
noi italiani, è già una garanzia e da lì con una salita di otto
chilometri raggiungiamo il Björnpark. In questo parco vivono i grandi
carnivori dei climi freddi dell’emisfero boreale: il lupo, la volpe, la
tigre siberiana, il leopardo delle nevi, il leopardo persiano, la lince,
l’orso polare, l’orso bruno e l’orso della Kamtchatka. Questi ultimi due
sono onnivori. Questo bioparco è davvero particolare, perché coniuga
l’osservazione dal vivo con diorami e pannelli esplicativi. Sarebbe
quindi un errore chiamarlo zoo, ma non è neppure un museo. Gli animali vivono all’interno di ampi recinti ricchi
di vegetazione, non sempre si vedono, ci vuole pazienza. A volte
all’attesa subentra la delusione. La lince proprio non si vede. Ci
consoliamo pensando a come ce la siamo goduta a Stoccolma. Anche il
ghiottone, animale schivo e di media taglia, non si mostra. Di lui
abbiamo visto una fugace comparsa sempre a Stoccolma. Qui lo osserviamo
in un diorama.
Utili sono le altane che sporgono sopra i recinti e
permettono l’osservazione dall’alto senza il disturbo delle reti e la
visione di un panorama impareggiabile fatto di pinete infinite nelle
quali occhieggiano lucidi laghetti. Ci incantiamo ad osservare la tigre,
il più grosso felino esistente. Con passo felpato compare tra gli
arbusti del sottobosco. Mimetismo perfetto, cogliamo prima il movimento
del fogliame di lei. Maestosa e bella
avanza
con piglio signorile, si muove fiutando l’aria con le sue vibrisse e
mostra fiera le sue sciabole, poi scompare nuovamente nell’intrico della
vegetazione. Grande tenerezza ci suscita un cucciolo di orso bruno.
Sta sonnecchiando, si sveglia, trotterella fin dentro la casupola che
funge da tana, esce e mostra
il suo istinto alzandosi sulle zampe
posteriori. Poi si ricorda di essere un cucciolo e di dover imparare ad
usare gli artigli, allora si mette a giocare con un peluches. Siamo talmente presi da ciò che ci circonda che non ci
accorgiamo che sono già le quattordici. Un gelato diventa il nostro
pranzo. Concludiamo il giro e torniamo al camper. Nel posteggio
un’automobile americana sta facendo manovra attirando l’attenzione con
il suo rombo. Ci attendiamo che da qualcuna di queste macchine esca
Fonzie! Il tragitto che ora dobbiamo compiere è di centoventi
chilometri. Ci dirigiamo verso le Alpi scandinave, lì raggiungeremo il
punto più settentrionale del nostro viaggio.
Si dice che le macchine non hanno un’anima, ma a
volte sembra il contrario. Heidi appena capisce che deve portarci in
montagna si esalta. Subito dopo Orsa ci fa deviare dalla strada
principale e ci porta in alto fino a quota 6 agosto Dopo tanti giorni di piccoli e grandi trasferimenti e
di molteplici attività, oggi abbiamo deciso di riposare. Non siamo
stanchi, ma un giorno di dolce far niente su un morbido prato in riva a
un lago ce lo meritiamo, anche perché ci fermeremo qui qualche giorno.
Särna è un piccolo paese sulle Alpi scandinave, nel cuore della Svezia.
Sappiamo che da qualche anno si è trasferito qui Vitantonio Dell’Orto
(www.exuviaphoto.it) e
sua moglie Barbara che all’attività di fotografo naturalista lui e di
artigianato del legno lei uniscono la gestione di un ostello. Ci
rechiamo all’ostello per avere delle informazioni circa le gite che si
possono fare in zona. Barbara ci accoglie con cordialità. E’ contenta di
poter parlare italiano, ci dà alcune informazioni. Acquistiamo il libro
fotografico di Vitantonio “La mia Svezia”. Poi gironzoliamo per il
paese, che ha dietro la chiesa attualmente in funzione, una chiesetta
lignea del 1700 con un bel campanile dalle pareti a scaglie. E’ chiusa.
Intorno è stato ricostruito il villaggio dell’epoca.
Nel cielo scuro che scarica improvvisi scrosci d’acqua
si aprono squarci d’azzurro, che lasciano passare i caldi raggi del
sole. Scriviamo le ultime cartoline, poi passeggiamo sulla spiaggetta
sassosa di questo lago pieno di vita. Esili canne sostengono piccole
chiocciole d’acqua. Alcune piante acquatiche sono in fiore e tra i loro
steli nuotano, frenetici, i girini, che non si lasciano prendere. Degli
uccelli acquatici si tuffano, scompaiono nel profondo per poi riemergere
poco più avanti, mentre le rondini volano rasenti sulla superficie
dell’acqua e senza toccarla si saziano di insetti. E’ ormai pomeriggio
inoltrato, comodamente seduti sulle nostre poltroncine leggiamo e ci
crogioliamo al sole, che ha vinto la sua battaglia. Il campeggio, che
questa mattina si è completamente svuotato, si va ripopolando. Un po’ di
vento sospinge nuovamente dense nubi. Giunge al camper una signora del
luogo. In una cesta di vimini ha delle amarene, del ribes, dei mirtilli
e dell’uva spina. Comperiamo i mirtilli e l’uva spina. L’economia del
villaggio si alimenta anche così. Sorride la signora e indicandoci i
tetri nuvoloni ci consiglia di ritirarci. Dopo poco tempo l’acquazzone
preannunciato arriva e se ne va rapidamente lasciando nel cielo un
bellissimo arcobaleno. 7 agosto
In questo paese sperduto nelle verdi foreste e in
tutta questa zona non c’è una chiesa cattolica. Oggi celebreremo il
giorno del Signore leggendo le letture di questa domenica e
raccogliendoci in preghiera. Sono da poco passate le dieci, stiamo
riflettendo su come organizzare la giornata, quando si affaccia alla
porta del camper un omone, che ci saluta nella nostra lingua. Si
presenta, è Vitantonio Dell’Orto, il fotografo che ieri non abbiamo
incontrato, perché occupato nel suo lavoro. Sua moglie gli ha riferito
della nostra visita all’ostello ed è venuto a salutarci. Lo facciamo
accomodare, beviamo insieme il caffè e intanto approfondiamo la
reciproca conoscenza. Ci racconta della sua scelta di vita e del piacere
della libertà, di cui gode da quando ha lasciato la popolosa e
stressante Lombardia per trasferirsi tra queste immense foreste. Ci
chiede perché abbiamo scelto proprio
Ci consiglia alcune escursioni e infine ci scrive
una dedica sul libro. Ci avverte di non dare credito al navigatore,
perché questa zona non è mappata adeguatamente, quindi seguendo
indicazioni senza senso si rischierebbe di trovarsi in strade senza
uscita o peggio impantanati in qualche palude. Inoltre ci esorta ad
essere prudenti se ci avventuriamo a piedi nei boschi abbandonando il
sentiero, perché è
facilissimo perdersi. A lui è capitato
durante la sua prima escursione naturalistica e ricorda ancora con
trepidazione lo spavento che ha provato. Vitantonio è così gentile che
ci lascia il suo numero di telefono, rendendosi disponibile se ci
dovessimo trovare in difficoltà. Facendo tesoro dei consigli ricevuti,
ci rechiamo a Idre nella speranza di trovare presso l’ufficio turistico
la carta dettagliata della zona, carta che qui a Särna non è
disponibile. Idre, che viene descritta come il centro abitato di
riferimento per la zona, in realtà è poco più ampia di Särna, in più
rispetto a Särna ha una banca. Anche il suo ufficio turistico è
sprovvisto della carta che cerchiamo. Per evitare complicazioni useremo
l’atlante stradale che abbiamo e il nostro buon senso, che ci consiglia
di non avventurarci fuori dai sentieri tracciati.
C’è il supermercato aperto, facciamo un po’ di
spesa.
Il pranzo è da giorno di festa: pollo arrosto e
patatine. Imbuchiamo le cartoline scritte ieri e, ripreso il camper,
torniamo a Särna. Lungo la strada approfittiamo di un’area di sosta, ci
fermiamo a guardare il fiume, principale immissario del lago di Särna.
In questo punto a causa della pendenza forma delle rapide. Giuseppe non
si lascia sfuggire l’occasione di fermare con qualche scatto la
suggestiva inquadratura. Tornati a Särna mediante un ponte passiamo il
lago in una sua strozzatura. La meta è la cascata Fjätfallen. Dopo pochi
chilometri percorsi sulla riva opposta, svoltiamo a destra e seguiamo
una strada sterrata, che ci porta in prossimità della cascata. Un paio
di chilometri tra stagni e pinete imbiancate. Davvero un’immagine
insolita, ciò che da lontano sembra neve è invece lichene bianco. Noi
conosciamo i licheni crostosi, quelli che ricoprono i massi erratici
alpini. Questi licheni invece formano dei soffici e candidi cuscini
dalla forma semisferica. La presenza dei licheni, che rende incantevole
il paesaggio è anche foriera di una brutta notizia: qui non ci sono le
renne. Infatti esse sono golosissime di questa simbiosi tra un fungo e
un’alga, quindi non ce li avrebbero fatti trovare.
Il paesaggio sembra pennellato con la tecnica dei
macchiaioli. I tronchi rossastri delle fustaie si perdono nel verde
intenso delle chiome, mentre sul suolo le radici sono ricoperte
da un soffice tappeto bianco e rosa, di
licheni ed erica, spruzzato di marrone e verde per i funghi e il muschio
che crescono qua e là. Posteggiamo il camper vicino a due cottage e a
piedi attraverso un sentiero nel bosco giungiamo alla cascata, che non è
molto alta, ma ha una ragguardevole portata d’acqua. La cascata ha un
fascino particolare. L’acqua scorre in una gola rocciosa dal colore
rosso bruno. Quest’acqua torbata un po’ schiumosa è molto trasparente
perché bagna un terreno antico, che non ha più nulla da mettere in
soluzione. Quando si muove sinuosa tra i sassi sembra di colore marrone,
ma quando i suoi flutti si distendono sopra le pietre levigate
diventano
madreperlacei e assumono tonalità dal grigio al nero, nei salti invece
sembra una colata d’oro. Delle marmitte giganti ci permettono di
avvicinarci alla cascata e di vivere quel tormento quasi da dentro.
Siamo soli chiusi in questa forra. Di fronte a noi le alte pareti
rocciose, ricoperte in parte dai muschi, hanno la base intaccata ed
erosa dall’acqua, mentre sulla loro sommità una fila di larici assiste
allo spettacolo. Dietro a noi il bosco di fustaie e betulle dalla
candida corteccia, segno inequivocabile della totale assenza di
inquinamento e un odoroso sottobosco ricco di bacche, lamponi e di
funghi, che crescono sul legno marcescente degli alberi morti o ai piedi
delle conifere. Rientrati in campeggio attraverso il prato torniamo
alla chiesetta lignea e al villaggio storico. La chiesetta oggi è
aperta. Entriamo e ci sediamo in preghiera. E’ bella, la pala
dell’altare rappresenta l’ascensione di Gesù in cielo. Lungo le sue
pareti ci sono dipinte sul legno le immagini degli apostoli. Intorno
alla chiesa c’è un piccolo camposanto. Le croci spiccano sul verde
prato. Ci soffermiamo a leggere le date di nascita e di morte delle
persone che qui riposano in pace. Anche nei secoli scorsi in questo
luogo si viveva a lungo. C’è sepolto persino un centenario 1723-1823. Accanto alla chiesa c’è il piccolo borgo. Tra le
casupole di legno una risale al 1760. E’ stata costruita da Busk Per
Jonsson. E’ chiusa, ma guardando attraverso le finestre si vede il suo
arredamento. E’ stata la stazione di posta dove, specialmente in
inverno, sostavano le diligenze. Questa casa è stata abitata dai
discendenti del costruttore fino al 1936. Torniamo al camper e subito inizia a piovere in modo
intenso. Speriamo che si sfoghi nella notte, così da avere domani
un’altra giornata asciutta. 8 agosto Ciò che abbiamo sperato si è avverato. Nella notte ha
smesso di piovere e si è alzato il vento. Questa mattina l’aria è tersa,
il cielo quasi completamente sereno annuncia una giornata di sole. Oggi
ci dedichiamo esclusivamente alla natura. Con un breve spostamento ci
rechiamo al parco nazionale Fulufjällets. La strada che porta a Mörkret,
che percorriamo per circa trenta chilometri, rapidamente si alza
sull’altopiano offrendo una visione panoramica delle Alpi scandinave.
Quando si dice Alpi, il pensiero rievoca l’immagine
di picchi rocciosi e cime innevate. Qui è diverso. Le Alpi scandinave
sono una catena ondulata dalle cime arrotondate. La loro origine è
antica. Nell’era Paleozoica, durante l’orogenesi caledoniana si sono
corrugate. Poi con il passare dei millenni sono state erose. Hanno avuto
un nuovo innalzamento durante l’era Cenozoica con l’orogenesi
alpino-himalayana e sono state in seguito nuovamente levigate dalle
glaciazioni che hanno segnato fortemente l’emisfero boreale in
quest’ultima era geologica. Le Alpi scandinave hanno quindi una modesta
altitudine, intorno ai mille metri, ma data la latitudine, sono
ricoperte dalla tipica vegetazione dell’alta montagna. Gli alberi non
crescono sopra gli 800-
Il sottobosco è ancora più vario. Ci sono funghi in
grande quantità e di tante specie, felci prosperose, muschi e licheni di
vari tipi, piante ombrofile come i mirtilli e i lamponi. Il sentiero
sale dolcemente, è attrezzato con delle passerelle di legno, per
superare agevolmente le zone umide e paludose. Finalmente ecco la
cascata. Non ha una grande portata d’acqua, ma sembra sgorgare dalla
roccia del bordo del plateau. Con due brevi salti seguiti da uno di
settanta metri raggiunge il fondo della gola. Scendiamo una lunga
scalinata, percorriamo una passerella così
raggiungiamo la pietraia tempestata dal
getto. L’aria è fredda, in questa gola dove il sole non ha ancora
allungato i suoi raggi, c’è già un anticipo di autunno. Ci fermiamo a
lungo sotto la cascata: ogni goccia ha la sua storia e il suo canto. La
maggior parte di esse viene da molto lontano. Sospinte dai venti
occidentali si sono strette le une alle altre e hanno toccato il suolo
là in alto. Come in una gara corrono e saltellano tra le rocce, poi
stringendosi di nuovo si lanciano nel grande salto e urlano per
esorcizzare la paura del vuoto. Altre sono lassù da tempo. Tornano in
cielo di giorno e a terra di notte, prese e rilasciate dagli spugnosi
muschi. Lentamente si muovono verso il baratro. Le gocce più leggere si
buttano nel vuoto e si nebulizzano. Si alzano, si abbassano, si
rincorrono, si scontrano e si allontanano, disegnando nell’aria
un’armoniosa e diamantina danza. Ci sono gocce che scivolano sibilando
sulle rocce e si fermano aggrappandosi agli aguzzi spuntoni. Altre,
invece, scendono fino in fondo e gorgogliando si immettono nella
corrente del torrente. Giuseppe scatta fotografie da varie angolature.
Di fronte a una quantità d’acqua dolce così
abbondante come c’è in questa nazione, è difficile pensare all’acqua
come a un bene da difendere e conservare, eppure in tante
parti del mondo, comprese alcune regioni
dell’Italia, l’acqua scarseggia e non a torto viene chiamata “oro
azzurro”.
Nel primo pomeriggio visitiamo l’Älgpark. Ai
confini del parco nazionale in un’estensione boschiva di
Le alci sono degli animali stanziali, perciò se
hanno un ampio spazio dove pascolare non si rendono conto che comunque è
limitato. Guida la visita Lars, aiutato dai suoi due figli. Le alci che
vediamo sono una famiglia: c’è il maschio di sette anni e tre femmine
con i rispettivi piccoli. Inizialmente gli animali sono un po’
diffidenti, perché di indole scontrosa, ma Lars sa come attirarli allo
steccato. Li prende per la gola, offrendo loro una ghiottoneria: foglie
di betulla. Si avvicinano due femmine seguite dai loro piccoli. Lars
dice di non chinarsi e di non fare movimenti rapidi, né di accarezzare i
piccoli, se non su suo invito, perché le alci curano i loro piccoli in
modo amorevole e tenero, ma sono gelose, quindi si dimostrano ostili e
rudi verso chi li accosta. I piccoli sono più curiosi che affamati.
Alzano la testa, allungano il collo fuori dalla staccionata. Così,
mentre le loro madri con il robusto labbro superiore staccano le gustose
foglie dai rami, Lars ci invita ad accarezzare il morbido muso delle
piccole alci. Poi ci fa superare uno steccato e avanzando ci avviciniamo
al maschio, che ha accanto una femmina. Lo chiama ripetutamente,
finalmente gira la sua grande testa. La larga fronte, leggermente
infossata nella parte centrale, sorregge un enorme palco, formato da un
tronco da cui si dipartono due rami, con un rilevante numero di
digitazioni, segno della maturità dell’animale. Muove in tutte le
direzioni le orecchie appuntite, per sopperire a una vista e a un
olfatto non eccezionali. Fa qualche passo verso di noi in modo lento e
solenne. Il suo corpo saldo e massiccio è sorretto da potenti e lunghi
arti. Poi si gira ed entra nel folto del bosco. Ritorniamo sui nostri
passi. Un piccolo muggisce piano, si abbassa e passa sotto la
staccionata. Cogliamo la particolarità dei suoi zoccoli: sono disgiunti,
adatti
a camminare sui terreni impervi e
sulla
neve.
Più tardi sulla strada principale raggiungiamo Idre
e da lì proseguiamo per Foskros. Vitantonio ci ha detto che su questa
strada è possibile incontrare le alci. Pensiamo anche di fermarci a
dormire in uno dei lägerplats, che si trovano lungo la strada. In Svezia
il campeggio
libero è permesso. I lägerplats sono delle
aree attrezzate non custodite, che offrono un braciere, della legna già
tagliata, una casupola di legno chiusa su tre lati con dentro un tavolo
e una panca, un servizio igienico e i bidoni per la raccolta dei
rifiuti. Nei lägerplats si possono fermare indistintamente tende, camper
e caravan. Bisogna pagare sessanta corone, l’equivalente di sette euro,
che vanno depositate in una cassettina posta all’ingresso dell’area. Qui
si prende atto dell’onestà e del
senso
civico di questa nazione. Percorriamo tutta la strada che costeggia il fiume
Storån dalla vivace corrente. Di alci neppure l’ombra. Ci dichiariamo
soddisfatti degli animali che abbiamo visto finora. La strada ha tre
lägerplats. Due sono proprio sul fiume. La prima area è già occupata da
qualche equipaggio e non ha spazio per il nostro mezzo, andiamo
nell’altra nella speranza di poter posteggiare proprio lungo la sponda
del fiume. Mentre ci addentriamo nel bosco dove è stata ritagliata
l’area, tra il fogliame qualcosa si muove. Fermiamo il camper. Esce
trotterellando una renna dal pellame bianco con una zampa scura.
Giuseppe, macchina fotografica sempre pronta, scende repentinamente e
seguendola inizia a fotografarla. Paola lo segue. L’animale è un giovane
maschio. Si ferma, bruca l’erba, ogni tanto gira la testa e ci guarda.
Ci avviciniamo, forse un po’ troppo. Allora dà segni di nervosismo. Lo
lasciamo pascolare e torniamo al camper. Posteggiamo proprio come
avevamo sperato. La nostra giornata si chiude con un gustoso barbecue. 9 agosto Cielo madreperlaceo e aria ferma non sono un bel buon
giorno, tuttavia non ci lasciamo scoraggiare. Per oggi abbiamo
programmato la gita alla riserva naturale Städjan-Nipfjället.
Col camper torniamo a Idre e poi raggiungiamo in
quota Nipfjället. La strada si snoda in una zona di foresta di conifere,
che appena fuori Idre sta subendo un attacco da parte della speculazione
edilizia. Grosse ruspe sono al lavoro, quasi tutti gli alberi sono stati
abbattuti, i massi erratici che fanno da supporto ai licheni e ai muschi
sono stati rimossi, si stanno tagliando le strade sulle quali si
affacceranno le nuove abitazioni. Più avanti ritroviamo l’ormai consueto
paesaggio. Arrivati in quota lo sguardo può spaziare perché la
vegetazione è solo erbacea, ma oggi si vede poco, perché le nuvole basse
tolgono la visuale. Inizia a piovere, l’acqua scende fitta, sottile e
battente, spinta dal vento, che spira con veemenza. Un grande parcheggio
accoglie i gitanti. Mettiamo gli scarponcini, ci equipaggiamo contro la
pioggia e ci incamminiamo verso la vetta del Nipfjället. Venti minuti di
salita. Nell’ultimo tratto il sentiero è tagliato tra le rocce seraccate
rese viscide dalla pioggia. Siamo in vetta. Non c’è molto da vedere dato
il tempo, ma respirare l’aria di montagna
ci piace. Siamo quasi a Ora dall’alto si vede la vallata boscosa nella quale
spiccano chiari i piccoli laghi. Di fronte si staglia il profilo conico
del monte Städjan, che lo fa assomigliare a un vulcano. Con la sua
altezza domina la regione settentrionale del Dalarna. Ripreso il camper iniziamo il nostro, per ora lento,
viaggio di ritorno. Un simpatico arrivederci ce lo dà un fulvo
scoiattolo che attraversa la strada davanti a noi. Si sofferma un attimo
e poi scompare nel sottobosco alla ricerca della pianta su cui
arrampicarsi. Ripercorriamo la strada che ci conduce a Mora, dove ci
fermiamo al camping omonimo. 10 agosto
Se si vuole definire
Oggi con uno spostamento verso sud di trecento
chilometri ritorniamo al Göta Kanal, ma all’estremo opposto rispetto
alla nostra precedente fermata. Prima di lasciare Mora visitiamo il suo
centro, in particolare la chiesa, che ha una storia lunga e
interessante. Sorta nel XIII secolo, due secoli dopo è stata demolita e
ricostruita. Nella notte tra il 3 e il 4 maggio del 1671 un fortissimo
temporale scaricò un fulmine sulla chiesa, bruciandone completamente il
campanile, mentre la volta resistette. Il re Carl XI finanziò la
ricostruzione del campanile. La chiesa ritornò attiva due anni dopo. Nel
XVIII secolo fu ingrandita e decorata con fregi barocchi. La pala
dell’altare rappresenta Cristo in croce con ai piedi sua Madre, Maria
Maddalena e san Giovanni, bellissima icona di Chiesa. Ci incuriosisce
comprendere che tipo di protestantesimo si professa qui in Svezia.
Infatti nelle chiese è presente l’altare rivestito dei paramenti, manca
il tabernacolo, ma viene celebrata la messa, inoltre si trovano anche le
immagini sacre di Cristo, della Vergine e dei santi. Ci documenteremo.
Il viaggio che ci porta a Töreboda lo si può dividere
in tre parti paesaggistiche. La prima è ancora tipicamente forestale, la
seconda attraversa una zona rocciosa con molti specchi d’acqua. All’ora
di pranzo ci fermiamo in un’area di sosta in riva a un laghetto.
L’ultimo tratto lo percorriamo in una zona agro-pastorale attraversata
da canali navigabili.
Abbiamo detto che l’acqua è una delle caratteristiche
di questo paese, ebbene oggi siamo circondati da questo elemento: laghi,
stagni, fiumi, ruscelli, canali, ma soprattutto pioggia. Grossi
goccioloni ci vengono incontro con forza. Per tutto il tragitto piove a
dirotto, dir-otto? A dir-nove, dir-dieci, avrebbe detto il nonno Luigi! Arrivati al camping l’impiegata della reception è
sorpresa di registrare degli italiani. Ci dice che tra un mese lei verrà
in vacanza in Italia e visiterà Firenze. Inoltre ci dà una speranza: le
previsioni meteo dicono che domani il tempo migliorerà. Posteggiamo il camper vicino alla staccionata che lo
separa dalla ciclabile che corre lungo il Göta Kanal. Un vichingo dal
pelo rossiccio un po’ ingrigito avvicina Giuseppe e inizia a porgli
delle domande. Giuseppe gli fa capire di non comprendere, allora il
colloquio cambia registro linguistico. Si parlano in inglese. Lo svedese
ha una caravan ed è interessato al camper. Vuole avere informazioni
relative al funzionamento e all’affidabilità del motore Ford, quello che
abbiamo sul nostro mezzo. Ricevute le informazioni ci augura una buona
continuazione della vacanza e si accomiata. E’ ormai sera, i ponti levatoi che consentono il
transito delle barche sono fermi fino a domani mattina. Poco spostati
rispetto a noi sono ormeggiate nel canale due barche a vela, una batte
bandiera tedesca e una bandiera olandese. Hanno fatto una lunga
navigazione per giungere fin qui!
11 agosto
Drr…drr…pitpit, drr…drr…pitpit. Il nostro nuovo
giorno inizia alle 2.30 del mattino, con l’arrivo di un SMS di Simone.
Si sa, dall’altra parte del
mondo è già passata mezza giornata e se poi
si è in un luogo dove la rete è quasi assente, non ci si pone il
problema del fuso orario. Buone notizie. Ci riaddormentiamo sereni e ci
alziamo ancora più felici, perché oggi il sole brilla nel cielo
finalmente ritornato azzurro. Possiamo fare la gita in bicicletta, che
avevamo programmato. L’aria è piuttosto fresca. Noi per ora ci copriamo,
mentre gli indomiti nordici girano per il campeggio in calzoni corti e
maglietta di cotone. La gita è lungo il Göta Kanal da Töreboda a
Sjötorp, dove il canale sfocia nel lago Vänern, uno dei due grandi laghi
svedesi. Il Göta Kanal una volta era un’importante via commerciale, che
collegava Göteborg con Stoccolma, cioè il mare del Nord con il mar
Baltico. Lungo le sue alzaie gli animali trainavano le chiatte. Ora le
alzaie sono diventate una pista ciclo pedonale, che ha portato uno
sviluppo turistico. La bella giornata ha messo in moto molti ciclisti.
Incontriamo famiglie, coppie anziane, cicloturisti. Ognuno gode il
canale a modo suo. C’è chi percorre pochi chilometri e poi si ferma per
il picnic, chi pedala per tratti più lunghi, noi faremo circa
quarantacinque chilometri e chi sta facendo un vero tour. Dopo pochi
chilometri fermi ad una chiusa troviamo le barche olandese e tedesca che
ieri sera erano ormeggiate di fronte a noi. C’è anche una barca svedese
con il cagnolino marinaio. Il barboncino bianco, equipaggiato di
giubbotto salvagente arancione, sta a prua alzato sulle zampe posteriori
a controllare la manovra. Ci fermiamo. E’sempre affascinante osservare il
principio idraulico che permette di superare i dislivelli. Le barche
stanno navigando nella nostra stessa direzione, si sta scendendo verso
il lago. Il canale è attraversato da strade e anche da una linea
ferroviaria. Tutte le strade, compresa quella ferrata, sono interrotte
da ponti levatoi. Sarebbe bello vedere il treno fermarsi per lasciare
passare le barche, ma evidentemente questa non è la sua ora. Andiamo
avanti. Intorno a noi il paesaggio è agrario. Verdi prati, campi di
avena matura, pascoli con le caratteristiche pecore nere giungono fino
alla ciclabile, mentre le rosse fattorie incorniciate di bianco stanno
ai margini della foresta, che chiude l’orizzonte. Qualche casa però si
affaccia alla ciclabile.
Una ha la parete esterna piena di nidi. Anche
questo è un modo per proteggere la natura. I germani reali, che si
appartano sulle rive al passaggio delle barche, riprendono il largo
appena il canale è libero. Superiamo altre chiuse, l’ultima fa sfociare
il canale nel lago. Il vento forte agita la sua acqua generando ondine
dalla cresta bianca, che lo fanno assomigliare a un mare. Pranziamo con
una cioccolata calda e un dolcetto, circondati da golosi passerotti che
attendono pazientemente la nostra generosità. Le briciole sono per loro.
Mentre torniamo verso Töreboda incontriamo nuovamente molti dei ciclisti
incrociati questa mattina. Un cenno di saluto e via, ognuno per la sua
strada, loro veloci perché agevolati dalle discese delle chiuse, noi in
quei tratti un po’ rallentati. Ecco navigare verso di noi un grosso
battello turistico. Visto da lontano la sua larghezza non lascia
immaginare che possa passare attraverso il ponte levatoio. Ci fermiamo a
guardare, lascia un metro per parte. Ceniamo illuminati dal sole, che ogni giorno anticipa
il suo tramonto, ma non per questo rinuncia al suo spettacolo. Mentre
l’orizzonte occidentale si tinge di giallo e arancione e le nubi di
rosso e violetto, nell’acqua liscia del canale in fiamme, neri si
specchiano gli alberi. 12 agosto
Il cielo azzurro e il sole ci invitano a rimanere,
ma la vacanza volge al termine e i giorni per il rientro sono
programmati per non essere troppo pesanti.
Lasciamo Töreboda con un po’ di rammarico e
ci indirizziamo verso ovest, direzione mare del Nord. Inizialmente la
strada segue il lago Vänern anche se non è costiera. La regione è
pianeggiante, agricola, il paesaggio ricorda la campagna danese. Il
giallo è il colore dominante. In un prato dove pascolano delle mucche,
due saltellanti caprioli si rincorrono e i placidi bovini li guardano
con sguardo perplesso. In prossimità della città di Lidköping finalmente si
costeggia il lago. Parcheggiamo per dare un’ultima occhiata a questo
enorme specchio d’acqua. Cosa penserà dei nostri grandi laghi lo svedese
che ieri sera ha conversato con Giuseppe? Egli ha chiesto informazioni
sul nord e centro Italia, perché, beato lui che è in pensione, tra una
settimana verrà nel nostro bel paese insieme a sua moglie e vi si
fermerà per tre mesi. Il sole caldo e la voglia di vivere prima del lungo,
freddo e buio inverno elettrizza questo popolo. Ecco che in riva al lago
si improvvisa una danza popolare, che si ripete in continuazione al
suono di un ritornello. Riprendiamo il viaggio, ora il traffico è più
sostenuto, soprattutto circolano numerosi camion. La zona è
prevalentemente industriale. Transitando sull’alto ponte del canale che
collega il lago Vänern con il mare del Nord, vediamo i grandi
stabilimenti della Saab e della Volvo Aero. Superata la città di
Uddevalla il paesaggio cambia ancora. La pianura lascia il posto ai
rilievi. Siamo ormai vicini alla costa. E’ alta, frastagliata, orlata da
un’infinità di isolette. Qui le glaciazioni hanno lasciato un rinomato
segno: i fiordi. Se questi sono già incantevoli pur non essendo molto
alti e profondi, cerchiamo di immaginare quanto siano spettacolari
quelli della Norvegia, …ma questa è un’altra storia, che racconteremo in
una delle prossime estati!
Nel primo pomeriggio ci fermiamo a Grebbestad. E’
un paese turistico, che però mantiene anche la sua vocazione
peschereccia. Sorge sul fondo di un fiordo, che fa
da porto naturale. Ospita lussuosi natanti,
alcuni in vendita, eleganti barche a vela e numerosi pescherecci, che
navigando in mare aperto odorano di salsedine e di pesce. Passeggiamo
sul lungomare e ci imbattiamo in un troll, che ha sulla testa un corvo
irriverente. Il corvo è l’uccello che insieme ai gabbiani ci sembra
essere il più diffuso in questo paese. Dopo aver fatto un po’ di spesa
ci attiviamo per cercare il campeggio. Ce ne sono parecchi lungo la
costa, quindi non ne abbiamo in mente uno in particolare. Ci rimettiamo
in moto. Dopo pochi chilometri troviamo un’indicazione. Lasciamo la
strada principale, che è alta sul mare e seguiamo la stradicciola
tortuosa, che si diparte alla nostra destra. Giungiamo in fondo a un
piccolo fiordo, che ospita il camping Långesjo. Posteggiamo in riva al
mare, che qui è fermo e un po’ stagnante e ci godiamo il sole caldo, che
ravviva la nostra abbronzatura. Poi con una passeggiatina raggiungiamo
la punta del fiordo. Bel panorama, casette rosse abbarbicate sulla
roccia, barche ormeggiate e là in fondo il nostro camper! 13 agosto
Ieri sera la luna piena, bianca e luminosa donava
un’atmosfera romantica a questo golfo e ha vegliato sul nostro sonno.
Questa mattina con le biciclette ci rechiamo a Fjällbacka, il paese
successivo andando verso sud. Cinque chilometri di salita per superare i
promontori e di discesa per giungere sul fondo dei fiordi. Fjällbacka è
un villaggio di variopinte case di legno, aggrappate al granito rosa,
ricoperto di erica e macchiato col verde di alcuni pini e di esili
betulle che non si sa come sono riusciti ad allungare le loro radici
nelle strette fenditure della roccia. Fjällbacka è un posto da “sciuri”
si direbbe a Milano, basta vedere le automobili posteggiate, ma non si
respira aria da snob. Passeggiamo lungo il fiordo, alla nostra sinistra
case antiche del 1800 e case moderne costruite
con analoga fattezza, alla nostra destra la
linea di costa, dalla quale si allungano i pontili di legno, che danno
attracco a un gran numero di barche. Il fiordo presenta diverse
articolazioni e accoglie al suo interno delle isolette. C’è vita nel fiordo: c’è chi si prepara ad uscire, chi
sta già navigando e ha quasi raggiunto lo sbocco in mare aperto, chi sta
rientrando. C’è pure un biondo ragazzino che dal pontile con una nassa
ha appena pescato un grosso granchio e sta chiamando a gran voce il suo
papà, per mostrarglielo.
Dopo aver visto il paese dal basso, lo andiamo a
guardare dall’alto. Su Fjällbacka incombe un possente plateau roccioso.
E’ possibile salire in alto seguendo il sentiero in parte tagliato nella
roccia e in parte costruito con ripide scale di legno inchiodate alla
parete. Un passaggio è particolarmente suggestivo e inquietante. Il
sentiero passa attraverso la stretta gola Kungsklyftan (Gola del re).
Essa è chiusa in alto da tre enormi macigni che, staccatisi dal plateau
sono precipitati e sono rimasti incastrati tra le due pareti rocciose.
Arrivati in cima il respiro si ferma in gola, non tanto per i
duecentotrentadue scalini di legno e tutti gli altri in pietra, ma
soprattutto per il panorama che si vede. Lo sguardo riesce ad andare
oltre ai margini del fiordo e coglie il cesello della costa tutta ornata
da isolotti e scogli. E’ un trionfo di colore e di luce.
Torniamo al campeggio e pranziamo. Giuseppe si
soddisfa con del salmone affumicato, che qui costa decisamente meno
rispetto a Milano. Il pomeriggio è di completo relax, per essere
riposati per il grande rientro che inizia domani. La temperatura
dell’aria è fresca, poco più di 14 agosto Arrivederci Svezia! Le tue regioni con le loro
peculiarità ci sono tutte piaciute. Portiamo a casa il ricordo di una
vacanza spettacolare e la promessa di un nostro ritorno per conoscere la
regione dei Sami.
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